Akkademia di Psicopolis
Psicologia di gruppo
Modelli ed itinerari per la formazione (di G.Contessa)
Il testo è in preparazione come e-book per le ARCIPELAGO Edizioni
CAP. 1. Cosa è un gruppo: definizioni e modelli
CAP. 2. Il gruppo come organismo: fisiologia
CAP. 3. Il gruppo come organismo: difese e disfunzioni
CAP. 7. Le tecniche di intervento nei gruppi
CAP. 8. Ruoli e stili dell'operatore di gruppo

Cap.4. Il gruppo di lavoro.

Un’indagine EPOCcondotta in 10 Stati europei, ha interessato 5.800 dirigenti di aziende con almeno 25 dipendenti, nei Paesi più piccoli, e almeno 50 nei Paesi più grandi. Dai risultati si apprende che:

Gli effetti dichiarati della partecipazione diretta sono:

Questa recentissima ricerca dimostra per l’ennesima volta che il lavoro di gruppo, inteso come modalità operativa per insiemi invece che per singoli, ha una enorme efficacia. La cosa è nota fin dalla fine degli anni Trenta, quando l’équipe di E.Mayo effettuò le prime ricerche sistematiche sul fattore umano nell’impresa. Possiamo dire che tutta la seconda metà del XX secolo ha visto la diffusione a macchia d’olio del lavoro in team, équipe, squadra, circolo di qualità, gruppo operativo, task force, contro la precedente modalità di lavoro individuale in catena di produzione. Sono tante e tali le prove della efficacia, nel panorama moderno e post-moderno, del lavoro di gruppo, che qui non è possibile citarle. In questo capitolo ci limiteremo a presentare i problemi specifici dei gruppi da lavoro, partendo dalla premessa che comunque si tratta di gruppi che presentano tutti i fenomeni descritti nei capitoli precedenti.

4.1.Ordine del Giorno e Ordine della Notte.

Dobbiamo questa bellissima immagine al compianto Franco Fornari, uno dei principali psicoanalisti italiani. I gruppi di lavoro sono costituiti a partire da un Ordine del Giorno. Questa formula identifica l’agenda dei lavori, il contenuto dichiarato, l’oggetto comune del gruppo. Il gruppo viene riunito e formato per eseguire una serie di compiti, disposti in un ordine esplicito e razionale. L’Ordine del Giorno è l’impegno comune, la base logica e ragionevole del gruppo, il compito da realizzare, la performance sulla cui qualità il gruppo valuterà se stesso e sarà valutato. Ideare, progettare, discutere, decidere o eseguire qualcosa sono il contenuto di ogni Ordine del Giorno. In una ingenua logica illuminista, questo è tutto. Il gruppo eseguirà il compito bene o male, in base a quanto è serio e razionale. Se l’Ordine del Giorno viene espletato completamente, significa che il gruppo ha lavorato bene; altrimenti significa che il gruppo è inadeguato. Questa visione ingenua tiene conto solo dei contenuti del gruppo e trascura i metodi, i processi e le dinamiche. Si basa insomma solo sulla logica, sorvolando sulla "psico-logica". La realtà e la psicosociologia dimostrano che questo è un errore. Chiunque abbia esperienza diretta di lavoro di gruppo sa che raramente si esegue l’Ordine del Giorno previsto, ed anche quando ciò avvenga formalmente, è raro che sia frutto di un lavoro di gruppo. Se l’Ordine del Giorno è espletato non significa necessariamente che il gruppo ha lavorato bene. E se l’Ordine del Giorno non viene espletato, non vuole affatto dire che il gruppo ha lavorato male. I termini "bene" e "male" qui non hanno connotati etici, ma attengono a due variabili essenziali del lavoro di gruppo: l’efficienza e la soddisfazione. Un gruppo va bene quando realizza il suo compito con la massima efficienza (rapporto fra mezzi e risultati) e con la massima soddisfazione dei membri. Un gruppo va male quando non perviene alla massima efficienza e alla massima soddisfazione. Secondo lo schema di Fornari, l’Ordine del Giorno viene sempre attraversato, invaso, ostacolato dall’Ordine della Notte. Questo è l’ordine del sonno e del sogno, delle emozioni e degli affetti. Qui preferiamo dire della "psico-logica" cioè della logica della psiche, o della psicosfera. L’Ordine della Notte si intreccia con l’Ordine del Giorno, deviandolo, rallentandolo, arrestandolo con al sua irriducibile alterità. La psicosfera notturna, infatti funziona con regole affatto diversa dalla sfera diurna. L’Ordine del Giorno si fonda su due principi logici di derivazione aristotelica:

La psicosfera, cioè l’Ordine della Notte, noto a chiunque abbia sognato almeno una volta, si basa su assunti del tutto opposti:

