SOMMARIO:
1. Festa e sistema
2. La Festa dell'uomo e l'uomo della Festa
3. La Festa come con-vivere
4. La Festa come ri-vivere
5. La Festa come sur-vivere
Conclusioni
1. Festa e sistema
La Festa è una delle tante manifestazioni della vita quotidiana
nella nostra società. A livello di fenomeno essa dunque non
si sottrae a quelle caratteristiche che la società nel suo
complesso induce in tutte le sue manifestazioni. La festa cioè
è un subsistema culturale, economico e psicologico di quel
più vasto sistema che è la società occidentale.
Un'analisi critica della Festa, così come è oggi quotidianamente
vissuta, non può che risultare una verifica dell'analisi critica
più vasta che possiamo fare sul sistema sociale.
Dal punto di vista psicosociale possiamo identificare due categorie
di Feste; la Festa in cui l'obiettivo principale ed il carattere peculiare
è la socialità, lo stare assieme, il ritrovarsi; e la
Festa centrata invece sulla rievocazione, la celebrazione, il rito.
Nella prima categoria, che possiamo chiamare "Festa sociale"
rientrano le feste fra amici, e quelle familiari, le feste fra appartenenti
ad una stessa categoria (gli studenti, gli alpini) o ad uno stesso
Partito (DC, PCI, PSI) o ad una stessa associazione (le Adi, il Rotary),
ed infine le feste di quartiere o di paese. Nella seconda categoria,
che possiamo chiamare "Festa rituale", rientrano le celebrazioni
religiose (Natale, Pasqua, S. Patrono) e quelle laiche (Liberazione,
1°Maggio). Naturalmente esistono molti tipi di Festa che si presentano
come una mescolanza fra questi due estremi, come per esempio il Natale;
purtuttavia ogni festa, ad un'attenta lettura, ha caratteristiche
specifiche che la collocano preferenzialmente in una di queste due
categorie.
Nella Festa sociale il soggetto e l'oggetto della Festa coincidono.
Il "noi"è il centro dell'evento e questo "noi"
presuppone un'appartenenza ad una famiglia, ad un gruppo di amici,
ad un'associazione, ad un Partito, ad una comunità paesana
o urbana.
Nella Festa rituale invece, soggetto ed oggetto sono separati; da
una parte il gruppo o la massa che celebra il rito, dall'altra l'evento
o il personaggio celebrati. Fra i due elementi non esiste un legame
di appartenenza, semmai un legame di memoria (la Liberazione) o di
speranza (l'Anno Nuovo). La prima osservazione che possiamo fare,
è che negli ultimi decenni abbiamo registrato il fenomeno di
una "morte della Festa", accanto a una larga diffusione
di eventi che possiamo definire come "Festa della morte".
In base alla categorizzazione sopra enunciata può risultare
evidente il perché di questa inversione; la Festa è
morta perché sono morti il " noi ", la memoria e
la speranza.
Il " noi " è morto con la disgregazione del tessuto
sociale, per cui famiglia, città, paese, associazione, Partito
sono diventati contenitori senza contenuto; luoghi non più
capaci di creare identificazione e coesione; simulacri privi di senso.
La memoria è morta con la negazione della Tradizione, laica
o religiosa, operata a partire dal '68, in modo evidente, ma a partire
da assai prima in modo latente, con la affermazione della società
dei consumi e della tecnica. Consumo e tecnica sono infatti la negazione
del Passato, o meglio, la inconsapevole incorporazione del passato
m forme caduche di presente. La speranza è morta da tempo con
l'alienazione, l'espropriazione degli uomini dal lavoro e dalla Storia,
e con la caduta di fede nel trascendente. Sono infatti quasi sparite
le feste propiziatorie, ed a Capodanno ci si augura ormai solo che
non vada peggio!
La morte della Festa intesa come evento die nasce sul " noi ",
sulla speranza o sul ricordo, ha prodotto un'infinità di Feste
della morte, cioè di Feste di cui è rimasto il corpo
ma non lo spirito.
Proprio attorno al corpo ruotano infatti le Feste cui siamo abituati.
Anzitutto la Festa dei nostri tempi è legata al movimento,
cioè allo spostamento o allo scuotimento del corpo. Ci si reca
ad una Festa, in una casa, in una città o in un quartiere diverso;
giunti sul posto si passeggia, si fa corteo o processione, ci si sposta
da un angolo all'altro; quasi sempre la Festa culmina col ballo.
