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APPUNTI DI PSICOLOGIA POLITICA

Di Pietro e gli altri magistrati di Mani Pulite stanno procedendo, nella società italiana, quello che uno psicologo produce in un utente: un prorompente insignt relativo a nodi rimossi, la cui consapevolezza viene rinviata con difese sempre più deliranti. Le difese messe in campo sono quelle classiche della letteratura psicologica: delirio persecutorio (la teoria del complotto), razionalizzazione (l'abbiamo fatto per salvare l'Italia dal comunismo), universalizzazione della colpa (siamo tutti responsabili), paura della morte (l'Italia sarà sepolta da questo terremoto). Qual è la consapevolezza tanto terrificante da richiedere difese così strenue e irrazionali? Cosa il regime non vuole che sia disoccultato? Certo, i difetti vanno tenuti segreti, per non incorrere in pene materiali, ma sul piano psicologico è in gioco qualcosa di più di una catena di atti delittuosi. Mi sembra che lo "psicologo" Di Pietro stia facendo emergere nell'utente Italia una immagine di sé fondata sugli esatti contrari dei valori dichiarati per 40 anni. Un'Italia che si è creduta per decenni nutritiva, ora si scopre vampiresca; laddove si era dichiarata idealista, ora di scopre iper-materialistica; i fautore del socialismo, si presentano ora come piccoli tycoons della mazzetta; i fautori del libero mercato oggi si presentano come oligarchie assistite e corruttrici; 40 anni di democrazia sbandierata, mostrano ora il film di una guerra per bande che hanno comprato e barattato.
Ecco allora che la maggioranza dei benpensanti che per anni ha irriso le letture "sistemiche" della devianza, invocando la responsabilità individuale, oggi diventa alfiere della corresponsabilità. I tradizionali sostenitori delle interpretazioni "ambientali", oggi richiamano alle colpe i singoli. In mezzo a questa temperie, i commenti alla caduta del monarca del socialismo italiano, esprimono bene "la nostalgia del principe" che in Italia ha radici, mai sopite, di secoli. E la passività dei giovani, dei gruppi antagonisti, dei ceti emarginati illustra bene il torpore indotto da quindici anni di repressione e manipolazione. Tre suggestioni per concludere. La prima è che la società italiana del dopoguerra non può essere considerata una "unità": essa può essere definita una società "non inclusiva" nella quale un regime sostenuto dai due terzi degli italiani ha emarginato, sfruttato o criminalizzato il restante terzo. La crisi attuale è crisi di regime, cioè della maggioranza, e non del Paese, un terzo del quale oggi vive in fase di "liberazione". La seconda è che la ricostruzione di uno Stato moderno può solo passare da un nuovo "contratto sociale" che si fondi su due principi: la inclusività e l'assoluto rispetto delle regole formali. La terza è una domanda: cosa dire, in attesa del XXI° secolo, ai giovani, ai poveri, ai tossicodipendenti, ai cassaintegrati, per trattenerli nella vendetta? Si registrano oggi tre atteggiamenti diversi di fronte alla crisi. Due sono centrati sul passato, e sono determinati dalla paura e dalla vendetta, la seconda caratterizza i "giustizialisti". Solo dal terzo atteggiamento, centrato sul futuro e demarcato dalla speranza, e che definisce i "costruttori", potremo avere qualche contributo al nuovo sistema pattizio. I portatori di questo atteggiamento sono gli unici a dare risposte ai "non inclusi" e dare la forza per cambiare al regime paralizzato dall'orrore di sé. Purché si ricordino di un fattore essenziale alla costruzione della fiducia: il gesto simbolico e la sensibilità rituale.

Guido Contessa