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INFORMAZIONE INQUINATA

L'impegno di un maestro

Carlo De Martino, presidente per oltre un ventennio dell'Ordine dei Giornalisti della Lombardia, fu tenace difensore della libertà e della dignità della professione, ma anche valoroso paladino dei complessi valori legati al ruolo dell'informazione. Aveva un grande senso della convivenza civile che bene si accordava con la sua umanità ed il suo calore. De Martino è mancato il 2 maggio scorso, ma il suo impegno per un'informazione chiara, onesta, pulita deve continuare ad essere l'impegno di tutti gli uomini di buona volontà in un momento come l'attuale in cui, citando solo alcuni titoli, si legge di "Infanzia bruciata dai mass-media" , di "Violenze dell'Informazione", di "Storie mostruose per sentirsi buoni" e dove "Se non urli nessuno ti ascolta".

Il male oscuro

De Martino denunciava la presenza nel mondo della stampa di un "male oscuro": un inquinamento provocato da "interferenze palesi o dolosamente occulte". Denunciava i fenomeni del giornalismo-spettacolo, le guerre di concorrenza combattute all'ultimo sangue, le polemiche di basso livello e di pessimo gusto, le vergogne del giornalismo-pattumiera paragonabili a quelle della Tv-trash, la televisione spazzatura. Fino a che punto è un paradosso sostenere che non si fanno più giornali come tali, ma solo in funzione di pubblicità preacquistata da alterare con testi costruiti in sintonia? E non è forse redditizio quel sensazionalismo a tutti  costi che finisce per creare le storie più turpi dal nulla al quasi?

Il mostro in prima pagina

Gli ingredienti nascono da coincidenze ormai note a tutti: un padre sfortunato e certo prive di conoscenze che contano, due o tre medici di poca perizia ed esperienza, uno o più magistrati imprudentemente sollecitati e infine lo slancio avventato dei giornali verso il titolo ad effetto. Così, in poche ore, è nato il "Mostro di Limbiate"  quello che "fa impallidire le efferatezze del marchese de Sade…Non c'è verosimiglianza di alcun genere; c'è la ripugnante brutalità del fatto" (E. Siciliano).
Solo che , per dirla in termini legali, il fatto non sussiste c'è stato un errore , un abbaglio, il padre torna ad essere un irreprensibile insegnante, scusate tanto, abbiamo tutti scherzato….

Violenza e deontologia

La violenza sui minori preoccupa tutti ma un caso come quello di Limbiate fa pensare ad una forma di psicosi. Alla luce di quanto è successo, i principi deontologici contenuti nella legge professionale del 2/2/63, riletti dopo 26 anni, danno una sensazione di rarefatto candore. Come se si parlasse di Don Chisciotte, di codici cavallereschi, d'onore e lealtà, in  un club élitario collocato in un altro pianeta. Sulla terra, nel frattempo, una società sempre più competitiva privilegia l'arroganza, scatena rivalità, giustifica l'aggressività in quanto modello vincente.

Dal potere al sottopotere

Alla vera o  presunta sacralità della professione giornalistica si è sostituita la pratica del protagonismo. Al giornalista che se ne stava tra gli spettatori a raccontare e interpretare tutto quello che accadeva in scena, si è sostituito l'intrattenitore o addirittura il mattatore. L'informazione è potere e come tale va esercitata in modo corretto. Accade invece che la si eserciti come sottopotere, in accordo col potere politico, industriale, finanziario o altro. Di qui la degenerazione, l'inquinamento, il degrado; e il diritto dei cittadini a ricevere informazione comprensibile, completa, veritiera, dove i fatti siano distinti dalle opinioni, è troppo spesso disatteso. Di contro la comunicazione esercita una violenza tanto crudele quanto più la vittima è impossibilitata a difendersi. E la vittima di turno può essere il minore, la donna, il diverso, l'emarginato: più in generale chiunque non disponga di mezzi e amicizie utili a ottenere una rettifica tempestiva, in grado almeno di contenere i danni limitandone gli effetti.

TESTIMONIANZE

Giorgio Bocca: "La caduta del tono e di qualità penso sia comunque legata alle grosse tirature di un giornale: se ci si propone di portare un quotidiano più in là delle 500 mila copie non si può non tenere conto che si deve accontentare tutti, un po' con le notizie, un po' con gli scandalismi, un po' con i settimanali a colori e un po' con l'illusione di vincere del denaro. (…) La tiratura di un giornale non ha niente a che vedere con i giornalisti: noi dobbiamo fare il nostro mestiere, perché alla tiratura ci pensano i responsabili del settore promozioni che oggi con un gioco, domani con un'agendina, assicureranno al giornale sempre nuovi traguardi, senza che la professionalità e la serietà del giornalista siano minimamente prese in considerazione. (….) Sono aumentati gli inserti, settimanali a colori offerti a duecento lire, e altre iniziative mirate alla commercializzazione di un prodotto che pur essendo sempre su carta stampata si allontana sempre di più da quello che dovrebbe essere un buon giornale".
Sul confine fra pubblicità e lavoro giornalistico, G. Santerini: "Le degenerazioni non riguardano solo i periodici, riguardano l'intera categoria, riguardano il prodotto giornalistico, il nostro lavoro. Le degenerazioni di questo impatto della pubblicità sul lavoro giornalistico sono di un'evidenza e di una diffusione estremamente grande. Degenerazioni che io non ritengo casuali".
S. Zavoli: "Il giornalista può, a seconda dei casi, accrescere la conoscenza altrui o offuscarla; rispettare una persona o farle violenza: in ogni caso esercita su di essa un potere. È tempo di farlo restituendo un'etica al nostro mestiere; è tempo di sostituire alla pratica della subalternità e della violenza della cultura del rispetto: verso gli altri e per noi".
Parole sante, quelle dell'ex presidente della  RAI. Che tuttavia trascurano di spiegare come le belle parole possano tradursi in fatti concreti, in impegni operativi nel momento in cui l'inquinamento dell'informazione ha raggiunto lo stesso indice di gravità dell'inquinamento atmosferico.

Massimo Maisetti