Si può dire che il corpo si muove alla ricerca della Festa,
che non ha più in sé. Ma è un corpo sonnambulo,
non consapevole, che si lascia muovere che è mosso dalla fiumana,
dalle luci, dalla musica. Non è l'Io che si muove, ma il corpo
dell'Io che è mosso. In secondo luogo, la nostra Festa è
c'entrata sull'oralità. Pare non esista Festa dove non si incorpori
qualcosa. Se fino a mezzo secolo fa questo poteva avere un riferimento
con un'economia di scarsità, oggi il mangiare nella Festa non
ha altro significato se non quello della regressione, dell'ingozzamento
infantile. La psicoanalisi ci insegna che la regressione a piaceri
pregenitali, come quelli orali, ha a che fare con un senso di mancanza
e con l'istinto predatorio. Si va ad una Festa per mangiare o per
bere, cioè per prendere. Questo prendere oggi è un fenomeno
allargato, con la diffusione dei mercatini durante le Feste, ma che
esisteva già con l'uso del souvenir della Festa, il cui carattere
tipico era, ed è stato, dal fatto di essere un simulacro del
simulacro. La Festa sta al posto di qualcos'altro che è morto
(il " noi ", la tradizione, la speranza) ed il souvenir
sta al posto della Festa!
Infine la Festa odierna ha sempre a che fare con altre due parti del
corpo: l'occhio e l'orecchio. Non si da quasi Festa senza scenografia,
colori, luccichii, musiche, rumori, insomma cose da vedere e cose
da sentire. Dal Natale in casa, con festoni, palloncini, carte metallizzate,
tovaglia "bella ", alla Festa in piazza, tutta fuochi d'artificio,
discorsi roboanti, sfilate, apparizioni, luminarie, musiche. La Festa
deve appagare occhi ed orecchi, deve riempirli, possederli, come il
movimento possiede il sonnambulo, ed il cibo possiede il mangiatore
affamato ed angosciato della sua fame.
Movimento, bocca, occhio, orecchio, cioè corpo, alla ricerca
di piaceri attivi o passivi di tipo pregenitale; corpo predatorio
o predato, consumatore o consumato; corpo di morte o corpo morto.
La morte della Festa coincide con la Festa della Morte, dove simulacri
di uomini partecipano ad un evento che è simulacro di una comunità,
di una tradizione o di una speranza che sono morte.
Nelle Feste rituali esiste anche il rito. Il rito è un insieme
di gesti e parole codificate, il cui compito è quello di rievocare,
riproporre, far rivivere un qualcosa di lontano nel tempo. Sempre
la psicoanalisi collega la ritualità con la "coazione
a ripetere" e con l'istinto di morte. Il rito ha a che fare con
la ripetizione e questa con la morte, a meno che il rito non si qualifichi
come forma di una sostanza, come significante di un significato. Sostanza
e significato che siano legati alla vita, al presente ed al futuro.
In quante Feste ciò avviene? Il rito dei doni a Natale, della
processione paesana, del discorso del notabile sono simulacri mortiferi,
perché non stanno al posto che di fantasmi, sono forme e significanti,
senza sostanza e senza significato.
In molte Feste esiste il gioco. Ma quale? Un gioco, non gratuito,
gioioso, libero e fantastico. Ma un gioco-imitazione del reale: gare
di tutti i tipi, tiro al bersaglio, caccia al tesoro, monopoli, tombola.
Giochi che riproducono la competizione, l'aggressività, la
predatorietà, o la casualità della vita di tutti i giorni.
Persino il grande gioco che è la Festa di Carnevale, non è
affatto una reinvenzione della realtà (con gli schiavi che
tiranneggiano i padroni, classi e ceti che si confondono, ironia)
ma una ripetizione della realtà. Uomini travestiti da donna
e viceversa; squadre di giovani che girano manganellando e sporcando
di farina; piccoli superman, piccoli goldrake, piccole rosselle
o'hara; e di nuovo movimento, colori, suoni, mangiate. Cos'è
tutto questo se non una caricatura della vita di tutti i giorni?
