PSICOLOGIA: USO E ABUSO
Fino
al decennio scorso la psicologia veniva considerata una disciplina di secondo
ordine, alla quale veniva negato il diritto di entrare a far parte delle
cosiddette scienze adulte e alla quale veniva assegnata solo qualche cattedra
su tutto il territorio nazionale.
Attualmente
anche se non assistiamo al moltiplicarsi delle facoltà universitarie, è
sempre più frequente constatare la presenza di competenze psicologiche nei
curricula formativi di diverse professioni, siano esse proprie del settore
sociale, di quello industriale, del terziario, delle pubbliche relazioni,
della pubblicità, attività quest'ultima, che in molti casi viene utilizzata
come strumento di persuasione e manipolazione delle masse.
Oltre a quelli
sopra citati, ci sono poi contesti in cui è riscontrabile una tendenza allo
sfruttamento di determinati meccanismi psichici per particolari fini ideologici.
Lo stato di Israele, per esempio, allo scopo di contenere le minoranze devianti
- e come tali pericolose - ha strutturato vere e proprie strategie governative
di persecuzione psicologica nei confronti della popolazione palestinese:
chiusura di tutte le vie di comunicazione che collegano i villaggi palestinesi
con l'esterno, costruzione di insediamenti di coloni israeliani circondanti
città e villaggi palestinesi, chiusura di tutte le istituzioni scolastiche
nei territori occupati (dagli asili alle università), frequenti interrogatori
di 6/7 ore a comuni cittadini palestinesi, deportazione ed incarcerazione
di uomini oltre i venti anni di età, isolamento di sedi ospedaliere e di
centri di assistenza della West Bank e della striscia di Gaza, presidi militari
all'interno di luoghi di culto mussulmano
In tale situazione
di oppressione ed aggressione psicologica, oltre che fisica, è sorprendente
notare che la reazione del popolo palestinese, armato di pietre, non è l'abbandono,
la rinuncia o la resa di fronte a fucili e carri armati. Al contrario, quello
che si sta verificando è il tentativo di strutturare uno stato capace di
disarmare il fanatismo, la follia e le nevrosi che muovono il governo israeliano.
Come esempio di tenacia si può notare l'abilità con cui il popolo palestinese
stia affrontando il problema dell'istruzione: il processo avviato è definibile
come una sorta di "rete di trasmissione" che passa da insegnante
a insegnante, da insegnanti a madri, da madri a figli, cosa, questa, che
riesce a garantire una certa continuità culturale e che simboleggia una
grande reattività e resistenza al condizionamento. Probabilmente la reazione
palestinese risulta inaspettata anche per lo stesso stato israeliano, credono
di lottare per una giusta causa nazionale, si è trasformato da aggressore
in vittima del suo stesso dramma psicologico, della sua paura ossessiva,
del "nemico da combattere". Ciò è ancor più grave se lo si considera
alla luce degli avvenimenti storici di cinquanta anni fa, quando il potere
nazifascista ridusse alle stesse condizioni di vita disumane la popolazione
ebraica, sterminando circa sei milioni di persone.
Può forse sembrare
un paradosso, ma questo popolo, che ha provato sulla propria pelle la tragedia
dell'olocausto, sta ora riproducendo gli stessi meccanismi e gli stessi
modelli dei lager, come se questi fossero stati l'unico insegnamento che
tale situazione sia riuscita a trasmettere, e proprio a coloro i quali ne
sono stati i principali destinatari.
E rispetto a tutto
questo, al conflitto israeliano-palestinese, il mondo occidentale, che vive
in situazione cosiddette ottimali, sembra colto dal "sonno della ragione",
al punto che, oggi come cinquant'anni fa, non si solleva uno sdegno generale,
e non si prendono posizioni di condanna a livelli internazionali, di fronte
ad evidenti violazioni di diritti umani e di principi etici quali la libertà
di pensiero, di scelta e di azione.
Roberta Migliaccio