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DOSSIER: "Il vissuto religioso nella pratica clinica"

I miei interessi personali e professionali hanno contribuito a farmi partecipare all'organizzazione di diversi convegni sull'influenza della religione in contesti diversi. Gli argomenti più problematici in questo contesto sono numerosi e sono oggetto di riflessione di studiosi diversi. Per esempio il prof. Ancona della Cattolica di Roma  parte dalla affermazione di Freud che il mondo del sacro dipende originariamente dalla proiezione dei bisogni affettivi inconsci e che questo processo, in funzione della sua collettivizzazione, porta alla religione. Il principio freudiano viene sviluppato indicando anzitutto la precocità assoluta, certo maggiore di quanto generalmente si pensa, del processo in parola e col fatto che i bisogni primordiali del soggetto umano sono frammentati, plurimi, poli-semici. Pertanto il mondo del sacro all'inizio è necessariamente riempito di esseri onnipotenti che gratificano/proteggono il bambino, oppure lo frustrano/minacciano. Ne deriva che la fantasia del bambino è abitata da streghe e da fate, da maghi e da orchi, in un complesso di esseri  animati che può identificarsi come "politeismo". Le popolazioni in via di sviluppo, pagane, ma anche quelle di cultura greca e romana sono di fatto politeiste.
Luigi Silvano Filippi della Sapienza, citando con profonda conoscenza una vasta bibliografia sul problema religioso quale dimensione della personalità, afferma che tale rinnovato interesse affonda le sue radici nella diffusa carenza di ideali e di certezze, causata dal passaggio da una società prevalentemente agricola e statica ad una industrializzata e mobile che però non è andata di pari passo con la maturazione psico-affettiva e morale dell'umanità; da qui è derivata una crisi dei valori tradizionali ed una sofferta difficoltà di affermazione di nuovi valori che siano in grado di soddisfare le aspirazioni profonde dell'essere umano, in particolare il suo bisogno, non solo ma anche di sacro e soprattutto trascendente che oggi avvertono anche molti giovani. Filippi studia anceh la dimensione religiosa di chi si professa ateo e ricordando Godin non è difficile ammettere che nella genesi del sentimento religioso è determinante l'influsso genitoriale dell'infanzia; interessante il concetto di ateismo fisiologico in adolescenti che provengono da un'assidua pratica religiosa. L'adolescente per diventare se stesso deve disidentificarsi dai modelli precedenti ed in generale dal mondo degli adulti per identificarsi in scelte e in valori più personali, assumendone il rischio e la responsabilità. L'ateismo adolescenziale si riscontra più facilmente se la sessualità è stata presentata nell'infanzia come proibita da Dio e dalla religione. Per finire Filippi ci richiama l'attenzione del non confondere il "senso di colpa" con la percezione del peccato. Marco Aletti della Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale pensa che l'atteggiamento nei confronti della religione può articolarsi sia in una adesione di fede sia nel rifiuto ateo; questa bipolarizzazione poggia su un assunto: che non si possa, psicologicamente parlando, postulare nell'uomo un originario "bisogno religioso" di cui l'ateismo sarebbe il non esaudimento e l'ateo sarebbe, di conseguenza, un uomo non pienamente realizzato.
Il compito dello psicologo non va oltre quello di cercare la "verità psicologica" della condotta religiosa, individuando i fattori che ne condizionano l'insorgere e la strutturazione. In sintesi si tratta di studiare le costanti e le variabili psicologiche dell'origine, della struttura e dell'evoluzione della religiosità quali si possono cogliere nell'osservazione positiva dei dati fenomenici. Aletti afferma che non esiste una psicoanalisi della religione in quanto i vissuti religiosi non sono colti come separati ma come integrati nella psicoanalisi della persona. Non posso non citare l'ottimo lavoro della cara amica e collega Geltrud Stickler con la quale da anni mi confronto sulle problematiche religiose nella pratica clinica; in lei come grande studiosa e come religiosa è sempre presente l'attenzione all'ansia suscitata dal vissuto religioso in psicoterapia. Dice infatti: "la componente relazionale del vissuto religioso che collega il soggetto, consciamente o inconsciamente, con un "Altro" e ad un "mondo invisibile" si situa fra la realtà osservabile (soggetto) e il "mistero" (mondo religioso)". Nella pretesa di una neutralità scientifica assoluta si è avuto spesso la tendenza a negare un "Altro" come possibile partner "reale", di eliminare il problema escludendo il religioso dall'indagine psicologica, sia a livello di ricerca che di terapia, di assimilare il vissuto religioso a quello patologico o infantile o anche di interpretarlo quale concomitante "naturale" dei processi di evoluzione psichica ottimale. Singolare e stimolante il lavoro di M. Sartori Modena sui problemi di confine tra vissuto religioso e vissuto laico in cui situa in 3 categorie i vissuti emersi nella sua pratica clinica. Alla prima appartengono i vissuti nei quali il religioso è esperito come forza cosmico-vitale, il cui confine tra ciò che è umano e ciò che è divino non è chiaro: il Divino, in tal caso, viene concepito come energia cosmica universale. Ipotizzo che tali vissuti si aggancino, dal punto di vista psichico profondo, al rapporto simbiotico tipico dell'inizio dell'età evolutiva in cui non è chiara la distinzione tra il sé del soggetto e della madre. Alla seconda appartengono i vissuti in cui il religioso è esperito con netta distinzione del sé umano e quello divino. Il confine tra l'io umano e il tu divino si pone netto, nitido. Il senso del confine rende possibile il dialogo fra i due termini, Dio e l'uomo, e alla simbiosi si sostituisce al rapporto. Dal punto di vista psicologico mi sembra di poter reperire la tipica struttura triangolare del vissuto edipico.  La terza si riferisce all'esperienza del religioso caratterizzata da uno spostamento della percezione dei confini tra ciò che è divino e ciò che è umano.

Maria Rosa Dominici Bortolotti