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LA
DISTANZA FORMATORE - FORMANDI:
SOLO
UN PROBLEMA DI ETICA?
Qual
è la distanza giusta tra formatore e formandi?
Come deve comportarsi un formatore negli spazi extra-aula?
È corretto protrarre i tempi di relazione con i formandi al di fuori degli
spazi ad essa dedicati istituzionalmente e contrattualmente?
Sono domande legittime che purtroppo molti formatori in erba (e non) preferiscono
non porsi, forse perché troppo implicati dal punto di vista personale.
È innegabile che il formatore, che il più delle volte lavora solo, è in
trasferta da solo, magari in una città ignota, senta il bisogno di socializzare.
I momenti extra-aula gli si presentano allora come occasioni particolarmente
ghiotte: si sente meno vincolato a dover "tenere il ruolo", può
stare al centro dell'attenzione del gruppo e sentirsi gratificato dalla
curiosità che i partecipanti sembrano dimostrare nei confronti della sua
vita privata, può addirittura sfruttare la sua popolarità per mettere a
segno un invito a cena ad una partecipante, magari la più carina
Si potrebbe continuare a lungo l'elenco delle possibilità che questa
professione offre nei momenti di relax, e con questo l'elenco delle attività
"parallele" nelle quali alcuni formatori sono stati visti indulgere.
Ma potrebbe sembrare un'esagerazione, magari il frutto della fantasia e
della creatività di chi scrive. Limitiamo il campo di osservazione all'apparentemente
banale colazione di lavoro che veda riuniti attorno allo stesso tavolo i
partecipanti al corso e il loro formatore. Con questo semplice gesto, il
formatore di turno entra pesantemente nelle dinamiche di quel gruppo, il
più delle volte ostacolandone l'evoluzione. Come?
Ad esempio così:
a) sedendosi di
fianco ad alcuni partecipanti e lontano da altri (come è inevitabile), già
ne privilegia alcuni a discapito di altri. È, dato che incarna la figura
dell'autorità, impossibile dimenticare che tutto ciò se lo ritroverà poi
in aula sotto forma di alterate dinamiche di potere. Se poi cerca di bilanciare
questo fenomeno intrattenendo una conversazione con tutto il gruppo invece
che soltanto con i vicini di sedia, finisce con il riproporre lo stesso
"setting" presente in aula anche negli spazi destinati allo "scioglimento
delle righe";
b) perde necessariamente
una parte di quell'alone di mistero che molto spesso (particolarmente in
contesti autocentrati) permette ai partecipanti di viverlo come "schermo
bianco" sul quale è possibile proiettare tutto. È come se lo psicoanalista
andasse al bar con i suoi pazienti! Impossibile pensarlo senza che venga
da ridere!
c) può involontariamente
lasciarsi sfuggire espressioni che rendono possibile risalire alle sue convinzioni
personali, magari di carattere valoriale, con tutte le conseguenze che poi
deve gestire in aula, di dipendenza/controdipendenza;
d) impedisce al
gruppo di viversi degli spazi tutti suoi, che molto spesso assumono un'importanza
pari a quelli d'aula, agli effetti della rielaborazione, e che quindi costituiscono
parte integrante del processo formativo.
Sembra pertanto che, più che nell'interesse del gruppo, in questo
caso il formatore agisca nell'interesse proprio, cercando di soddisfare
i propri bisogni. Ma è proprio questa una delle maggiori difficoltà di questa
professione: l'acquisizione della capacità di distinguere i bisogni propri
da quelli altrui e di conseguenza la capacità di agire realmente per il
bene del gruppo e non ad esclusivo beneficio personale, credendo di agire
nell'interesse comune. Pertanto il formatore "fusionale", cioè
quello che non ha imparato a distinguere ruoli e confini - propri e altrui
- non solo a mio avviso non è da considerarsi un professionista serio ed
affidabile, ma è addirittura pericoloso e nocivo.
Lo stesso dicasi per qualsiasi forma di abuso di potere cui il formatore
si abbandoni, per ignoranza o per dolo.
Emanuela Lomuscio