Analizzando i connotati delle nostre Feste, ritroviamo l'identikit
della nostra società. Poteva d'altronde l'onnivoro sistema
risparmiare una parte tanto importante della vita come la Festa? Un
sistema che si basa sulla cosificazione dell'uomo, è un sistema
di morte. Un sistema che si basa sulla predatorietà e sulla
distruzione (il consumismo), è un sistema a organizzazione
pregenitale, cioè di morte. Un sistema che si basa sulla ripetizione
di massa, per garantirsi un mercato planetario omologato, è
un sistema di morte. Il nostro sistema economico e produttivo distruttivo
vuole degli uomini-merce, ripetuti e ripetitivi, orientati alla morte
pregenitale di sé e degli oggetti che li circondano. Vuole
dei corpi senza vita, cioè dei simulacri di vita. Per garantirsi
questo, il sistema deve distruggere i gruppi e le comunità,
cioè i " noi " che proteggono l'individuo; deve annegare
la memoria e la speranza. Insomma il sistema dell'economia e della
tecnica non può che volere la morte della Festa e incentivare
Feste della Morte.
2. La Festa dell'uomo e l'uomo della Festa
Per fortuna questo sistema non è ancora totale, ne lo sarà
mai. C'è sempre l'uomo, in un angolo della Storia, e l'uomo
dentro di sé ha sempre un po' di vita, di Eros, di memoria,
di speranza e di " noi ". Basta che ciascuno si guardi dentro,
per sentire la vita che vuole vivere, contro la morte, e specie nella
Festa.
A volte capita, di vivere veramente un'esperienza di Festa; e quando
capita, ciascuno se ne accorge, perché è felice. La
Festa, la Festa dell'uomo e non della Morte, ha a che fare con la
gioia. Cos'è la gioia? E' un piacere adulto, genitale, basato
sull'istinto di Vita e sulla pulsione di scambio. I piaceri pregenitali
hanno a che fare con la morte perché sono in relazione con
vissuti auto o etero distrutti vi. Il piacere genitale nasce dal contratto,
dallo scambio, dalla reciprocità simmetrica; è legato
alla Vita in quanto generativo.
La Festa è gioia quando c'è un rapporto, uno scambio,
di tipo genitale e tendenzialmente generativo. La Festa dell'uomo
è una Festa del corpo pieno, vivo; è la Festa del "
noi ", della memoria e della speranza; è la Festa della
sostanza e del significato.
E' la Festa del rito vissuto e del gioco giocoso e gioioso. Sia Festa
sociale o Festa rituale, la Festa dell'uomo è quella che gli
da una gioia legata alla Vita. Se la Vita è scambio genitale,
la Festa dall'uomo è anzitutto uno scambio ed un rapporto.
La Festa cioè è un'esperienza di scambio fra uomini,
oppure fra l'uomo ed il tempo. Nella Festa sociale è centrale
il rapporto di scambio fra coloro che vi partecipano; nella Festa
rituale è cruciale lo scambio fra partecipanti e tempo passato
(rito) o tempo futuro (mito). La Festa sociale è un vissuto
di relazioni plurali interne ad un tutto intiero comunitario; la Pesta
rituale è un vissuto di tempo storico, interno ad un tutto
intiero che è l'eternità.
Dunque la Festa dell'uomo è la Festa del " noi "
e dell'eternità in rapporto con l'uomo. Ma il "noi-tutto"
e l'eternità, cosa sono se non il sacro? La Festa dell'uomo
è soprattutto un'esperienza di rapporto fra l'uomo ed il sacro.
Una sacralità che si incarna negli altri e nella comunità,
oppure nel tempo storico.
Perché questa esperienza sia possibile occorre un uomo capace
di vivere la Festa, cioè la comunità ed il tempo, in
modo sacrale. Un uomo cioè che rifiuti di vivere sacralmente
il danaro, la mercé, il potere che sono stati resi sacri dal
nostro sistema produttivo-distruttivo. L'uomo capace di vivere la
Festa è un uomo capace di vivere la sacralità dell'Altro
e dell'eternità.
Da questo punto di vista ogni Festa è una Festa religiosa.
Ogni Festa è un'esperienza di totalità, che comprende
la pluralità; ed un'esperienza di eternità, che comprende
il tempo storico, attualizzato nel presente. Ogni Festa è una
Festa giocosa, nel senso delle gratuità e della pura gioia.
