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PSICOLOGIA E SCUOLA

Intervista a G.Magnoni e L. Longhin , autori del libro “INSEGNARE OGGI”, ed. Borla, 1993

A cura di Franca Mazzei

Graziella Magnoni è preside di una Scuola Media Statale nella provincia di Varese. Ha tenuto diversi corsi di formazione e di aggiornamento i qualità di docente per conto degli IRRSAE Lombardia, Liguria, Toscana e Sardegna. Ha pubblicato diversi articoli su questioni relativi ai problemi della valutazione.

Luigi Longhin, docente di epistemologia  e psicoanalista a Milano. Autore di diversi articoli con tematiche psicoanalitiche: sul simbolismo, sulla “Fondazione del collettivo sociale e delle dinamiche conflittuali inconsce”, sulla “Questione della normalità e anormalità”. Ha curato assieme alla dott.ssa Franca Mazzei Maisetti  “Psicoanalisi e potere”, 1991, ed. Laterza; ha pubblicato  il saggio di epistemologia psicoanalitica “Alle origini del pensiero psicoanalitico” ed. Borla.

Perché questo vostro libro “Insegnare oggi” ha suscitato un così vivo interesse  presso insegnanti, educatori e psicologi?

Perché affronta il problema fondamentale della comunicazione relativo alla realtà affetivo-emovita nell’insegnamento e nell’apprendimento.

Ma esistono diversi libri che trattano questi aspetti: come mai il vostro testo sembra cogliere maggiore attenzione?

E’ vero, nella letteratura psico-pedagogico-didattica vi sono molti testi specifici relativi a ciascuno degli argomenti trattati in questo libro. Qui è esplicita l’esigenza di aiutare  a riflettere sulla dicotomia che l’insegnante vive tra la “teoria”, tra ciò che studia per la preparazione ai concorsi o che sente e discute nei corsi di formazione, e la “prassi”, cioè ciò che vive ogni giorno nella realtà. Spesso il docente, dopo la lettura di un libro o dopo aver partecipato  ad un corso di aggiornamento è portato a dire: “Belle parole, ma venite in classe con alunni problematici come i casi di Massimo, di Anna, di Roberto ecc.  riportati nel libro  e provate a fare  i conti con la burocrazia  che impera, con le continue scritturazioni su schede e registri…”

Allora la scuola deve prestare attenzione prevalentemente o, come avviene talvolta, quasi esclusivamente  a questi casi, appiattendo tutti gli alunni e dimenticando di essere l’istituzione preposta all’istruzione e all’educazione  attraverso l’acquisizione di conoscenze e competenze di un sapere disciplinare?

No certo. La scuola deve perseguire e, a mio avviso, deve recuperare  la sua specificità, ossia quella di formare la personalità dell’alunno attraverso gli strumenti e le strategie dei vari saperi (contenuti, linguaggi, metodi di ogni scienza) ma questa sua attività deve fondarsi sulla preoccupazione di creare un “clima” di “ben essere” in cui lo studiare diventi soddisfazione di curiosità, il sacrificio di un impegno sistematico sia consapevolezza  di crescita, di ricerca di autonomia e di capacità critica, la convivenza in un gruppo classe e con gli adulti significhi esercizio di democrazia, di tolleranza, di solidarietà e dove l’essere valutato venga vissuto  come partecipazione al processo di apprendimento e modalità per confrontarsi con sé stesso, con i propri interessi e le proprie competenze, con il Sé proiettato nel futuro (ciò che si vuole essere per sé, per gli altri, con gli altri).

D’accordo per gli alunni, ma per i docenti?

Grazie agli strumenti, alle strategie, alle modalità di comunicazione didattica ed interpersonale che abbiamo esplicitato nel testo, vorremmo condurli a riflettere sull’improcrastinabile esigenza  di un cambiamento della professionalità docente, che oggi si impone. L’insegnante non può più essere il semplice trasmettitore di un sapere e attendersi che gli studenti apprendano e riespongano le informazioni ricevute come lui le ha trasmesse e come il libro di testo le propone. Oggi si chiede al docente di essere “l’esperto” della sua disciplina e questo significa certamente conoscere il contenuto, il metodo, il linguaggio della scienza o dell’arte  a cui si vuole introdurre gli alunni, ma deve soprattutto saper rendere trasmissibile  il suo sapere in  modo che possa divenire sapere trasmesso con “transfer”, cioè sapere fatto “proprio” da ciascuno perché trova fondamento nelle preconoscenze e nell’esperienza individuale e specifica  del singolo. Questo vuole sottolineare come le strategie, gli strumenti, le modalità dell’insegnare devono conciliarsi , incontrare le modalità, le strategie, gli strumenti dell’apprendere. Questo significa anche che il progettare, il programmare, devono diventare attività pratica del docente  e non soddisfazione di un atto burocratico.

