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Mi sono deciso a scrivere su questo argomento che attiene direttamente al mio lavoro quotidiano, dopo aver riflettuto a lungo sul come avrei potuto utilmente informare sullargomento senza peraltro correre il rischio di far credere che quello di cui sto parlando sia prassi corrente di ogni Centro Trapianti. Evidenziare il proprio lavoro non significa affatto che sia ampiamente diffuso: quando si sente parlare di psicologia ospedaliera è opportuno pensare che si tratti di briciole. Fatta questa doverosa precisazione cercherò di entrare nel merito dellargomento. Bisogna innanzitutto inquadrare la pratica trapianti in senso generale alla luce delle leggi esistenti che disciplinano la materia e in cosa consiste la peculiarità della pratica del trapianto rispetto ad ogni altro atto medico-chirurgico; infine poi descrivere le essenziali problematiche psicologiche peculiari.
Quadro legislativo: sue ricadute negative sulla donazione.
Nel lontanissimo 1976 C.Barnard ha dato avvio allera dei trapianti nel mondo. LItalia nel 1975 provvede, tutto sommato abbastanza rapidamente, a dotarsi della Legge n. 644 concernente la disciplina dei prelievi da parti di cadavere a scopo di trapianto terapeutico. Legge tuttaltro che incentivante il trapianto. In primo luogo perché prevede una interminabile procedura burocratico-tecnico-legale per stabilire la morte cerebrale del paziente. Basti pensare che devono passare bel 12 ore di ripetuti controlli per accertare (ma solo per i pazienti destinati al possibile trapianto) la morte cerebrale mentre in realtà la morte del cervello dovuta alla mancanza di ossigeno avviene in 20 minuti. Il secondo aspetto deleterio della Legge è che per il prelievo di organi (non espianto) è prevista lespressa richiesta di non dissenso da parte dei parenti della persona deceduta anche di fronte al comprovato assenso espresso in vita (es. iscrizione allAIDO) da parte del defunto. In pratica questo significa andare a chiedere a dei genitori il consenso al prelievo subito dopo la morte di un loro figlio: si può ben capire il basso tasso di consensi in Italia. Ovviamente non è solo questa la zeppa interposta al consenso. La terza, anchessa assai rilevante, è di stretto ordine psicologico e attiene allorganizzazione dei reparti di rianimazione. Il Rianimatore, per sua formazione, è attrezzato mirabilmente addirittura (e non è un gioco di parole) a risuscitare i morti ma non ha particolari attitudini per parlare con parenti in angustia per il loro congiunto in rianimazione. Non è sufficiente infatti aver affinato la propria esperienza nel richiedere lassenso al momento dellavvenuto decesso. In genere questa esperienza il rianimatore lha positivamente acquisita, ma non riesce a capire che in precedenza non cè stato sufficiente dialogo con le persone più vicine al moribondo (termine più umano di paziente in coma) e questo impedisce di cogliere gli elementi di estrema aggressività che possono sorgere da parte dei familiari nei confronti della struttura asettica e distaccata della struttura di rianimazione. La rianimazione, (ad es. la nostra del II° piano Monoblocco San Martino di Genova) non è per nulla uguale a quella che si può vedere nei telefilm americani, in cui lo straziato padre tiene la mano, accarezza e parla allorecchio del figlio in coma; in genere perché gli aspetti infettivologici (mentalità medica tradizionale), prevalendo sui motivi psicologici, costringono parenti ed amici a comunicare con il paziente solo attraverso uno spesso mediante mediante un freddo microfono. Sul contatto fisico, lunico che può consentire di parlare il linguaggio affettivo più profondo tra gli esseri umani, proprio non si può contare. Sono convinto che quando i reparti di rianimazione verranno ristrutturati a misura duomo non ci saranno più rifiuti, anche permanendo questo intoppo della Legge allobbligo di richiedere in non dissenso ai parenti; intoppo che comunque va sgomberato con un approfondita modifica alla inadeguata legge del 75 già citata. Lobiettivo è quello di avere una legge come quella Belga che prevede intelligentemente il silenzio-assenso salvo il sacrosanto diritto delleventuale dissenziente a dichiarare il suo