I VANTAGGI DEL NONPROFIT SECONDO DOMENICO DE MASI
Dal che si vede come un buon Sociologo del Lavoro si può rovinare la reputazione per ignoranza o piaggeria.
Abbiamo già visto, secondo Druker, i vantaggi del lavoro volontario. A essi, altri se ne possono aggiungere, che ne fanno una preziosa riserva di organizzazione solidale.

Il grande esperimento comunista – certamente il più imponente e probabilmente il più drammatico di tutta la storia umana – è caduto insieme al muro di Berlino e insieme alle speranze di costruire una società senza stati e senza classi, basata sulla solidarietà invece che sulla lotta.

Ma se il comunismo ha perso, il capitalismo non ha vinto. Basato sulla necessità della concorrenza, paradossalmente esso si trova ad operare senza concorrenti, con tutte le tentazioni di assolutismo che gliene derivano. Primo fra tutti, l’assolutismo di mercato e la noncuranza per le sue vittime.

Le organizzazioni nonprofit, comparate a quelle profit, escono vincenti sotto il profilo del rispetto delle uguaglianze, delle pari opportunità, dell’etica della corresponsabilità, della cooperazione, della motivazione, della flessibilità, della disponibilità al cambiamento.

Ecco un elenco delle differenze, cui si può attingere per migliorare il lavoro organizzato:
De Masi opera una generalizzazione e quindi siamo costretti ad obiettare per generalizzazioni. Sicuramente lui conosce imprese "serie", cioè eticamente superiori. Se non altro perchè anche certi studi professionali di alto livello sono imprese. Analogamente, anche noi conosciamo organizzazioni non profit "serie", cioè eticamente superiori. Ma, come nel contesto aziendale, anche nel terzo settore il panorama generale è quello che descriviamo. Noi non vogliamo difendere le imprese, che conosciamo poco. Vogliamo solo iniziare a dire la verità sulle organizzazioni non profit, che conosciamo benissimo.

Nel terzo settore domina una forte tensione verso la mission, chiaramente definita, cui si conferisce priorità sopra ogni altra cosa. La missione è una passione. Nelle aziende la mission è spesso non definita o non condivisa, raramente ha una valenza forte e coinvolgente, non richiede passione ma calcolo.

Nel terzo settore, la mission dichiarata è chiaramente definita, più o meno come nell'impresa. La mission effettiva è una passione per i lavoratori del grado più basso, quelli a contatto con l'utente, mentre è un business per i gradi elevati.

Nel terzo settore il denaro proviene da donazioni, elargizioni, sponsorizzazioni o da fondi pubblici. Gestendo denaro altrui, le organizzazioni nonprofit si sentono moralmente obbligate ad usarlo nel migliore dei modi. Nelle aziende il denaro proviene dal patrimonio dell’imprenditore, dalle banche, dalla borsa, dall’autofinanziamento.

Gestendo danaro altrui le organizzazioni nonprofit non sentono alcun obbligo morale. Sono anzi in perenne lotta coi finanziatori per spillare più soldi.

Le organizzazioni nonprofit possono usare come punto di riferimento, come guida d’azione e come parametro di autovalutazione soprattutto la propria missione tradotta in fini operativi. L’azienda, che gestisce denaro proprio, usa come bussola il fatturato, il profitto, il saldo di bilancio.

Questa è la mitologia dei mass media allo stato puro. Le organizazioni nonprofit sono più concentrate sulla missione solo perchè considerano la forza lavoro una variabile elastica, pagabile quando si puo'. Inoltre, essendo la missione generica, possono tirare e mollare i punti di riferimento a piacere.

Nelle organizzazioni nonprofit la carica innovatrice, che deriva dalla fede verso la missione, ha la capacità di ridurre le resistenze ai cambiamenti. Nelle aziende, la resistenza ai cambiamenti è alimentata dalla paura del rischio, dalla forza dell’abitudine, dalla burocratizzazione e dal timore che le innovazioni possano compromettere gli equilibri di potere costituiti.