Come può essere ritenuto valido  o addirittura indispensabile l’intervento  della psicologia e della psicoanalisi  nel processo di insegnamento e di apprendimento scolastico?

Più volte sono intervenuto in qualità di esperto sia come psicologo sia come psicoanalista chiamato da Presidi  per contribuire alla soluzione di problemi emersi  fra docenti ed alunni, tra docenti e docenti, tra docenti e genitori su temi educativi particolari e comuni.

A quali problemi si riferisce in particolare?

Mi riferisco a casi di rifiuto da parte di studenti nei confronti dei propri insegnanti o alle forme di violenza agita dagli studenti verso i propri compagni o gli stessi insegnanti. Penso anche a situazioni in cui, assieme ad altri colleghi, sono stato invitato da gruppi  misti di Presidi ed insegnanti per affrontare il problema della conoscenza e della competenza relativa alle dinamiche relazionali e della comunicazione, prerequisiti indispensabili per una efficiente ed efficace attività didattica. Con i genitori ho affrontato i problemi relativi  alle forme di autoritarismo e di permissivismo, negative per un armonico  sviluppo cognitivo ed affettivo del bambino e dell’adolescente. Tutti questi temi sono stati ripresi e sviluppati  nel libro con un taglio particolare: quello psicologico e psicoanalitico, richiamando le tesi più significative di alcuni studiosi contemporanei, quali W.R.Bion, D. Melzter, F.Formari, ecc

Può esporre sinteticamente almeno alcune di queste tesi che ritiene più significative?

La tesi più rivoluzionaria è da ritenersi quella  che ha capovolto il modo di concepire il rapporto fra il processo cognitivo ed il processo affettivo. Infatti, da Platone fino ai giorni nostri, i sentimenti e le emozioni erano considerati incompatibili, in quanto elementi di disturbo, con il processo di apprendimento. Orbene, il modello di mente proposto da Bion e da Melzter dimostra che il processo cognitivo non può svilupparsi se non è preparato  e accompagnato da un adeguato sviluppo del mondo affettivo-emotivo a partire dalla nascita o addirittura anche dal periodo prenatale. Una seconda tesi esposta riguarda  l’importanza e la necessità  che l’insegnante sappia controllare e, soprattutto elaborare il proprio controtransfert al fine di neutralizzare il transfert negativo dell’alunno  e favorire, invece, quello positivo  che permette un’alleanza costruttiva al fine di raggiungere quell’”apprendere dall’esperienza” che informa il cognitivo, come è stato sviluppato nel testo, accogliendo l’indicazione di Meltzer.

Per comprendere in modo più approfondito tali tematiche che appartengono al sapere psicoanalitico, ritiene che sia utile non solo allo psicologo ma anche all’insegnante, la lettura del libro precedente “Alle origini del pensiero psicoanalitico?”

Poiché questo libro riguarda sia i diversi livelli di mente che i fondamenti, i valori, i limiti e le condizioni di possibilità della psicoanalisi come disciplina scientifica con i suoi aspetti di rigorosità, di aggressività e verificabilità, ritengo che tale lettura offra sia allo psicologo che all’insegnante e ad ogni educatore in genere l’opportunità di valorizzare nella professione gli apporti di questa disciplina.

Sembra che lei sia particolarmente interessato agli apporti che il sapere psicoanalitico possa offrire alla soluzione dei problemi della società. Mi riferisco al primo libro “Psicoanalisi e potere” dove mette in luce gli aspetti psicoanalitici del potere anticipando quanto è emerso  in seguito con “Tangentopoli”.

A questa sua domanda desidererei rispondere con le parole del professor Mauro Mancia che, nella presentazione del libro, scrive: “La psicoanalisi ha compiuto, dalla sua origine, passi da gigante entrando di diritto  nell’ambito scientifico e facendo sentire la sua influenza conoscitiva praticamente in ogni campo, dalla medicina alla filosofia, dall’arte alla letteratura, dalla sociologia alle scienze, dall’educazione all’antropologia. Non c’è area del sapere umano dove il metodo psicoanalitico non possa dare un contributo, proporre un nuovo vertice di osservazione. Considerare la psicoanalisi come una semplice psicoterapia significa non comprenderla nel suo giusto valore e nella sua immensa potenzialità.

Ritornando al libro “Insegnare oggi”, a chi ritiene possa essere d’aiuto?

Certamente ai docenti, ai presidi ed agli educatori in genere a cui prioritariamente è rivolto, ma anche ai genitori e, soprattutto a coloro che intendono intraprendere la via dell’insegnamento e, non ultimi, gli psicologi che sempre più frequentemente sono chiamati a collaborare con la scuola.