rifiuto (legalizzato e gratuito) in un apposito registro presso il proprio Comune di residenza. Anche se questa specifica, qualificante modifica, è di là da venire, va comunque tenacemente perseguita, specie da parte dellAssociazione Italiana Donatori Organi (AIDO) e dellAssociazione Nazionale Emodializzati (ANED). Proprio in questo periodo siamo comunque in presenza di recentissimi atti di legge significativi in ordine alla riorganizzazione e coordinamento su scala nazionale dei Trapianti dOrgano (Piano Sanitario Nazionale 1994-96 G.U. n. 8 del 12-1-94 recente legge 578 del 29-12-93 Norme per laccertamento e certificazione di morte e relativo Decreto Applicativo per la determinazione dei criteri). Con questultima legge si passa dalle 12 ore di osservazione alle 6 per laccertamento di morte cerebrale. I risvolti psicologici di questa nuova legge, ai fini della donazione sono decisamente positivi; unificando infatti laccertamento e la certificazione di tutti i deceduti in rianimazione (dopo le 6 ore dalla morte cerebrale il tubo dellossigeno si stacca comunque), sul piano psicologico i possibili sensi di colpa associati al consenso del prelievo si allentano di molto. Che dire dei Centri Trapianti in Italia che fanno capo a ben 4 organizzazioni senza alcun collegamento fra loro? Dal 12-1-94, data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del Piano Sanitario Nazionale, si dovrebbe finalmente mettere fine a questo tipo di anarchia organizzativa. Infatti dagli indirizzi del Piano Sanitario Nazionale sui trapianti, si dovrebbe attuare un unico coordinamento di tutti i Centri Trapianti Italiani. Non è il caso di contarci troppo: in pratica gli indirizzi in questione sono ancora tutti da attuare. Ovviamente neppure in questi nuovi indirizzi (meramente organizzativi) si mettono in risalto i bisogni psicologici del paziente trapiantato. Nessuno psicologo è previsto né da leggi né da indirizzi di legge specificatamente nel campo dei trapianti. Non so dire se in America o negli altri Stati Europei (culturalmente più simili a noi) lo prevedano, ma è certo che lOspedale di Broussais di Parigi, al Centre de Medicine Preventive Cardio-Vasculaire che si occupa di trapianti, nellUnite Medico-Psychologique, oltre a 6 medici specialisti si contano ben 7 psicologi. Lesempio mi sembra emblematico del divario di cultura psicologica e sensibilità umana tra noi e i francesi nei confronti del malato ospedalizzato. La mia presenza al Centro Trapianti è dovuta a felice casualità (primario illuminato), come è sporadica la presenza di ogni psicologo in qualunque altro ambito ospedaliero, benchè le leggi ospedaliere (peraltro mai decadute) prima della riforma sanitaria 833/78 prevedessero tale figura professionale; ricordo che nelle tabelle di passaggio del DPR 761/79 (stato giuridico del personale delle Unità Sanitarie Locali) si chiamava Coadiutore Tecnico. Così come la figura professionale è stata specificamente prevista per gli ospedali dal Decreto Ministeriale del 1988 (Standard Ospedalieri) dallallora Ministro della Sanità Donat Cattin.
Breve storia, complessità e spinosa differenza del Trapianto rispetto ad ogni altro precedente atto medico.
Dai tempi del
primo trapianto di C. Barnard (1967) ai tempi nostri sono passati ben 27
anni ; lo sviluppo tecnologico dei trapianti è stato impressionante. Nel
nostro Centro Ligure si opera dal 1982 per il trapianto del rene, di rene-pancreas
e di fegato. Trattandosi di operazioni che presuppongono una complessa,
sofisticata e polivalente specializzazione, ogni Centro è autorizzato al
trapianto per una delimitata gamma di organi; siamo ben lungi da una distribuzione
ottimale su basi regionali. Il nostro Centro è composto da unità operativa
chirurgica suddivisa in due moduli (rene-pancreas e fegato), un laboratorio
analisi, un modulo di psicologia, la costante presenza di due assistenti
sanitari, una U.O. nefrologica pediatrica, una U.O. immunologica, una
U.O. anestesiologica con specifica competenza per il trapianto, nonché la
costante presenza di diabetologo, infettivologo e cardiologo. Il multi-disciplinare
atto bio-medico del trapianto dorgano si differenzia da qualunque
altro atto chirurgico (pur complesso) per limplicanza dellAltro.
