La festa: un'analisi psicosociale di Guido Contessa* (1980)

SOMMARIO:

1. Festa e sistema
2. La Festa dell'uomo e l'uomo della Festa
3. La Festa come con-vivere
4. La Festa come ri-vivere
5. La Festa come sur-vivere
Conclusioni

1. Festa e sistema

La Festa è una delle tante manifestazioni della vita quotidiana nella nostra società. A livello di fenomeno essa dunque non si sottrae a quelle caratteristiche che la società nel suo complesso induce in tutte le sue manifestazioni. La festa cioè è un subsistema culturale, economico e psicologico di quel più vasto sistema che è la società occidentale.
Un'analisi critica della Festa, così come è oggi quotidianamente vissuta, non può che risultare una verifica dell'analisi critica più vasta che possiamo fare sul sistema sociale.
Dal punto di vista psicosociale possiamo identificare due categorie di Feste; la Festa in cui l'obiettivo principale ed il carattere peculiare è la socialità, lo stare assieme, il ritrovarsi; e la Festa centrata invece sulla rievocazione, la celebrazione, il rito. Nella prima categoria, che possiamo chiamare "Festa sociale" rientrano le feste fra amici, e quelle familiari, le feste fra appartenenti ad una stessa categoria (gli studenti, gli alpini) o ad uno stesso Partito (DC, PCI, PSI) o ad una stessa associazione (le Adi, il Rotary), ed infine le feste di quartiere o di paese. Nella seconda categoria, che possiamo chiamare "Festa rituale", rientrano le celebrazioni religiose (Natale, Pasqua, S. Patrono) e quelle laiche (Liberazione, 1°Maggio). Naturalmente esistono molti tipi di Festa che si presentano come una mescolanza fra questi due estremi, come per esempio il Natale; purtuttavia ogni festa, ad un'attenta lettura, ha caratteristiche specifiche che la collocano preferenzialmente in una di queste due categorie.
Nella Festa sociale il soggetto e l'oggetto della Festa coincidono. Il "noi"è il centro dell'evento e questo "noi" presuppone un'appartenenza ad una famiglia, ad un gruppo di amici, ad un'associazione, ad un Partito, ad una comunità paesana o urbana.
Nella Festa rituale invece, soggetto ed oggetto sono separati; da una parte il gruppo o la massa che celebra il rito, dall'altra l'evento o il personaggio celebrati. Fra i due elementi non esiste un legame di appartenenza, semmai un legame di memoria (la Liberazione) o di speranza (l'Anno Nuovo). La prima osservazione che possiamo fare, è che negli ultimi decenni abbiamo registrato il fenomeno di una "morte della Festa", accanto a una larga diffusione di eventi che possiamo definire come "Festa della morte". In base alla categorizzazione sopra enunciata può risultare evidente il perché di questa inversione; la Festa è morta perché sono morti il " noi ", la memoria e la speranza.
Il " noi " è morto con la disgregazione del tessuto sociale, per cui famiglia, città, paese, associazione, Partito sono diventati contenitori senza contenuto; luoghi non più capaci di creare identificazione e coesione; simulacri privi di senso. La memoria è morta con la negazione della Tradizione, laica o religiosa, operata a partire dal '68, in modo evidente, ma a partire da assai prima in modo latente, con la affermazione della società dei consumi e della tecnica. Consumo e tecnica sono infatti la negazione del Passato, o meglio, la inconsapevole incorporazione del passato m forme caduche di presente. La speranza è morta da tempo con l'alienazione, l'espropriazione degli uomini dal lavoro e dalla Storia, e con la caduta di fede nel trascendente. Sono infatti quasi sparite le feste propiziatorie, ed a Capodanno ci si augura ormai solo che non vada peggio!
La morte della Festa intesa come evento die nasce sul " noi ", sulla speranza o sul ricordo, ha prodotto un'infinità di Feste della morte, cioè di Feste di cui è rimasto il corpo ma non lo spirito.
Proprio attorno al corpo ruotano infatti le Feste cui siamo abituati.
Anzitutto la Festa dei nostri tempi è legata al movimento, cioè allo spostamento o allo scuotimento del corpo. Ci si reca ad una Festa, in una casa, in una città o in un quartiere diverso; giunti sul posto si passeggia, si fa corteo o processione, ci si sposta da un angolo all'altro; quasi sempre la Festa culmina col ballo.