Essa non deriva da una mancanza o da un bisogno; è gioco, in
quanto senza scopo.
Boheme concepiva la vita di Dio come gioco. N. O. Brown afferma che
"l'eternità è il modo di essere del gioco ".
Perché ciò sia possibile occorre un uomo capace di diminuire
la propria repressione e la repressione indotta dal sistema. Ancora
Brown dice "... solo la vita repressa si svolge nel tempo, mentre
la vita non repressa sarebbe al di fuori di esso, nell'eternità
". E' solo l'abolizione della repressione che consente l'esperienza
della totalità, cioè della pluralità e dell'eternità.
E l'assenza della repressione consente di sperimentare il piacere
dell'Essere al posto del piacere di Divenire. Quando una Festa rituale
è vissuta, attualizzata nel presente, viene annullato il vissuto
del passato; l'evento rievocato non è qualcosa di lontano nel
tempo, ma è qualcosa senza tempo, sempre presente in quanto
eterno . Vivere il "noi " e l'eternità implica dunque
abolire la repressione. In questo senso una vera Festa da gioia ed
è un evento rivoluzionario.
L'uomo della Festa, gioisce, giocando, in rapporto con gli altri e
con l'eternità: per riuscire in questo deve diminuire la sua
repressione, e, vivendo la Festa, la diminuisce ulteriormente.
Così come la Festa della morte è un evento che alimenta,
in un circolo vizioso, il sistema della morte; la Festa dell'uomo
è un evento che produce, in un circolo virtuoso, la morte del
sistema.
La Festa dell'uomo si caratterizza come Festa del con-vivere, del
ri-viveree del sur-vivere; come Festa della comunità, dell'eternità
e del gioco.
3. La Festa come con-vivere
Abbiamo detto che la Festa dell'uomo è anzitutto un rapporto
con gli altri, uno scambio simmetrico di tipo genitale con una pluralità
di individui, alle cui spalle esiste il senso della comunità."
Noi " insieme, famiglia, gruppo, quartiere, partito, sono comunità
cui ciascuno partecipa. Partecipare, condividere, convivere è
un'attività adulta e genitale, perché presuppone la
coscienza di due entità valoriali complementari.
L'individuo ha un valore, ha qualcosa da dare, ma gli manca qualcosa.
La comunità ha un valore, ha qualcosa da dare, ma le manca
qualcosa. Da qui lo scambio adulto e simmetrico. La comunità
appartiene all'individuo e l'individuo alla comunità. Tutti
i membri della comunità partecipano, fanno parte, appartengono
e vivono insieme (con-vivono) una esperienza.
Questo atteggiamento implica l'uscita dal senso di onnipotenza/impotenza
propriamente infantile, basato sull'impulso predatorio ed autodistruttivo.
La Festa dell'uomo offre un'esperienza di gioia proprio in quanto
consente di vivere senza conflitto la compresenza dialettica di individuo
e totalità. Senza conflitto significa anche senza aggressività,
senza sensi di colpa, senza depressioni, ma al contrario con gioia.
La Festa come con-vivere richiede la possibilità di scambi
e l'esistenza del " noi ". Il " noi " esiste su
un terreno di esperienze storiche comuni, o su un terreno di idealità-emozioni
comuni. La Festa sociale ha senso quando c'è un sociale, un
"noi ", e cioè delle esperienze comuni o un ideale comune
o un sentimento comune.
I milioni di Feste sociali senza " noi " sono simulacri
vuoti. Spesso le Feste stanno " al posto " del senso di
comunità. Sono cioè illusioni ed allucinazioni. Ogni
uomo sente dentro di sé il bisogno di appartenere ad un gruppo,
ad una comunità, ad un " noi " ed è alla continua
ricerca di soddisfare questo bisogno.
La Festa oggi ha spesso la funzione di illuderà che il "
noi " esiste. Ed allora tutti in piazza il 1° Maggio per sentirsi
lavoratori uniti; tutti a casa a Natale per sentirsi famiglia; tutti
alla Festa del S. Patrono per sentirsi insieme paesani e cristiani.
Per un giorno, per una sera ci illudiamo che l'unità dei lavoratori,
la famiglia, la comunità paesana e cristiana esistano ancora.