Questa notevole devianza delloriginale alveo terapeutico ha profonde
ripercussioni a diversi livelli. La prima bio-immunologica: quella del problema
tuttora aperto del rigetto dovuto allincompatibilità genetica
e quindi immunologica tra donatore e ricevente. E ben chiaro che non
sono più le difficoltà anestesiologiche e chirurgiche ad ostacolare il
trapianto dorgano, bensì il rigetto acuto (scatenamento
violento del sistema immunitario subito dopo il trapianto) tamponato da
massicce dosi di immunodepressori e poi il rigetto cronico
(sempre attivo sebbene fortemente smorzato dai farmaci immunodepressori).
Nel caso di trapianto dorgano, infatti, linsostituibile difesa
immunitaria si trasforma (come è in generale nellordine naturale delle
cose) in ostile ed inesorabile keller dellorgano trapiantato.
Fa eccezione il trapianto di cornea e diverse sono le condizioni di base
per il trapianto osseo che non è qui il caso di approfondire. Nel caso di
trapianto dorgano, due sono gli unici percorsi terapeutici: luno,
di fondo strategico, si basa sulla ricerca della maggiore compatibilità
genetica possibile fra donatore e ricevente, e laltro, tattico, che
è il ricorso al farmaco immunodepressore. La seconda rilevante ripercussione
(dellimplicanza dellaltro) avviene sul piano psicologico ed
ha effetti plurimi sia sullinterno della mente del pazient (prima
e dopo il trapianto) sia sullinterno della mente dei parenti del donatore:
si tratta di resistenze psicologiche che hanno origini assai profonde. Latto
medico-chirurgico che in precedenza, pur nella sua crudezza, era sempre
stato inequivocabilmente puro, nel caso della donazione da cadavere
(cruda espressione medica a cui ci potrebbe trovare unespressione
più gentile) viene fortemente contaminato dalla morte di un altro essere
umano; mentre nel caso della donazione da vivente (tra familiari) viene
contaminato dalla immaginaria predazione compiuta nei confronti del familiare-donatore-vittima.
Circostanza che aumenta ancora la drammaticità dellintervento chirurgico
(cè fortissima sottovalutazione da parte di medici, psichiatri e psicologi
della terribile offesa narcisistica dubita dal paziente e dallanestesia
associata alla morte e dalla profanazione del proprio corpo
fatta dal medico col bisturi). Forse è il caso di ricordare che in Italia,
come per tutto il resto del mondo civile, la donazione (non è un eufemismo)
è consentita solo da cadavere e tra parenti stretti (marito e moglie, genitori,
fratelli e figli). Per accettare in dono lorgano per il trapianto
occorre far proprio limpietoso motto mors tua vita mea
mentre per lofferente vale leucaristico prendet questo
è il mio corpo. I due atteggiamenti non sono certo inconciliabili,
ma vanno elaborati e psicologicamente digeriti. Analoghe profonde
resistenze psicologiche spingono il genitore, sconvolto per la morte del
proprio amato figlio, allirragionevole rifiuto. Inutile in certi casi
fare discorsi logici ai parenti che rifiutano la donazione. Ma la differenza
essenziale che esiste tra il trapianto e un qualunque altro atto chirurgico
è che nel trapianto costringe a legare assieme ciò che è biologicamente
ma anche psicologicamente e naturalmente inconciliabile. A rigor di logica
solo i gemelli monozigoti sono biologicamente perfettamente compatibili:
ciononostante il rigetto è possibile. Sul piano psicologico in tutti i casi
che ho seguito in psicoterapia (si tratta in verità di una sparuta minoranza
di pazienti con caratteristiche nevrotiche) è emersa una profonda avversione
per lintrusione nel proprio corpo dellorgano di un Altro morto
(una paziente ha usato lespressione più colorita di disgusto.