Si può dire che il corpo si muove alla ricerca della Festa, che non ha più in sé. Ma è un corpo sonnambulo, non consapevole, che si lascia muovere che è mosso dalla fiumana, dalle luci, dalla musica. Non è l'Io che si muove, ma il corpo dell'Io che è mosso. In secondo luogo, la nostra Festa è c'entrata sull'oralità. Pare non esista Festa dove non si incorpori qualcosa. Se fino a mezzo secolo fa questo poteva avere un riferimento con un'economia di scarsità, oggi il mangiare nella Festa non ha altro significato se non quello della regressione, dell'ingozzamento infantile. La psicoanalisi ci insegna che la regressione a piaceri pregenitali, come quelli orali, ha a che fare con un senso di mancanza e con l'istinto predatorio. Si va ad una Festa per mangiare o per bere, cioè per prendere. Questo prendere oggi è un fenomeno allargato, con la diffusione dei mercatini durante le Feste, ma che esisteva già con l'uso del souvenir della Festa, il cui carattere tipico era, ed è stato, dal fatto di essere un simulacro del simulacro. La Festa sta al posto di qualcos'altro che è morto (il " noi ", la tradizione, la speranza) ed il souvenir sta al posto della Festa!
Infine la Festa odierna ha sempre a che fare con altre due parti del corpo: l'occhio e l'orecchio. Non si da quasi Festa senza scenografia, colori, luccichii, musiche, rumori, insomma cose da vedere e cose da sentire. Dal Natale in casa, con festoni, palloncini, carte metallizzate, tovaglia "bella ", alla Festa in piazza, tutta fuochi d'artificio, discorsi roboanti, sfilate, apparizioni, luminarie, musiche. La Festa deve appagare occhi ed orecchi, deve riempirli, possederli, come il movimento possiede il sonnambulo, ed il cibo possiede il mangiatore affamato ed angosciato della sua fame.
Movimento, bocca, occhio, orecchio, cioè corpo, alla ricerca di piaceri attivi o passivi di tipo pregenitale; corpo predatorio o predato, consumatore o consumato; corpo di morte o corpo morto. La morte della Festa coincide con la Festa della Morte, dove simulacri di uomini partecipano ad un evento che è simulacro di una comunità, di una tradizione o di una speranza che sono morte.
Nelle Feste rituali esiste anche il rito. Il rito è un insieme di gesti e parole codificate, il cui compito è quello di rievocare, riproporre, far rivivere un qualcosa di lontano nel tempo. Sempre la psicoanalisi collega la ritualità con la "coazione a ripetere" e con l'istinto di morte. Il rito ha a che fare con la ripetizione e questa con la morte, a meno che il rito non si qualifichi come forma di una sostanza, come significante di un significato. Sostanza e significato che siano legati alla vita, al presente ed al futuro. In quante Feste ciò avviene? Il rito dei doni a Natale, della processione paesana, del discorso del notabile sono simulacri mortiferi, perché non stanno al posto che di fantasmi, sono forme e significanti, senza sostanza e senza significato.
In molte Feste esiste il gioco. Ma quale? Un gioco, non gratuito, gioioso, libero e fantastico. Ma un gioco-imitazione del reale: gare di tutti i tipi, tiro al bersaglio, caccia al tesoro, monopoli, tombola. Giochi che riproducono la competizione, l'aggressività, la predatorietà, o la casualità della vita di tutti i giorni.
Persino il grande gioco che è la Festa di Carnevale, non è affatto una reinvenzione della realtà (con gli schiavi che tiranneggiano i padroni, classi e ceti che si confondono, ironia) ma una ripetizione della realtà. Uomini travestiti da donna e viceversa; squadre di giovani che girano manganellando e sporcando di farina; piccoli superman, piccoli goldrake,  piccole rosselle o'hara; e di nuovo movimento, colori, suoni, mangiate. Cos'è tutto questo se non una caricatura della vita di tutti i giorni?
Analizzando i connotati delle nostre Feste, ritroviamo l'identikit della nostra società. Poteva d'altronde l'onnivoro sistema risparmiare una parte tanto importante della vita come la Festa? Un sistema che si basa sulla cosificazione dell'uomo, è un sistema di morte. Un sistema che si basa sulla predatorietà e sulla distruzione (il consumismo), è un sistema a organizzazione pregenitale, cioè di morte. Un sistema che si basa sulla ripetizione di massa, per garantirsi un mercato planetario omologato, è un sistema di morte. Il nostro sistema economico e produttivo distruttivo vuole degli uomini-merce, ripetuti e ripetitivi, orientati alla morte pregenitale di sé e degli oggetti che li circondano. Vuole dei corpi senza vita, cioè dei simulacri di vita. Per garantirsi questo, il sistema deve distruggere i gruppi e le comunità, cioè i " noi " che proteggono l'individuo; deve annegare la memoria e la speranza. Insomma il sistema dell'economia e della tecnica non può che volere la morte della Festa e incentivare Feste della Morte.

