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MUCCIOLI, OKLAHOMA ED ALTRI RECLUSORI:
le comunità devono essere affidate alla
responsabilità di professionisti controllati
da un Ordine

La questione Muccioli è la spia di una situazione che da anni chi si occupa di comunità va denunciando. Mentre San Patrignano occupava le prime pagine delle gazzette, pochi hanno notato nelle pagine interne la notizia che il responsabile della comunità per minori Oklahoma di Milano è stato accusato di atti osceni con i suoi utenti. E intanto don Benzi invita a scavare nei parchi delle comunità, in cerca di eventuali cadaveri di desaparecidos.
La vicenda è una messa in stato di accusa anzitutto dello Stato che con l'episodio Muccioli si scopre interessato solo alla reclusione dei tossicodipendenti e di tutti gli emarginati del genere. In oltre venti anni di storia della comunità lo Stato ha dato soldi a chiunque li chiedesse senza controlli, senza imporre standards, senza effettuare ricerche di qualità. È evidente che l'unico interesse dello Stato era quello di togliere dalla circolazione i tossici disturbatori della pubblica buona coscienza. Lo Stato infatti non permette che si metta sul mercato un farmaco, si apra un ospedale, si avvii una scuola senza che esistano opportuni controlli e serie garanzie. Nel caso delle comunità, ogni cosa va bene: programmi deliranti (le saune di Narconon), modelli organizzativi da caserma (Muccioli), personale che come solo titolo  ha il fatto di essere stato tossicodipendente (quasi tutte le comunità).
Quest'ultimo delirante costume, se esteso, potrebbe dar vita a sezioni di chirurgia gestite da ex-operai, corpi di polizia fatti da ex-carcerati, reparti psichiatrici condotti da ex-pazienti.
In cambio di questa reclusione lo Stato ha da una  parte chiuso gli occhi e dato soldi a chiunque (magari in una logica clientelare che puntava al voto di  scambio), ma anche risparmiato sulle rette. Ancora oggi ci sono molte UUSSLL che pagano 30.000 lire al giorno per un tossico in comunità e non solo molte quelle che arrivano a 80.000 al giorno, quando lo stesso utente in carcere costa 300.000 lire al giorno ed in ospedale 600.000. Ma la vicenda ha anche disoccultato la coda di paglia dell'intero movimento delle comunità che da anni si guardano bene dal chiedere una serie pulizia del settore. Da una parte perché sono poche quelle che, ad un esame serio, avrebbero i titoli per restare aperte; dall'altra perché tutte hanno partecipato alla spartizione della torta, a pioggia e senza controlli. Non si può passare sotto silenzio che all'insegna del povero tossico e della non finalità di lucro, molte comunità sono diventate vere grandi imprese, a volte multinazionali, con fatturati di miliardi e con un potere politico molto forte, offerto a sostegno di questo o quel partito del regime (ovviamente governativo). Non sono pochissimi i dirigenti del settore sociale che girano in aereo privato e che controllano centinaia di voti, utenti, operatori, benefattori e opinione pubblica.
In questo settore è successo quello che è capitato, nel famigerato ventennio oggi in declino, in tutto il "sociale": cioè coi matti, gli handicappati, gli anziani, i minori abbandonati, la sanità. Il regime dava soldi e chiudeva gli occhi, il privato sociale fungeva da "contenitore" del disagio e garantiva il  consenso al regime. Tutti gli Assessori all'Assistenza regionali o comunali hanno goduto del silenzio-assenso delle comunità per ogni nefandezza che facevano, se pagavano regolarmente e senza controlli le rette alla comunità.
Si dice che Muccioli ha fatto "tanto bene". A parte il fatto che l'opinione pubblica è giustamente pronta a crocifiggere qualsiasi primario ospedaliero, qualsiasi insegnante, qualsiasi magistrato e qualsiasi cittadino che sbaglia, senza guardare tanto al passato ed ai meriti, dove sono le prove di queste migliaia di sbandierate "guarigioni"? Con Muccioli e gli altri capi carismatici delle comunità ci si basa sulle autodichiarazioni: non esistono praticamente né statistiche né ricerche sugli esiti, addirittura non si sa neppure quanti tossici entrano e escono dalle comunità, e non si sa quanti smettono davvero. Questa indeterminatezza è stata sostenuta da molte comunità mediante il comico espediente di dichiararsi "comunità di vita", quindi non vincolate a impegni di cambiamento e dunque non sindacabili, ma naturalmente molto attive nella corsa ai finanziamenti.
Siamo in un Paese dove per scrivere una lettera circolare occorre un direttore responsabile iscritto all'Albo (sia pure nell'elenco speciale) dei giornalisti; per aprire una trattoria occorrono licenze a caterve, patentini, certificati; per fare il maestro di sci si deve essere iscritti ai registri regionali, superando corsi ed esami. Per aprire una comunità per tossici basta un appartamento, un leader ammanicato col regime e qualche giovane disperato: i soldi arrivano subito!
Come psicologi, e speriamo che l'Ordine si batta anche per questo, dobbiamo fare una battaglia per sancire:
1-     
che ogni comunità, dove esista la pur minima differenziazione di trattamento fra operatori ed ospiti, è rieducativa o terapeutica, cioè impegnata ad indurre cambiamenti;
2-     
che i finanziamenti pubblici devono essere riservati a comunità che si impegnino a produrre cambiamenti verificabili e ad accettare standards e controlli;
3-     
che per aprire una di queste comunità occorre che vi sia un direttore responsabile O MEDICO O PSICOLOGO, cioè iscritto ad un Ordine, che possa fungere da deterrente contro gli abusi.

Guido Contessa