Sono assai indicativi questi vissuti di persone nevrotizzate (per definizione:
in grado per capacità immaginative e verbali ad esprimere ed elaborare sensazioni
ed emozioni corporee) rispetto al restante della popolazione trapiantata
con personalità psicocomatica (incapaci di accedere allimmaginario-simbolico)
e quindi impossibilitati ad elaborare mentalmente le profonde problematiche
legate alle resistenze del trapianto e che, pertanto, in pura ipotesi possono
interagire (sul piano psico-neuro-immunologico) negativamente
nella determinazione del rigetto.
E di fondamentale importanza lintervento terapeutico in favore
tanto del malato tanto in lista dattesa che del paziente trapiantato
per elaborare resistenze e rifiuti inconsci al trapianto. Così come è indispensabile
la ciclosporina antirigetto (e ciò è facilmente dimostrabile),
è indispensabile anche la psicoterapia antirigetto (ma ciò è solo unipotesi
timidamente enunciata). Ovviamente non è solo per questo fine già
di per se ambizioso che il paziente trapiantato, così come ogni malato
grave e soprattutto quello cronico, deve poter usufruire di sedute psicoterapeutiche.
La mentalità ospedaliera italiana è caratterizzata da una forte resistenza
ad accettare la sofferenza psichica legata alla malattia fisica. Certo
questo riduttivismo semplifica di molto latto medico, ma rende monca
loperazione terapeutica che è pur sempre la risultante della relazione
collaborativa tra terapeuta e paziente. Loperativa arte medica
sembra inconciliabile con la riflessiva arte psicologica dellascolto.
Non è qui il caso di approfondire né i motivi del perché il medico tratta
la malattia e non il malato, basti pensare che la giusta prospettiva è quella
di vedere nel sintomo fisico lespressione della persona malata, senza
ovviamente trascurare di somministrare farmaci e operare chirurgicamente.
E comunque la carenza di conoscenze del corpo visibile
che fa sostanziale la differenza tra il rapporto ospedaliero francese
e quello italiano, forse anche in qualche caso tecnologicamente più avanzato.
Problematiche psicologiche peculiari del trapianto
Vale la pena di ricordare che ogni acquisizione bio-medica sorge pur sempre dalla volontà di potenza umana o, tradotta in linguaggi psicoanalitico più moderno, dalla grandiosità del Sé che vuole padroneggiare le leggi della natura e preservare limmaginifica originaria perfezione. Latto terapeutico del trapianto si può considerare la punta più avanzata di questa sfida umana a debellare malattie e imperfezioni fisiche; ma questa umana geniale escogitazione tecnologica che è la pratica del trapianto, può sottendere tanto una perniciosa posizione maniacale (pensiero magico) quanto un sano e realistico atteggiamento riparatorio. A ciò si deve aggiungere, per completezza della problematica, che larchetipo del trapianto rimanda un messaggio ambiguo e ambivalente di vita-morte difficilmente inestricabile e quindi inevitabilmente fonte di angoscia. Stando così le cose non stupisce che lattuale immaginario collettivo legato al trapianto sia connotato da grande ambiguità in cui tenebrose fantasmizzazioni angoscianti fanno da contraltare al luminescente desiderio riparativo. Lesperienza di malattia, e in particolare di quella cronica, rimanda ineluttabilmente alle problematiche della caducità del corpo. Religioni, filosofie e miti di interi popoli non sembrano essere più in grado di contenere le angosce di morte delluomo moderno, tanto sano che malato; nemmeno una adeguata rete di affetti familiari può reggere completamente il fardello della depressione, presagio luttuoso di dissoluzione mortifera del corpo. Non resta che lelaborazione personale di questa tosta problematica che, consapevolmente o inconsapevolmente, siamo tutti quanti costretti, prima o poi, ad affrontare nella vita. In questo contesto generale assai aleatorio, al Centro Trapianti dellOspedale San Martino (si dice sia il più grande ospedale dEuropa) larboscello della psicologia sembra ormai attecchito. Spero di aver inquadrato adeguatamente la problematica del trapianto, almeno nelle grandi linee di riferimento.