2. La Festa dell'uomo e l'uomo della Festa

Per fortuna questo sistema non è ancora totale, ne lo sarà mai. C'è sempre l'uomo, in un angolo della Storia, e l'uomo dentro di sé ha sempre un po' di vita, di Eros, di memoria, di speranza e di " noi ". Basta che ciascuno si guardi dentro, per sentire la vita che vuole vivere, contro la morte, e specie nella Festa.
A volte capita, di vivere veramente un'esperienza di Festa; e quando capita, ciascuno se ne accorge, perché è felice. La Festa, la Festa dell'uomo e non della Morte, ha a che fare con la gioia. Cos'è la gioia? E' un piacere adulto, genitale, basato sull'istinto di Vita e sulla pulsione di scambio. I piaceri pregenitali hanno a che fare con la morte perché sono in relazione con vissuti auto o etero distrutti vi. Il piacere genitale nasce dal contratto, dallo scambio, dalla reciprocità simmetrica; è legato alla Vita in quanto generativo.
La Festa è gioia quando c'è un rapporto, uno scambio, di tipo genitale e tendenzialmente generativo. La Festa dell'uomo è una Festa del corpo pieno, vivo; è la Festa del " noi ", della memoria e della speranza; è la Festa della sostanza e del significato.
E' la Festa del rito vissuto e del gioco giocoso e gioioso. Sia Festa sociale o Festa rituale, la Festa dell'uomo è quella che gli da una gioia legata alla Vita. Se la Vita è scambio genitale, la Festa dall'uomo è anzitutto uno scambio ed un rapporto. La Festa cioè è un'esperienza di scambio fra uomini, oppure fra l'uomo ed il tempo. Nella Festa sociale è centrale il rapporto di scambio fra coloro che vi partecipano; nella Festa rituale è cruciale lo scambio fra partecipanti e tempo passato (rito) o tempo futuro (mito). La Festa sociale è un vissuto di relazioni plurali interne ad un tutto intiero comunitario; la Pesta rituale è un vissuto di tempo storico, interno ad un tutto intiero che è l'eternità.
Dunque la Festa dell'uomo è la Festa del " noi " e dell'eternità in rapporto con l'uomo. Ma il "noi-tutto" e l'eternità, cosa sono se non il sacro? La Festa dell'uomo è soprattutto un'esperienza di rapporto fra l'uomo ed il sacro. Una sacralità che si incarna negli altri e nella comunità, oppure nel tempo storico.
Perché questa esperienza sia possibile occorre un uomo capace di vivere la Festa, cioè la comunità ed il tempo, in modo sacrale. Un uomo cioè che rifiuti di vivere sacralmente il danaro, la mercé, il potere che sono stati resi sacri dal nostro sistema produttivo-distruttivo. L'uomo capace di vivere la Festa è un uomo capace di vivere la sacralità dell'Altro e dell'eternità.
Da questo punto di vista ogni Festa è una Festa religiosa. Ogni Festa è un'esperienza di totalità, che comprende la pluralità; ed un'esperienza di eternità, che comprende il tempo storico, attualizzato nel presente. Ogni Festa è una Festa giocosa, nel senso delle gratuità e della pura gioia. Essa non deriva da una mancanza o da un bisogno; è gioco, in quanto senza scopo.
Boheme concepiva la vita di Dio come gioco. N. O. Brown afferma che "l'eternità è il modo di essere del gioco ". Perché ciò sia possibile occorre un uomo capace di diminuire la propria repressione e la repressione indotta dal sistema. Ancora Brown dice "... solo la vita repressa si svolge nel tempo, mentre la vita non repressa sarebbe al di fuori di esso, nell'eternità ". E' solo l'abolizione della repressione che consente l'esperienza della totalità, cioè della pluralità e dell'eternità. E l'assenza della repressione consente di sperimentare il piacere dell'Essere al posto del piacere di Divenire. Quando una Festa rituale è vissuta, attualizzata nel presente, viene annullato il vissuto del passato; l'evento rievocato non è qualcosa di lontano nel tempo, ma è qualcosa senza tempo, sempre presente in quanto eterno . Vivere il "noi " e l'eternità implica dunque abolire la repressione. In questo senso una vera Festa da gioia ed è un evento rivoluzionario.
L'uomo della Festa, gioisce, giocando, in rapporto con gli altri e con l'eternità: per riuscire in questo deve diminuire la sua repressione, e, vivendo la Festa, la diminuisce ulteriormente.
Così come la Festa della morte è un evento che alimenta, in un circolo vizioso, il sistema della morte; la Festa dell'uomo è un evento che produce, in un circolo virtuoso, la morte del sistema.
La Festa dell'uomo si caratterizza come Festa del con-vivere, del ri-viveree del sur-vivere; come Festa della comunità, dell'eternità e del gioco.

