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CONGRESSI & CONVEGNI
ADOZIONE INTERNAZIONALE

Il Centro Italiano per l’Adozione Internazionale (CIAI) ha tenuto il 23 aprile scorso a Castrocaro Terme (Fo) il suo consueto convegno annuale con due relazioni su “L’adozione internazionale – dalla domanda al decreto di idoneità”, che ha analizzato le procedure giuridiche dell’adozione internazionale introdotte dalla Legge n. 184/83 e su “Il bambino straniero – fantasie e aspettative delle famiglie”, che ha invece affrontato i diversi aspetti psicologici dell’adozione dei bambini provenienti dal Terzo Mondo, soprattutto dall’India e dall’America Latina. È stato un momento di ampia riflessione e acceso dibattito con la partecipazione di esperti – psicologi e giuristi -, genitori adottivi ed  operatori del settore.
Il CIAI opera oramai da 20 anni nel campo dell’adozione internazionale e nel 1068, quando si costituì, i consensi erano piuttosto rari e molti bambini stranieri non trovavano una famiglia italiana disposta ad adottarli. Allora era ancora facile adottare un bambino italiano e l’adozione internazionale implicava una scelta, spesso difficile e contrastata, di solidarietà più che l’espressione del desiderio di avere un figlio. Oggi le condizioni sono mutate radicalmente; l’adozione internazionale è diventata un’alternativa forzata a causa della carenza di bambini italiani adottabili. Di conseguenza, molte coppie si rivolgono all’adozione internazionale come una scelta di ripiego e sono così impreparati alle implicazioni razziali che ne derivano. Anche nel nostro paese esiste il problema del razzismo e permangono grosse remore nei confronti dei bambini somaticamente diversi. È quindi necessario che le coppie che intendono adottare un bambino straniero siano consapevoli di dover lottare a fianco e in sostegno del figlio adottivo, affinché questi sia accettato per quello che è in un contesto sociale razzialmente ostile.
Il genitore adottivo necessita di qualità speciali, perché è un genitore speciale: ciò è ancor più vero nel caso dell’adozione internazionale. I genitori naturali possono essere vissuti dal bambino come “buoni”, perché quelli veri, oppure “cattivi”, perché lo hanno abbandonato. Allo stesso tempo, i genitori adottivi possono essere vissuti come “buoni”, perché fonte dell’affetto negato in precedenza, o come “cattivi”, perché causa della separazione dai genitori naturali. Inoltre, l’adozione complica significativamente i ruoli, soprattutto quello materno. Di chi è figlio il bambino adottato? Della madre vecchia o di quella nuova; della madre dell’India o di quella italiana; della madre vera o di quella adottiva? Si impone quindi la necessità di ricomporre le diverse madri come sfaccettature diverse di una stessa figura materna. Si impone anche la necessità di affrontare adeguatamente il  problema della “rivelazione” al bambino adottato della sua storia passata, assicurando un dialogo continuo e fornendo delle risposte attendibili, anche quando non si sa, che riempiano i vuoti di conoscenza. Ciò può essere realizzato (ri)costruendo la storia del bambino sulla base delle poche informazioni disponibili: si tratta cioè di creare una verità inventata, che sia funzionale sia al bambino che alla famiglia adottiva. Il compito che si presenta alla coppia adottiva è quello di diventare dei “genitori restauratori”, ovvero di ripristinare e restaurare ruoli e vite e di riempire vuoti e mancanze: un compito arduo, che può essere facilmente messo in crisi dai fantasmi del passato.

Lorenzo Rampazzo