La organizzazioni non profit sono il luogo della conservazione politica, organizzativa e culturale del paese. Poche altre organizzazioni come quelle non profit si fondano su equilibri di potere costituiti: le cariche in genere sono a vita.
Nel terzo settore prevale la tendenza a partire dall’ambiente, dalla comunità, dai “clienti” futuri. Nelle aziende prevale la tendenza a partire dall’interno, dall’organizzazione, dalle entrate finanziarie, dagli assetti di potere costituiti.
Nel terzo settore prevale unicamente la tendenza del finanziatore, senza altra considerazione.

Le organizzazioni nonprofit sono molto attente al proprio clima interno caratterizzato da entusiasmo e solidarietà. Le aziende spesso sottovalutano l’importanza del loro clima interno o addirittura alimentano un clima di ostilità reciproca e di paura.

Le organizzazioni nonprofit sono un luogo di competizione feroce e dove la forza lavoro è ricattata dal precariato e trattata in piena alienazione

Nel terzo settore l’organizzazione si concentra sui risultati e sulla testimonianza, misurati entrambi in termini di “clienti” acquisiti e di servizi prestati. Nelle aziende, anche quando esse si proclamano marketing oriented, spesso prevale la concentrazione sul mantenimento degli equilibri interni.

I risultati sono qualcosa di totalmente sconosciuto nelle organizzazioni non profit, il cui unico scopo è conservare lo status quo interno ed esterno

Nel terzo settore i singoli volontari vengono giudicati non solo in base ai loro risultati, ma anche in base alle loro buone intenzioni e alla loro generosità. Nelle aziende i dipendenti vengono giudicati in base ai risultati, alla professionalità, al mansionario, alla fedeltà, all’accondiscendenza, ai gruppi di riferimento, alle “cordate”.

L'unico criterio di giudizio che domina nelle organizzazioni nonprofit è la fedeltà ai capi ed ai finanziatori.

Nel terzo settore il consiglio d’amministrazione è composto da persone non pagate, che spesso, anzi, contribuiscono personalmente ai fabbisogni finanziari dell’organizzazione, che lavorano a pieno ritmo e che hanno un ruolo pari a quello della direzione generale. Nelle aziende, il consiglio di amministrazione, composto da esterni, pagati solo simbolicamente e che lavorano a tempo parziale, è collocato in posizione subalterna a quella della direzione generale, affidata a persone ben stipendiate, che lavorano a tempo pieno.

Nel terzo settore il CdA ha funzioni politiche e funge da garante per i finanziatori. Raramente i membri lavorano a tempo pieno, a meno che sia in vista un tornaconto politico. Fa eccezione il caso in cui il CdA sia composto dagli operatori (nelle piccole cooperative/associazioni): qui i Consiglieri fanno un lavoro doppio.

Nelle organizzazioni nonprofit, benché i volontari non percepiscano una retribuzione e gli altri siano retribuiti al di sotto dei prezzi di mercato, le loro prestazioni sono giudicate con grande severità. Nelle aziende, i dipendenti sono retribuiti secondo il mercato, ma spesso mancano i criteri per valutare il loro rendimento e viene tollerata anche un’efficienza molto bassa.

Il volontariato puro, cioè non pagato, è in via di estinzione. la maggioranza degli operatori è pagata, sia pure poco e in ritardo. D'altronde non si chiede loro altro che fedeltà alla organizzazione ed al finanziatore.

Nel terzo settore viene data una forte enfasi all’organizzazione per obiettivi che, tra l’altro, facilita la valutazione dei volontari in base all’impegno con cui essi li perseguono. Nelle aziende si parla spesso di delega e di organizzazione per obiettivi ma, in realtà, vige un forte accentramento, i compiti vengono assegnati volta per volta, chi li svolge viene giudicato anche nel corso del processo.

Il terzo settore non ha quasi mai obiettivi, ma solo finalità in nessun caso verificabili. Nessun operatore è mai valutato se non dalla fedeltà.

Nel terzo settore la motivazione volontaria e disinteressata costituisce la molla principale all’appartenenza: chi non condivide più la mission o chi non è più motivato a prestare la propria opera, si ritira. Nelle aziende, continua a essere dipendente anche chi non condivide più la mission aziendale o non è più motivato: il lavoro perde il suo ruolo espressivo e conserva un semplice ruolo strumentale; la retribuzione finisce per costituire l’unica ragione per la quale si resta dipendenti.