3. La Festa come con-vivere

Abbiamo detto che la Festa dell'uomo è anzitutto un rapporto con gli altri, uno scambio simmetrico di tipo genitale con una pluralità di individui, alle cui spalle esiste il senso della comunità." Noi " insieme, famiglia, gruppo, quartiere, partito, sono comunità cui ciascuno partecipa. Partecipare, condividere, convivere è un'attività adulta e genitale, perché presuppone la coscienza di due entità valoriali complementari.
L'individuo ha un valore, ha qualcosa da dare, ma gli manca qualcosa. La comunità ha un valore, ha qualcosa da dare, ma le manca qualcosa. Da qui lo scambio adulto e simmetrico. La comunità appartiene all'individuo e l'individuo alla comunità. Tutti i membri della comunità partecipano, fanno parte, appartengono e vivono insieme (con-vivono) una esperienza.
Questo atteggiamento implica l'uscita dal senso di onnipotenza/impotenza propriamente infantile, basato sull'impulso predatorio ed autodistruttivo. La Festa dell'uomo offre un'esperienza di gioia proprio in quanto consente di vivere senza conflitto la compresenza dialettica di individuo e totalità. Senza conflitto significa anche senza aggressività, senza sensi di colpa, senza depressioni, ma al contrario con gioia.
La Festa come con-vivere richiede la possibilità di scambi e l'esistenza del " noi ". Il " noi " esiste su un terreno di esperienze storiche comuni, o su un terreno di idealità-emozioni comuni. La Festa sociale ha senso quando c'è un sociale, un "noi ", e cioè delle esperienze comuni o un ideale comune o un sentimento comune.
I milioni di Feste sociali senza " noi " sono simulacri vuoti. Spesso le Feste stanno " al posto " del senso di comunità. Sono cioè illusioni ed allucinazioni. Ogni uomo sente dentro di sé il bisogno di appartenere ad un gruppo, ad una comunità, ad un " noi " ed è alla continua ricerca di soddisfare questo bisogno.
La Festa oggi ha spesso la funzione di illuderà che il " noi " esiste. Ed allora tutti in piazza il 1° Maggio per sentirsi lavoratori uniti; tutti a casa a Natale per sentirsi famiglia; tutti alla Festa del S. Patrono per sentirsi insieme paesani e cristiani. Per un giorno, per una sera ci illudiamo che l'unità dei lavoratori, la famiglia, la comunità paesana e cristiana esistano ancora. Purtroppo a volte la Festa ha il solo scopo di tenere in piedi le nostre illusioni.
Il giorno dopo, il compagno lavoratore ridiventa un concorrente, la famiglia un ingombro, il paese una periferia, la comunità cristiana un insieme di estranei.
La Festa spesso non è un'occasione che nasce su qualcosa che esiste (il "noi ") ma un alibi che dovrebbe dimostrare la vitalità di qualcosa che è morto. Addirittura la Festa è a volte un ostacolo al nostro impegno nel vitalizzare il "noi", che attraverso essa, appunto, fingiamo sia vivo. Di fronte a questa diffusa (anche se non totalmente) realtà, ci sono due reazioni: una è la delusione, l'altra è l'adattamento. Molti dopo la Festa sentono l'amaro in bocca, alcuni anche l'angoscia di una solitudine riconfermata. Il bisogno di socialità, di scambio è frustrato; al posto dei rapporti ci sono oggetti, suoni, colori, consumi, gesti ripetuti; il "noi" conferma la sua morte. La maggioranza si adatta. Comincia a considerare questo vuoto come naturale, oggettivo, normale. Il bisogno di scambio viene denegato, represso o rimosso. La Festa della morte diventa l'unica Festa possibile.
Gli uomini accettano di essere alienati dal loro bisogno di socialità.
Una esigua minoranza rifiuta questa alienazione, comprende che il "noi", la comunità, è un bisogno insopprimibile; comprende che l'essere insieme è correlato all'esserci; il con-vivere è correlato al vivere.
Questa minoranza continua allora a ritessere il " noi ", a ricercare rapporti di scambio, attraverso la Festa ma anche fuori di essa. Naturalmente l'impresa è ardua perché come ostacolo trova il sistema culturale, economico e psicologico, al quale non servono il " noi " e la comunità, ma gli individui isolati e soli. Un sistema cui non servono partecipanti, ma produttori-consumatori. Un sistema che non considera la persona come parte di sé, ma come ingranaggi sempre sostituibili. In una comunità, in un gruppo, in una famiglia la presenza o l'assenza di Giovanni, di Paola, di Francesco sono fatti importanti. Nei confronti del sistema, sono solo tre numeri: la loro assenza o la loro presenza non incide per nulla sulla sua vita.
La Festa sociale, la Festa del " noi " è la Festa del con-vivere, cioè del vivere insieme agli altri, dentro una comunità, un'esperienza di gioia.

