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L'istituzione ospedaliera
(ospedale generale) è forse l'ultima "fortezza" che resiste alla
penetrazione della psicoterapia nelle istituzioni mediche.
I motivi di questa resistenza ad un intervento, in pratica, centrato sulla
persona e non sulla malattia, da parte di un'istituzione che rappresenta
la sintesi delle patologie organiche (spesso senza un reparto di Psichiatria
o Psicologia Clinica, ma al massimo con dei consulenti Psichiatri o Psicologi),
sono motivati nell'Ospedale Generale dalla esistenza di regole formali e
dal modello di rapporto medico-paziente vietamente paternalistico e deresponsabilizzazione,
tendente quindi ad indurre una massiccia aggressione. È importante considerare
anzitutto la notevole rilevanza emotiva, mobilitante spesso ansie, inquietudini
e attese delle persone che sono ospedalizzate. Spesso tutto ciò da origine
a una particolare posizione di pre-transfert generale anche se variabile
secondo la personalità e la patologia di cui è portatore il paziente.
L'esperienza di psicoterapia che ho potuto portare avanti nell'ospedale
romano dove lavoro come consulente psicologico ha, naturalmente, risentito
dell'ambiente e della naturale limitazione di tempo imposta dall'istituzione
sanitaria in argomento. Le tecniche usate sono quelle che hanno maggiormente
influenzato la mia formazione di psicologo e di psicoanalista neoreichiano
(Analisi Bioenergetica, Psicodramma, Gestalt, Training Autogeno, etc).
I pazienti mi vengono segnalati dai primari delle divisioni ospedaliere,
o da altro personale - medici, caposala, infermieri - o, diversamente, chiedono
di parlare con me. I pazienti esaminati (a parte quelli con cui ho avuto
qualche colloquio volante), in tre anni sono stati 381 di cui 214 di sesso
femminile e 167 di sesso maschile.
Più specificatamente si possono dividere così:
Maschi Femmine
Depressi
46 68
Tossicodipendenti 33
15
Obesi 26
60
Malattie psicosomatiche 16
30
Problemi sessuali 35
10
Condotte suicidarie manifeste 5
21
Anoressia Mentale 1
9
Alcoolisti
5 1
Può essere interessante un caso da me usato con tecniche di psicoterapia
sul corpo.
Il caso in questione si tratta di una donna di 37 anni obesa. Ha
avuto altri due ricoveri nello stesso reparto di Endocrinologia a distanza
di un anno circa, quando l'ho conosciuta io pesava 68 kg., (altezza 1,56
m) casalinga con due figli maschi uno di 12 e l'altro di 8 anni, il marito
fa il rappresentante farmaceutico. Si è sposata a 24 anni, dopo aver interrotto
gli studi di ragioneria e dopo aver smesso di lavorare come commessa in
una libreria in cui lavorava da tre anni. Molto dipendente dalla madre la
quale ne approfitta per cercare quotidianamente in qualsiasi modo di "dettare
legge" in casa alla figlia, soprattutto per quanto riguarda l'educazione
dei bambini. La paziente che fino a 25 anni pesava al massimo 58 kg. non
riuscendo a perderne che qualcuno dopo mesi di dieta a suo dire "ferrea".
Si era, allora, cominciata a documentare su tutti i rimedi contro l'obesità,
contattando molte persone esperte e acquistando anche molte pubblicazioni
specialistiche ma sempre con scarso risultato. Nel primo colloquio ha parlato
quasi sempre lei. Era come ascoltare la lettura di un tratto di psicosomatica,
di psicoanalisi e di endocrinologia messi insieme: " Per me il cibo
è un alimento emotivo per recuperare le carenze affettive di una volta.
La incorporazione orale mi ha dato modo di placare una tensione dovuta a
un bisogno insoddisfatto
si è vero l'obesità può essere dovuta al
cattivo funzionamento delle ghiandole endocrine o allo scarso esercizio
fisico, ma per me l'introduzione di cibo è un fattore decisivo
"
etc.