Siccome il volontariato è un mercato del lavoro marginale, dove le paghe sono basse e precarie, chi perde la motivazione cambia organizzazione. Un lavoro modesto è facile da trovare: il settore nonprofit è l'unico oggi ad avere una forza lavoro sotto-dimensionata. Tuttavia il ritiro non è mai legato a motivi ideali. Solitamente le rotture hanno origine relazionale.

Nelle organizzazioni nonprofit, come ha notato Druker, è in atto una “costante trasformazione del volontariato da dilettante pieno di buone intenzioni in un membro dello staff, preparato, professionale, e non pagato”. In parte ciò dipende dal fatto che molti volontari, ancora prima di aderire all’organizzazione nonprofit, sono già forniti di una loro professionalità (magari acquisita presso aziende di cui ora sono prepensionati o pensionati); in parte deriva dal fatto che le organizzazioni del terzo settore sono sempre più attente all’addestramento dei propri adepti, i quali pretendono formazione se giovani, sono pronti ad insegnare se veterani. Nelle aziende si preferisce sostituire i prepensionati esperti con giovani inesperti, spesso si sottovaluta l’importanza dell’addestramento e della formazione; in caso di crisi, la formazione è una delle prime spese ad essere tagliata.

Che questo non sia vero è dimostrato dall'età media della forza lavoro volontaria, che raramente supera i 25 anni. Come nelle aziende, nelle organizzazioni non profit "si preferisce sostituire i prepensionati esperti con giovani inesperti, spesso si sottovaluta l’importanza dell’addestramento e della formazione; in caso di crisi, la formazione è una delle prime spese ad essere tagliata.

Prima ancora dell’addestramento, nel terzo settore sono severi il reclutamento e la selezione, affidati ad esperti interni. Nelle aziende, il reclutamento e la selezione sono spesso condotti con superficialità, da inesperti o da consulenti poco addentro alle cose dell’azienda.

Nelle organizzazioni non profit non esiste alcuna selezione: ci si limita alla presunta fedeltà e ci si affida al caso. Il turn over è elevatissimo.

Nelle organizzazioni nonprofit prevalgono i rapporti informali, caldi, personalizzati, solidali, centrati sull’emotività. Nelle aziende i rapporti sono più formali, freddi, spersonalizzati, competitivi, centrati sulla razionalità.

Le organizzazioni non profit sono una maldestra caricatura delle organizzazioni aziendali.

Nelle organizzazioni del terzo settore per l’individuo conta soprattutto la gratificazione morale. Nell’azienda, per l’individuo conta soprattutto la gratificazione economica e la carriera.

In nessun settore sociale gli operatori sono maltrattati come nel terzo settore: sotto-pagati, senza garanzie, senza premi, senza carriere. Le relazioni umane nel terzo settore sono fondate sulla manipolazione.
Nelle organizzazioni nonprofit l’impegno è significativo per il singolo e ciascuno si sente responsabilizzato, sa a che cosa egli serve, sa a che cosa serve il suo contributo personale, non tende a scaricare sugli altri le proprie responsabilità. Nelle aziende, la mansione è spesso priva di senso per chi la svolge e molti, ignorando persino a cosa serve il proprio lavoro, si sentono estranei al sistema, sono demotivati, tendono a gettare sugli altri le proprie responsabilità; i compiti appaiono rispondenti più a vuote logiche burocratiche che ad esigenze reali.
E' per questo che non esiste team di organizzazione non profit che non incolpi delle proprie inefficienze: il capo, l'Ente Locale, il Governo, le famiglie degli utenti, gli utenti stessi ?

Nelle organizzazioni nonprofit la creatività riesce ad ammazzare la burocrazia. Nelle aziende la burocrazia rischia di ammazzare la creatività.

