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La Psicologia italiana, come altre pratiche
professionali dell'immateriale, è di fronte ad una sfida, il cui esito influenzerà
molto lo scenario culturale del prossimo secolo.
La sfida risiede nella capacità di rispondere ai bisogni sociali diffusi,
in modo autonomo e senza la mediazione del potere. E questa sfida sarà vinta
solo se la psicologia si inoltrerà sulla strada della libera professione
e dell'impresa autonoma. Cerchiamo di spiegarci.
È indubitabile che il bisogno di psicologia, cioè di consapevolezza, riflessione,
espansione e crescita delle capacità umane dei singoli e degli aggregati
umani è in aumento in tutto l'Occidente.
La Società post-moderna sta entrando a vele spiegate nell'Era della Luce,
dell'Immateriale, del Desiderio, in sintesi della Soggettività, mentre individui,
gruppi, organizzazioni e comunità sono ancora profondamente modellati sui
principi della Materia e della Penuria, cioè della sedicente Oggettività.
Il predominio dei bisogni primari, sottomessi all'economia, sta per essere
sostituito dal regno dei bisogni secondari, regolati dalla psicologia: e
milioni di uomini, in forma individuale ed aggregata, sono alla ricerca
di risposte che solo la psicologia può dare. Come vivere i ruoli, come educare
i figli, come gestire i sentimenti, come raggiungere e mantenere il benessere
psicofisico, come inventare nuove soluzioni per il lavoro organizzato, come
ricostruire le convivenze comunitarie, sono alcune delle domande diffuse
in tutto l'Occidente. E sono domande alle quali la professione psicologica
può dare le risposte più competenti. Dare queste risposte significa per
la psicologia insediarsi socialmente ed assumere la leadership scientifica
e culturale del prossimo secolo.
Ci sono però due sfide da vincere.
La prima è quella che deriva dal controllo che il ceto dominante (politico,
burocratico e produttivo), nella seconda metà del XX secolo ha mantenuto
su tutte le attività immateriali, ivi compresa la psicologia. Il dominio
della politica e dell'imprenditoria sulla psicologia, giustificato dalla
teoria del Welfare State e delle Human Relations, ha consentito il controllo
e la manipolazione dei bisogni immateriali. Un controllo che si è aggiunto
a quelli già operanti attraverso i sistemi dell'istruzione, della cultura
e dell'arte, dell'informazione, dei mass media. La psicologia, in quanto
pubblica e/o dipendente, è stata nei fatti asservita alle strategie del
dominio e del controllo, restando molto al di qua delle sue possibilità
di risposta ai bisogni sociali diffusi. Il grado di libertà di uno psicologo
operante nel sistema sanitario nazionale, nel sistema scolastico, nell'Ente
Locale, come nelle imprese e nei mass media, è molto vicino allo zero,
e tale è, di conseguenza, la sua utilità reale nella risposta ai bisogni,
ai processi sociali, ai progetti di crescita. La prima sfida da vincere
è dunque quella della emancipazione della psicologia sulla sottomissione
al potere politico ed economico. Il che può avvenire solo con il ripristino
di una relazione diretta, senza intermediazioni, fra psicologi professionali
ed utenti. Questo significa che la condizione dell'espansione è la libera
professione psicologica.
La seconda sfida da vincere è quella della elaborazione e fornitura di prodotti
e servizi psicologici di massa. Se la psicologia vuole rispondere alle domande
sociali, non può limitarsi all'angusto panorama dei servizi messi a punto
e verificati in cinquant'anni di asservimento alle logiche del potere. I
prodotti e i servizi sinora sperimentati su larga scala dalla psicologia
sono stati essenzialmente due: la terapia e la selezione. Cioè una azione
di riparazione ed una di controllo. La psicologia è stata finora esclusa
da funzioni di creazione, crescita, espansione. L'architettura e l'urbanistica
erano chiamate a governare lo spazio mentre la psicologia doveva riparare
i guasti causati ai Soggetti, dalle città. L'economia e la sociologia erano
chiamate a progettare il lavoro, mentre alla psicologia erano lasciati i
compiti di adattamento (selezione, addestramento, formazione). La politica
ed il diritto avevano la competenza di regolare la marcia e la direzione
del patto sociale, ed intanto la psicologia doveva organizzare i processi
di scarto ( emarginazione, devianze, malattia mentale). Con una storia simile
alle spalle è una grande sfida, quella che oggi la psicologia si trova ad
affrontare. Che è quella di passare alla creazione e fornitura di prodotti
e servizi per la progettazione , la negoziazione, la gestione dei diversi
aspetti della vita quotidiana. Dalla riparazione all'adattamento, la psicologia
è chiamata a concentrarsi sulla costruzione, lo sviluppo, il cambiamento,
l'espansione e la crescita. Dalla patologia e dal disagio, la psicologia
deve passare alla fisiologia e all'agio, re-inventandosi prodotti, servizi,
procedure e competenze. Il che può avvenire solo concependosi la psicologia
come impresa multidisciplinare e pluriprofessionale, cioè come pratica leader
di tutte le altre professioni limitrofe, interessate alla fisiologia ed
all'agio della vita quotidiana.
Queste ragioni socio-politiche che giustificano il passaggio della psicologia
da pratica dipendente e pubblica, a libera professione e impresa, si accompagnano
anche ad altre meno nobili ma non meno impellenti.
Nel 2010 gli psicologi iscritti all'Ordine saranno più di 50.000, e meno
della metà troverà posto nei servizi pubblici. Nelle imprese private, la
tendenza al downsizing, svilupperà sempre più il processo di espulsione
dei professionals, considerati sempre meno come possibili dipendenti. Si
preferirà avere gli psicologi come consulenti esterni e temporanei piuttosto
che come dipendenti stabili. Tutto ciò significa che per 3.000 psicologi
la libera professione e la impresa autonoma non saranno più una scelta ma
una via obbligata.
La professione psicologica fino ad oggi si è sviluppata in gran misura in
forma dipendente e nel settore pubblico. La psicologia autonoma e privata
si è ridotta in grande misura allo studio individuale col lettino o poltrona.
La nobiltà e libertà di un lavoro solitario e spersonalizzato, mostra in
modo sempre più evidente i suoi lati oscuri. Uno studio professionale individuale
non ammette malattie o vacanze, perché rende quasi impossibili le sostituzioni.
In quanto legato al singolo psicologo, non consente un accumulo di valore,
perché non è delegabile né vendibile: quando un professionista vuole chiudere
il suo onorato studio, non può regalarlo ad allievi né venderlo a terzi.
Infine, e ciò è più limitante, uno studio individuale consente una limitata
tipologia di prestazioni e seleziona fortemente l'utenza. Il professionista
offre uno o due tipi di servizi, ed è l'utente che deve adattarsi a questi.
Col risultato non raro di servizi venduti anche quando non utili né necessari.
Lo studio individuale privato è insomma "worker oriented" e non
"marketing oriented" , cioè modellato sul prestatore e non sui
bisogni del mercato. La flessibilità è difficile, la pluralità di offerte
è quasi impossibile, i bisogni del cliente sono segmentati invece che visti
nella loro interezza.
L'unica soluzione possibile a questi problemi è quella di una psicologia
professionale che si organizza come impresa autonoma, mono o anche pluriprofessionale.
L'impresa psicologica garantisce:
1.autonomia e negozialità nei confronti del committente, pubblico o privato;
2.pluralizzazione dell'offerta di servizi e prodotti e dunque un maggiore
orientamento al mercato dei bisogni;
3.spersonalizzazione del lavoro psicologico che può dunque essere sostituito,
ceduto o venduto.