In un altro incontro la sottopongo all'associazione con le parole
di stimolo di ispirazione Junghiana:
STIMOLO RISPOSTA
Uomo
donna
Albero frutto
Aria acqua
Dolore pianto
Acqua piena
Paura pesante
Luce vergogna
Cibo attesa
Piccola Terry (lei)
Freddo lontano
Pulito bollito
Famiglia caos
Padre triste
Tempo bello
Madre via
Addio assente
Aiuto papà
Duro colpo
Amore sicuro
Ansia mangiare
A questo punto la paziente
si interrompe e si mette a piangere, prima molto silenziosamente e poi sempre
più forte e disperatamente e mi racconta la sua continua paura della morte
di suo padre (era morto cinque anni prima per cancro allo stomaco), e avrebbe
fatto qualsiasi cosa per non vederlo triste e deluso (era un maestro elementare
e cercava di scrivere canzoni senza successo), della madre che spesso rimproverava
il padre perché non guadagnava abbastanza. In seguito un esercizio è stato
particolarmente interessante per la paziente: quello di lasciarsi andare
all'indietro su due materassi messi a terra. Riporto qui parte della registrazione
che ho fatto.
"E' incredibile
non ho mai provato niente di simile
è,
qualcosa di straordinario
io, io penso che questo può rassomigliare
al piacere fisico
insomma all'orgasmo
ma allora io non
ho mai provato l'orgasmo! Pensavo di provarlo
mi ero convinta di questo
mi ero lasciata vincere dalle aspettative del marito
porca miseria!
tutto così
tutto deve andare al posto, secondo lui
io
sono stufa di tutto questo ordine
vorrei urlare e non ci riesco
ho tanta voglia di muovermi
di continuare a cadere sul materasso
mi faccia continuare
la prego
ho paura di non sentire più niente".
Un altro incontro importante è stato quello in cui ho usato la tecnica di
Leonard Orr. La tecnica (anche se ha diverse varianti) consiste generalmente
nel far respirare la paziente in un certo modo, per un certo tempo (spesso
più di un'ora) in posizione supina o in altre posizioni, incoraggiandola
a respirare sempre con lo stesso ritmo, stando a contatto con lei e con
quello che succede.
Dopo circa 15 minuti la paziente dice di avere freddo e comincia a tremare.
Poi dopo qualche minuto comincia a ridere. La risata parte dalla pancia
e il soggetto fa strani movimenti con le mani come se volesse liberarsi
da qualche cosa che c'è nell'addome, poi comincia a sudare anche se ha i
piedi gelati; io prego la mia collaboratrice (un medico del reparto interessata
alle mie tecniche) di dare contatto con le mani ai piedi della paziente
finalmente la voce irriconoscibile della paziente dice: morte
, morte
,
morte.
Ha un conato di vomito che non tira fuori niente
poi, all'improvviso
apre gli occhi e canta un motivo dolcissimo, quasi una nenia
Cerca
la mia mano, la stringe e dice: "Grazie!
Non vuol dire niente,
vero?". Ho continuato il trattamento in ospedale per circa due mesi
(tre volte la settimana), poi ambulatoriamente per altri tre mesi una volta
alla settimana. Ambulatoriamente usavo soprattutto la tecnica del Drammautogeno,
una tecnica messa a punto da me e da altri collaboratori, ispirata alle
tecniche psicodrammatiche Moreniane, al teatro di Grotowski e del "Living",
alle teorie del movimento di Moshe Feldenkrais e alla mia esperienza di
regista teatrale e di Analista Bioenergetico. Sarebbe lungo descrivere la
tecnica ma, si può dire che la finalità del Drammautogeno è quella di far
rivivere autogenamente e spontaneamente l'azione che esiste nella persona
potenzialmente e per qualsiasi motivo continua ad essere bloccata; insomma
crea nuove vie per uscire dalla trappola del corpo e della mente. Questo
intervento è stato fatto con la paziente singolarmente, insieme al marito,
insieme alla madre, e poi, in sede plenaria, con la paziente, il marito,
la madre, una collaboratrice ed io.
La paziente dopo circa quindici mesi dall'inizio del trattamento psicoterapeutico
sul corpo (in questi ultimi dieci mesi è stata in contatto con me solo telefonicamente
due volte al mese) ha attualmente questa situazione:
1) E'
dimagrita 25 kg (pesa 61).
2) Lavora con soddisfazione
come rappresentante di una casa produttrice di cosmetici.
3) Sta cercando di prendersi
il diploma per iscriversi alla Facoltà di Psicologia per approfondire lo
studio della patologia del comportamento alimentare.
4) Ha avuto
delle effettive esperienze sessuali, prima extraconiugali e attualmente
coniugali molto soddisfacenti.
5) Non cerca più
molto la madre, ma ora è più la madre che cerca lei.