La creatività è morta da un pezzo nelle organizzazioni non profit: tutto è fondato sulle firme e i registri. Al punto che sono cresciute vere imprese per sbrigare la burocrazia delle imprese non profit.
Nelle organizzazioni nonprofit prevalgono i rapporti orizzontali tra colleghi. Nelle aziende prevalgono i rapporti verticali fra capi e dipendenti.
Non esiste organizzazione nella quale sia più forte la gerarchia, delle organizzazioni non profit, anche perchè l'operatore non ha alcuna tutela.
Nelle organizzazioni nonprofit prevale una leadership carismatica. Nelle aziende prevale una leadership professionale e burocratica.
Questo è vero, ma conferma della scarsa democraticità delle organizzazioni non profit.
Nelle organizzazioni nonprofit prevale in ciascuno l’attenzione verso ciò che egli deve dare agli altri e che gli altri si aspettano da lui. Nelle aziende prevale in ciascuno l’attenzione verso ciò che egli deve ricevere dagli altri.
Nelle organizzazioni non profit, l'altro è il nemico, il suddito, o l'adepto.

Nelle organizzazioni nonprofit ciascuno tende ad apprendere il più possibile per aumentare la qualità delle proprie prestazioni. Nelle aziende ciascuno tende ad apprendere quel tanto che basta per conservare il proprio posto e fare il passo successivo della carriera.

Non esistendo carriera nè valutazione alcuna, nelle organizzazioni non profit nessuno è interessato ad apprendere alcunche': chi lo è lo fa spesso clandestinamente per non suscitare sospetti nei capi e invidie nei colleghi.
Nelle aziende nonprofit la disciplina discende dall’impegno personale, dall’attrazione esercitata dal leader, dall’adesione alla mission, dalla fede, dalla generosità, dalla condivisione delle regole del gioco. Il lavoro stesso assume frequentemente le modalità di un gioco.  Nelle aziende la disciplina discende dai risultati di bilancio, dalla paura di perdere il posto, o  lo scatto di carriera, dal controllo esercitato dai capi, dalle procedure, dalla professionalità. Il lavoro esprime quasi sempre le modalità di una “mansione esecutiva”, di un castigo, di un onere.
Nelle organizzazioni non profit prevale il gioco. Nel quale ciascuno fa più o meno quello che gli pare. Quando questo è limitato, si cambia gioco.
Nelle organizzazioni nonprofit prevale lo spirito di solidarietà sia all’interno, tra i soci, sia verso l’esterno, nei confronti di altre organizzazioni che condividono mission analoghe. La spinta è vitale perché viene dal desiderio di migliorare la qualità della vita, sia propria che altrui. Nelle aziende profit prevale lo spirito di concorrenza sia all’interno, tra individui, tra uffici, tra settori; sia all’esterno, nei confronti di altre organizzazioni. La spinta è distruttiva perché viene dal desiderio di eliminare l’avversario.
Nelle organizzazioni non profit la competizione interna ed esterna è feroce, tanto più se si pensa che la posta in gioco è irrilevante. Non esistono due Parroci, due associazioni, due cooperative limitrofe che cooperano.

Da questo elenco appare una notevole superiorità etica e produttiva delle organizzazioni nonprofit su quelle profit. In realtà, anche il terzo settore ha i suoi problemi: il volontariato, ad esempio, comporta instabilità nelle motivazioni dei soci, per cui il loro turnover è assai più alto che nelle aziende; la debolezza del legame economico, dopo un certo tempo, può demotivare o deresponsabilizzare i soci; il venir meno di un leader carismatico (e dunque poco sostituibile) può avere effetti destabilizzanti assai maggiori di quelli causati in azienda dal venir meno di un capo burocratico.

Parafrasando il Druker citato all’inizio, potremo concludere dicendo che la sfida che attende le organizzazioni è di raggiungere in azienda i livelli di motivazione consueti nel terzo settore, e di raggiungere nel terzo settore i livelli di affidabilità consueti in azienda.

Nella misura in cui le organizzazioni postindustriali hanno bisogno di collaboratori pensanti, flessibili, innovativi, non di esecutori passivi e di burocrati arroccati nella immobilità del proprio garantismo, il problema della motivazione resta centrale e il modello nonprofit esercita il suo fascino.

 

Pagine per il Volontariato individuale e
i Progetti che vale la pena di sostenere
Novità | Archivio