4. La Festa come ri-vivere

Nella Festa a preminente carattere rituale, c'è sicuramente un " noi " che però non è tutto il cuore della Festa. Essa ha di solito un oggetto, cioè un evento o un personaggio da rievocare. I partecipanti non sono riuniti per stare assieme, come avviene nella Festa sociale, ma stanno assieme per rievocare o propiziare.
I rapporti fra i partecipanti sono in fondo secondari; ciascuno di essi elegato all'oggetto del rito, e sperimenta direttamente un rapporto col tempo. Il passato ed il futuro vengono attualizzati nel presente della Festa, ri-vissuti o pre-vissuti come presenti, cioè come eterni. Per la verità di Feste propiziatorie, non ne sono rimaste molte; primo, perché esse erano legate al sentimento del futuro, alla speranza, che è andata sparendo; in secondo luogo perché erano legate alla fede in divinità, che controllavano il futuro e che erano propiziabili col rito. Le Feste rituali si rivolgono dunque per lo più al passato. Il loro obiettivo è ri-vivere l'evento o il personaggio, come se fosse presente, anzi ri-vivere il fatto proprio in quanto è ritenuto presente, cioè eterno. La differenza fra il rito simulacro ed il rito Festa, è che il primo considera l'oggetto dei rito come un fatto passato, lo celebra e lo rievoca ma in quanto morto; la Festa rituale invece considera il suo oggetto come un fatto presente ora e sempre, lo ri-vive in quanto eternamente vivo.
I partecipanti alla Festa rituale sperimentano quindi un rapporto con l'eternità: la Pasqua è la Festa della Resurrezione, cioè di un processo eternamente legato all'uomo; il 1° Maggio è la Festa del Lavoro e dei Lavoratori, altra categoria senza tempo. La gioia che connota la Festa rituale, deriva proprio da questo rapporto con l'eternità, cioè col sacro. La vita di ciascuno è percepita come parte dell'eternità. II tempo storico, che è collegato con la morte, si dilata in rapporto con l'eternità e col sacro, e si trasforma in un vissuto di immortalità.
Naturalmente questo richiede la capacità di ri-vivere il personaggio o l'evento dal di dentro, non solo come un fatto culturale ma anche come emozione. Il rito deve avere a che fare con qualcosa che i partecipanti sentono come proprio; con cui possano identificarsi.
La Festa rituale presenta quasi sempre la necessità di un mediatore. Prete, santone, vecchio militante, reduce, parente che sia, occorre una figura che "testimoni" la verità dell'evento o del personaggio rievocato, il suo valore sempre presente; una figura che incarni la continuità della tradizione. Qualcosa che è sempre vero, ha necessariamente testimoni che lo incarnano; un evento che non ha testimoni, diventa meno credibile, e richiede molta fiducia (fede) per essere creduto e ri-vissuto.
I riti laici che coinvolgono di più, sono quelli che rievocano fatti ancora vicini (la Resistenza, la Liberazione) o fatti eterni (il Lavoro), che dispongono perciò di testimoni. I riti religiosi hanno, come testimone e garante, l'officiante.
Una Festa del Risorgimento o della vittoria di Canne, non potrebbe coinvolgere perché mancherebbe di testimoni. I testimoni garantiscono la tradizione e la tradizione è una prova, anche se non certa, dell'eternità, cioè dell'eterna vitalità dell'evento e del personaggio. Ma la necessità del testimone suggerisce anche un'altra ipotesi: che il contatto con l'eternità, quindi col sacro, non possa che essere mediato da qualcuno che a sua volta è sacro, un testimone sacerdote.