Purtroppo a volte la Festa ha il solo scopo di tenere in piedi le
nostre illusioni.
Il giorno dopo, il compagno lavoratore ridiventa un concorrente, la
famiglia un ingombro, il paese una periferia, la comunità cristiana
un insieme di estranei.
La Festa spesso non è un'occasione che nasce su qualcosa che
esiste (il "noi ") ma un alibi che dovrebbe dimostrare la
vitalità di qualcosa che è morto. Addirittura la Festa
è a volte un ostacolo al nostro impegno nel vitalizzare il
"noi", che attraverso essa, appunto, fingiamo sia vivo.
Di fronte a questa diffusa (anche se non totalmente) realtà,
ci sono due reazioni: una è la delusione, l'altra è
l'adattamento. Molti dopo la Festa sentono l'amaro in bocca, alcuni
anche l'angoscia di una solitudine riconfermata. Il bisogno di socialità,
di scambio è frustrato; al posto dei rapporti ci sono oggetti,
suoni, colori, consumi, gesti ripetuti; il "noi" conferma
la sua morte. La maggioranza si adatta. Comincia a considerare questo
vuoto come naturale, oggettivo, normale. Il bisogno di scambio viene
denegato, represso o rimosso. La Festa della morte diventa l'unica
Festa possibile.
Gli uomini accettano di essere alienati dal loro bisogno di socialità.
Una esigua minoranza rifiuta questa alienazione, comprende che il
"noi", la comunità, è un bisogno insopprimibile;
comprende che l'essere insieme è correlato all'esserci; il
con-vivere è correlato al vivere.
Questa minoranza continua allora a ritessere il " noi ",
a ricercare rapporti di scambio, attraverso la Festa ma anche fuori
di essa. Naturalmente l'impresa è ardua perché come
ostacolo trova il sistema culturale, economico e psicologico, al quale
non servono il " noi " e la comunità, ma gli individui
isolati e soli. Un sistema cui non servono partecipanti, ma produttori-consumatori.
Un sistema che non considera la persona come parte di sé, ma
come ingranaggi sempre sostituibili. In una comunità, in un
gruppo, in una famiglia la presenza o l'assenza di Giovanni, di Paola,
di Francesco sono fatti importanti. Nei confronti del sistema, sono
solo tre numeri: la loro assenza o la loro presenza non incide per
nulla sulla sua vita.
La Festa sociale, la Festa del " noi " è la Festa
del con-vivere, cioè del vivere insieme agli altri, dentro
una comunità, un'esperienza di gioia.
4. La Festa come ri-vivere
Nella Festa a preminente carattere rituale, c'è sicuramente
un " noi " che però non è tutto il cuore della
Festa. Essa ha di solito un oggetto, cioè un evento o un personaggio
da rievocare. I partecipanti non sono riuniti per stare assieme, come
avviene nella Festa sociale, ma stanno assieme per rievocare o propiziare.
I rapporti fra i partecipanti sono in fondo secondari; ciascuno di
essi elegato all'oggetto del rito, e sperimenta direttamente un rapporto
col tempo. Il passato ed il futuro vengono attualizzati nel presente
della Festa, ri-vissuti o pre-vissuti come presenti, cioè come
eterni. Per la verità di Feste propiziatorie, non ne sono rimaste
molte; primo, perché esse erano legate al sentimento del futuro,
alla speranza, che è andata sparendo; in secondo luogo perché
erano legate alla fede in divinità, che controllavano il futuro
e che erano propiziabili col rito. Le Feste rituali si rivolgono dunque
per lo più al passato. Il loro obiettivo è ri-vivere
l'evento o il personaggio, come se fosse presente, anzi ri-vivere
il fatto proprio in quanto è ritenuto presente, cioè
eterno. La differenza fra il rito simulacro ed il rito Festa, è
che il primo considera l'oggetto dei rito come un fatto passato, lo
celebra e lo rievoca ma in quanto morto; la Festa rituale invece considera
il suo oggetto come un fatto presente ora e sempre, lo ri-vive in
quanto eternamente vivo.
