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Dall'applicazione della
legge 180 ad oggi sono stati fatti numerosi passi in avanti, ma purtroppo
la psichiatria a tutt'oggi si riduce alla semplice somministrazione del
farmaco, panacea di tutti i mali che spesso hanno a che fare con problematiche
psicologiche.
Dai "banali" stati di ansia sino alle psicosi più gravi (vedi
schizofrenia) lo psichiatra non fa molto di più che prescrivere settimane
di internalizzazione (leggi ricoveri in ospedale che poco hanno di differente
dagli "antichi" manicomi) e imbottimento farmacologico. Si sa,
gli psicofarmaci portano all'assue-fazione oltre ad essere, per se stessi,
probabilmente poco efficaci, quindi con gli anni molto spesso si assiste
alla cronicizzazione dei problemi invece che alla loro risoluzione.
La pratica psicoterapeuta è ancora poco diffusa e dove viene prevista si
tratta di semplici "colloqui" su "come va e come non va".
Non si vuole qui sostenere che tutte le malattie mentali trovano la loro
origine in problematiche psicologiche e che siano quindi risol-vibili con
pratiche psicoterapeutiche serie, ma bisognerebbe quantomeno ricercare le
cause dei problemi invece di formulare diagnosi sulla base dei sintomi e
quindi procedere all'eliminazione degli stessi coi farmaci. Se non viene
rimossa la causa difficilmente il sintomo sparisce!
La strada corretta sarebbe, a mio giudizio, scoprire l'origine del problema
e su questa strada lavorare con interventi psichiatrici, psicoterapeutici,
educativi, animativi, assistenziali e quant'altro.
Spesso i sintomi non sono altro che la manifestazione palese di problemi
psicologici irrisolti e quindi vanno affrontati con strumenti appropriati.
È chiaro che se si procede con una psicoterapia, questa deve essere condotta
da persone serie e capaci così come gli altri operatori del sistema.
Ci sono casi di persone in terapia da dieci anni che sono si sono mosse
di un centimetro rispetto all'inizio della terapia.
Inoltre c'è da dire che il malato viene generalmente considerato come l'oggetto
e non il soggetto della situazione. Questo porta al non ascolto effettivo
dei vissuti e problemi reali del paziente (sia quelli personali sia quelli
con la struttura o le persone referenti).
È vero, la 180 ha contribuito alla costruzione di strutture con
all'interno le diverse professionalità che necessitano i malati mentali,
ma questo non è sempre sintomo di efficienza ed efficacia degli interventi,
ed inoltre, paradossalmente, il malato ha poco spazio, è poco protagonista.
Ultimamente si stanno creando in Italia (Massa Carrara ne è esempio) gruppi
di auto-aiuto psichiatrico, e tra gli obiettivi di questi gruppi c'è quello
della deistituziona-lizzazione. È previsto che anche in un CPS di Milano
entro la fine dell'anno la USSL finanzi un progetto di self-help.
Siamo comunque ancora molto lontani da quella psichiatria democratica che
gli stessi operatori in parte auspicano. Girando un po' gli "ambienti"
e soprattutto parlando con gli utenti si ha la percezione che un malato
mentale non abbia alternative che quella di rimanere legato al proprio servizio
e allo psichiatra privato per il resto dei suoi giorni.
Si coglie la speranza di guarigione improvvisa, si colgono atteggiamenti
di dipendenza dagli operatori e dal servizio che dovrebbero quantomeno
preoccupare, se non per il fatto che tutte queste cose non nascono quasi
mai dal paziente solamente, ma vengono alimentate abbondantemente.
Bisogna richiedere più professionalità e serietà a chi lavora con
la salute degli altri!
Roberta Migliaccio