La gioia della Festa rituale sta essenzialmente in questa esperienza di eternità e di sacro, di vita immortale fuori del tempo e della repressione. La matrice latina della parola Festa ha un rapporto con le parole " religione " e " purificazione ".
La Festa è sacra e purifica, cioè libera. La Festa libera i partecipanti dal tempo storico, cioè dal vissuto della morte e della colpa. E' il tempo storico che ci rende individui, unici all'interno della specie, e mortali. Ed è la mortalità che ci da il sentimento dell'imperfezione e della colpa. Il vivere la Festa rituale offre una esperienza liberatoria di superamento della morte e della colpa. Di qui la gioia. 

5. La Festa come sur-vivere

La Festa sodale e la Festa rituale hanno spesso un elemento in comune, oltre a quelli esteriori: sono cioè occasione di recupero, di far sur-vivere (sopravvivere) qualcosa che si sta perdendo o che si è perso, qualcosa che è dentro di noi come una memoria repressa ma non dimenticata. E' qualcosa che possiamo definire come mito. Il mito è la fantasia di nostri bisogni lontani, incarnata in storie o personaggi che non viviamo come reali, anche se desideriamo che lo siano.
Tutta la mitologia greca nasce da fantasie collettive, maturate sulla vita quotidiana. Il recupero del mito nella Festa, è il recupero del represso o rimosso. Pensiamo alla figura del giullare nella Festa, o del clown. Egli è l'incarnazione della diversità, repressa dalla vita quotidiana, ma recuperata nella Festa come nostalgia mitica della libertà, della follia, dell'ironia, della fantasia.
Anche il " noi " e l'eternità sono miti che recuperiamo nella Festa, per averli perduti nella vita; sono idee che cerchiamo di far sopravvivere, avendoli sperimentati prima della nascita e perduti con essa.
Se la Festa ha la funzione di far ritornare il rimosso o il represso, essa ha oggi l'obiettivo essenziale di recuperare la speranza. La speranza è legata alla nostra capacità di rapporto col futuro. Nella concezione tradizionale il futuro era nelle mani della divinità, poi è passata nelle mani degli uomini; ora sembra essere nelle mani di un impietoso caos. Per certi versi, per certi ceti sociali, il futuro è addirittura perso di vista, sembra non esistere. Il mito del futuro inteso come progresso illimitato o Paradiso ritrovato, si è annebbiato insieme alla speranza. Il mito del futuro, cioè la speranza, è collegato con l'Eros genitale e generativo, cioè con una capacità di amore che possa generare, produrre qualcosa il cui destino non sia solo quello di essere distrutto o consumato. La Festa è dunque gioia se semina, se rinfocola la speranza di un futuro che può tornare nostro e benevolo.
Infine la Festa può far sur-vivere il gioco, come dimensione della gratuità,come mezzo di ricostruzione fantastica del mondo; il gioco, come espressione creativa, non imitativa, della vita quotidiana.
Recupero del diverso, del " noi ", dell'eternità, mito, speranza, gioco elementi da sur-vivere attraverso la Festa, ed elementi che vitalizzano la Festa dell'uomo.