I partecipanti alla Festa rituale sperimentano quindi un rapporto
con l'eternità: la Pasqua è la Festa della Resurrezione,
cioè di un processo eternamente legato all'uomo; il 1° Maggio
è la Festa del Lavoro e dei Lavoratori, altra categoria senza
tempo. La gioia che connota la Festa rituale, deriva proprio da questo
rapporto con l'eternità, cioè col sacro. La vita di
ciascuno è percepita come parte dell'eternità. II tempo
storico, che è collegato con la morte, si dilata in rapporto
con l'eternità e col sacro, e si trasforma in un vissuto di
immortalità.
Naturalmente questo richiede la capacità di ri-vivere il personaggio
o l'evento dal di dentro, non solo come un fatto culturale ma anche
come emozione. Il rito deve avere a che fare con qualcosa che i partecipanti
sentono come proprio; con cui possano identificarsi.
La Festa rituale presenta quasi sempre la necessità di un mediatore.
Prete, santone, vecchio militante, reduce, parente che sia, occorre
una figura che "testimoni" la verità dell'evento
o del personaggio rievocato, il suo valore sempre presente; una figura
che incarni la continuità della tradizione. Qualcosa che è
sempre vero, ha necessariamente testimoni che lo incarnano; un evento
che non ha testimoni, diventa meno credibile, e richiede molta fiducia
(fede) per essere creduto e ri-vissuto.
I riti laici che coinvolgono di più, sono quelli che rievocano
fatti ancora vicini (la Resistenza, la Liberazione) o fatti eterni
(il Lavoro), che dispongono perciò di testimoni. I riti religiosi
hanno, come testimone e garante, l'officiante.
Una Festa del Risorgimento o della vittoria di Canne, non potrebbe
coinvolgere perché mancherebbe di testimoni. I testimoni garantiscono
la tradizione e la tradizione è una prova, anche se non certa,
dell'eternità, cioè dell'eterna vitalità dell'evento
e del personaggio. Ma la necessità del testimone suggerisce
anche un'altra ipotesi: che il contatto con l'eternità, quindi
col sacro, non possa che essere mediato da qualcuno che a sua volta
è sacro, un testimone sacerdote.
La gioia della Festa rituale sta essenzialmente in questa esperienza
di eternità e di sacro, di vita immortale fuori del tempo e
della repressione. La matrice latina della parola Festa ha un rapporto
con le parole " religione " e " purificazione ".
La Festa è sacra e purifica, cioè libera. La Festa libera
i partecipanti dal tempo storico, cioè dal vissuto della morte
e della colpa. E' il tempo storico che ci rende individui, unici all'interno
della specie, e mortali. Ed è la mortalità che ci da
il sentimento dell'imperfezione e della colpa. Il vivere la Festa
rituale offre una esperienza liberatoria di superamento della morte
e della colpa. Di qui la gioia.
5. La Festa come sur-vivere
La Festa sodale e la Festa rituale hanno spesso un elemento in comune,
oltre a quelli esteriori: sono cioè occasione di recupero,
di far sur-vivere (sopravvivere) qualcosa che si sta perdendo o che
si è perso, qualcosa che è dentro di noi come una memoria
repressa ma non dimenticata. E' qualcosa che possiamo definire come
mito. Il mito è la fantasia di nostri bisogni lontani, incarnata
in storie o personaggi che non viviamo come reali, anche se desideriamo
che lo siano.
Tutta la mitologia greca nasce da fantasie collettive, maturate sulla
vita quotidiana. Il recupero del mito nella Festa, è il recupero
del represso o rimosso. Pensiamo alla figura del giullare nella Festa,
o del clown. Egli è l'incarnazione della diversità,
repressa dalla vita quotidiana, ma recuperata nella Festa come nostalgia
mitica della libertà, della follia, dell'ironia, della fantasia.
Anche il " noi " e l'eternità sono miti che recuperiamo
nella Festa, per averli perduti nella vita; sono idee che cerchiamo
di far sopravvivere, avendoli sperimentati prima della nascita e perduti
con essa.
Se la Festa ha la funzione di far ritornare il rimosso o il represso,
essa ha oggi l'obiettivo essenziale di recuperare la speranza. La
speranza è legata alla nostra capacità di rapporto col
futuro. Nella concezione tradizionale il futuro era nelle mani della
divinità, poi è passata nelle mani degli uomini; ora
sembra essere nelle mani di un impietoso caos. Per certi versi, per
certi ceti sociali, il futuro è addirittura perso di vista,
sembra non esistere. Il mito del futuro inteso come progresso illimitato
o Paradiso ritrovato, si è annebbiato insieme alla speranza.
Il mito del futuro, cioè la speranza, è collegato con
l'Eros genitale e generativo, cioè con una capacità
di amore che possa generare, produrre qualcosa il cui destino non
sia solo quello di essere distrutto o consumato. La Festa è
dunque gioia se semina, se rinfocola la speranza di un futuro che
può tornare nostro e benevolo.
Infine la Festa può far sur-vivere il gioco, come dimensione
della gratuità,come mezzo di ricostruzione fantastica del mondo;
il gioco, come espressione creativa, non imitativa, della vita quotidiana.
Recupero del diverso, del " noi ", dell'eternità,
mito, speranza, gioco elementi da sur-vivere attraverso la Festa,
ed elementi che vitalizzano la Festa dell'uomo.
6. Conclusioni
Abbiamo definito la Festa come un'esperienza di gioia. Tuttavia occorre
definire cosa da gioia all'uomo e cosa non la da. Definire la gioia
come divertimento, serenità, felicità è un'operazione
tautologica, non dimostrativa. Abbiamo poi collegato la gioia dell'uomo
al piacere genitale dello scambio generativo, cioè al rapporto
con gli altri e con l'eternità. Abbiamo poi correlato questi
ultimi al sentimento del sacro ed al ricupero dei miti, della speranza
e del gioco. Occorre per finire mettere in guardia da due pericoli.
Il primo è l'equivoco di identificare la forma con la sostanza.
Non basta che una Festa sembri apparentemente una Festa, per definirla
tale. Esteriormente è probabile che una vera Festa dell'uomo
sia simile ad una Festa della morte, anche se forse si possono fare
molti sforzi creativi per promuovere un vero evento festivo.
Ciò che distingue una Festa autentica è il vissuto ulteriore,
emotivo e culturale dei partecipanti. Osservare una Festa dall'esterno
o descriverla, non serve a scoprirne l'autenticità. Occorre
indagare sui vissuti psicologici di chi vive la Festa: in tal senso
solo un'analisi che usi anche di strumenti psicologici, può
dirci qualcosa della Festa. Ecco perché si parla spesso di
" clima " di una Festa, come insieme importante dei vissuti
individuali e collettivi.
Il secondo pericolo è la contusione circa i doppi significati
delle parole e dei concetti. Ogni parola non esprime mai un'idea sola,
ma di solito esprime una idea ed il suo contrario.
Il " noi " e la comunità, per esempio. Possono indicare
l'insieme, il tutto, il luogo protetto degli scambi, cioè il
contesto dei piaceri genitali; oppure indicare la setta, la parte,
il luogo della difesa, cioè il contesto dei piaceri pregenitali.
La comunità deriva il suo nome da cum-munus, ed assume il significato
di luogo di scambio dei doni; ma deriva anche da cum-moenia, ed assume
il significato di luogo fortificato e chiuso. La comunità insomma
è lo spazio dell'Eros, della vita, dello scambio, ma anche
il luogo della morte, dell'aggressione e della difesa.
Il rito è anch'esso concetto ambivalente. C'è il rito
nevrotico e necrofilo, della coazione a ripetere, cioè della
morte; ma c'è anche il rito adulto e vitale, dell'eternità.
C'è il mito come ritorno del rimosso o recupero del represso,
cioè come liberazione; e c'è il mito come modello fantastico,
imposto dal sistema.
C'è il gioco imitativo e ripetitivo, e c'è il gioco
creativo.
C'è il sacro e c'è la speranza che possono essere disumani,
alienanti, esproprianti; ma c'è un sacro ed una speranza che
sono incarnati nell'uomo.
Occorre distinguere guardando l'uomo della Festa, e ci riusciremo
se sapremo ancora vivere Feste dell'uomo.
Indicazioni bibliografiche
F. Fornari "Genitalità e cultura", Feltrinelli,
Milano, 1977
E. Severino "Techne, le radici della violenza", Rusconi,
Milano, 1979
N.O. Brown "La vita contro la morte", Adelphi, Roma, 1964
* Estratto da ANIMAZIONE SOCIALE, n. 34, 1980, ISAMEPS, pag.
89-99
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