6. Conclusioni

Abbiamo definito la Festa come un'esperienza di gioia. Tuttavia occorre definire cosa da gioia all'uomo e cosa non la da. Definire la gioia come divertimento, serenità, felicità è un'operazione tautologica, non dimostrativa. Abbiamo poi collegato la gioia dell'uomo al piacere genitale dello scambio generativo, cioè al rapporto con gli altri e con l'eternità. Abbiamo poi correlato questi ultimi al sentimento del sacro ed al ricupero dei miti, della speranza e del gioco. Occorre per finire mettere in guardia da due pericoli. Il primo è l'equivoco di identificare la forma con la sostanza. Non basta che una Festa sembri apparentemente una Festa, per definirla tale. Esteriormente è probabile che una vera Festa dell'uomo sia simile ad una Festa della morte, anche se forse si possono fare molti sforzi creativi per promuovere un vero evento festivo.
Ciò che distingue una Festa autentica è il vissuto ulteriore, emotivo e culturale dei partecipanti. Osservare una Festa dall'esterno o descriverla, non serve a scoprirne l'autenticità. Occorre indagare sui vissuti psicologici di chi vive la Festa: in tal senso solo un'analisi che usi anche di strumenti psicologici, può dirci qualcosa della Festa. Ecco perché si parla spesso di " clima " di una Festa, come insieme importante dei vissuti individuali e collettivi.
Il secondo pericolo è la contusione circa i doppi significati delle parole e dei concetti. Ogni parola non esprime mai un'idea sola, ma di solito esprime una idea ed il suo contrario.
Il " noi " e la comunità, per esempio. Possono indicare l'insieme, il tutto, il luogo protetto degli scambi, cioè il contesto dei piaceri genitali; oppure indicare la setta, la parte, il luogo della difesa, cioè il contesto dei piaceri pregenitali.
La comunità deriva il suo nome da cum-munus, ed assume il significato di luogo di scambio dei doni; ma deriva anche da cum-moenia, ed assume il significato di luogo fortificato e chiuso. La comunità insomma è lo spazio dell'Eros, della vita, dello scambio, ma anche il luogo della morte, dell'aggressione e della difesa.
Il rito è anch'esso concetto ambivalente. C'è il rito nevrotico e necrofilo, della coazione a ripetere, cioè della morte; ma c'è anche il rito adulto e vitale, dell'eternità. C'è il mito come ritorno del rimosso o recupero del represso, cioè come liberazione; e c'è il mito come modello fantastico, imposto dal sistema.
C'è il gioco imitativo e ripetitivo, e c'è il gioco creativo.
C'è il sacro e c'è la speranza che possono essere disumani, alienanti, esproprianti; ma c'è un sacro ed una speranza che sono incarnati nell'uomo.
Occorre distinguere guardando l'uomo della Festa, e ci riusciremo se sapremo ancora vivere Feste dell'uomo.

Indicazioni bibliografiche

F. Fornari "Genitalità e cultura", Feltrinelli, Milano, 1977
E. Severino "Techne, le radici della violenza", Rusconi, Milano, 1979
N.O. Brown "La vita contro la morte", Adelphi, Roma, 1964

* Estratto da ANIMAZIONE SOCIALE, n. 34, 1980, ISAMEPS, pag. 89-99