La psicologia è la scienza che studia l’Ordine della Notte e dunque si fonda su regole opposte a quelle aristoteliche, che hanno influenzato per duemila anni l’Ordine del Giorno della logica, della matematica, della fisica. Seguendo Fornari dunque, possiamo dire che il lavoro di gruppo è sempre ostacolato dal fronteggiarsi di due ordini distinti ed opposti. L’analisi, la valutazione, l’intervento d’aiuto nei gruppi di lavoro non possono essere fatti sulla base di un razionalismo ingenuo, ma devono essere fondati su una competenza psicologica precisa. I razionalisti descrivono tutto ciò nei termini di compito razionale e irrazionalità che disturba. L’Ordine del Giorno sarebbe il compito logico, la performance razionale. L’Ordine della Notte sarebbe l’istintualità animale, l’irrazionalità primitiva, l’infantilismo sempre in agguato. Sfortunatamente per i razionalisti, tutta l’epistemologia e la scienza del Novecento vanno nella direzione indicata dalla psicologia. Non solo i fenomeni umani sono sottoposti alla logica notturna, ma anche quelli fisici. Non solo il comportamento umano risponde alla logica del tempo circolare e di contraddizione, ma anche il comportamento dei fenomeni naturali, fisici, chimici, biologici ne sono sottoposti. I paradigmi della Complessità e della Fuzzy Logic, ormai dominanti nella scienza di fine secolo, indicano appunto che le intuizioni della psicologia non sono riducibili all’umano, ma si applicano anche alla regolazione del non umano.

Nei gruppi di lavoro, come in tutti i fenomeni umani e non, convivono due logiche: diurna e notturna, performativa ed affettiva, razionale ed emozionale, logica e psico-logica. Ogni gruppo di lavoro ha un Ordine del Giorno, coi relativi contenuti manifesti, ma ha nel contempo metodi, processi e dinamiche proprie degli organismi complessi. La esecuzione del compito non è questione di razionalità, buona volontà o senso del dovere, ma richiede competenze specifiche, da parte di ciascun membro, nella gestione del campo plurale.

In senso lato, possiamo affermare che tutti i gruppi sono gruppi di lavoro, anche quelli il cui Ordine del Giorno è implicito, vago o elastico. Il carattere decisivo di un gruppo di lavoro o di un lavoro di gruppo, non è il lavoro, il compito, l’attività da svolgere, l’obiettivo da ottenere, ma l’esistenza ed il funzionamento plurale del gruppo. Un Ordine del Giorno espletato da uno solo o pochi membri del gruppo, non è un lavoro di gruppo riuscito. Un Ordine del Giorno espletato senza la piena soddisfazione di tutti i membri, cioè senza un mantenimento o incremento dell’appartenenza e dell’investimento, non è un lavoro di gruppo riuscito. Un lavoro di gruppo riuscito è un lavoro che risponde pienamente ai due ordini, diurno e notturno.

4.2. Compito futuro e soddisfazione presente.

La sottomissione del lavoro di gruppo a due ordini di regole, diurne e notturne, è parallela a due tipi di finalità che ogni gruppo persegue inevitabilmente. Una finalità è quella di fare ciò per cui esiste, realizzare il compito, attuare la performance espletare l’Ordine del Giorno. Questa missione del fare è tipica del campo gruppale, e non riguarda l’individuo. Gli individui possono nascere senza un fine preciso, per caso; possono anche passare la vita a cercare il loro scopo, che a volte è vago fino alla morte. I gruppi nascono sempre e solo dall’intenzione. Gli individui nascono per essere, i gruppi nascono per fare. Il compito è un’opzione dell’orizzonte individuale, ma è un vincolo nel panorama gruppale. La realizzazione di una performance è una fase fisiologica del gruppo, al punto che la sua assenza mette in crisi la stessa esistenza del gruppo. Un gruppo di amici che non offre solidarietà e confidenza, un gruppo di lavoro che non espleta il suo Ordine del Giorno, un gruppo di apprendimento che non impara, sono una realtà destinata ad una vita breve. Il compito è insieme la causa ed il fine del gruppo. Poiché la performance viene temporalmente dopo l’avvio del gruppo, possiamo dire che è il futuro il tempo centrale del gruppo, e che è il futuro a determinare il passato. Il gruppo infatti si forma, nasce e cresce in virtù del suo scopo. Ciò che il gruppo fa ora dipende in larga misura da ciò che si propone avvenga domani. Le aspettative, i progetti, gli scopi, le intenzioni, sono la base della storia del gruppo. Che il gruppo sia centrato sul futuro, spiega anche il perché la cultura gruppale prevalga nelle situazioni storiche evolutive e sia messa in ombra nelle fasi stagnanti o regressive. Quando la società ha forte il senso della frontiera da raggiungere, della missione da realizzare, del futuro da costruire, allora i piccoli gruppi diventano una dimensione diffusa. Quando invece una società è ingabbiata nella memoria, impaniata nel presente, priva di sogni e utopie, i piccoli gruppi si rarefanno e prevale l’individualizzazione. Il compito del gruppo è sempre un progetto, uno scagliare nel futuro l’immaginazione. Il gruppo di amici si costituisce per diventare "compagnìa", cioè per dare un contenitore affettivo permanente ai compagni. Il team o l’équipe, nascono per migliorare il lavoro o per realizzare un compito speciale, entrambi collocati nel futuro. Persino un gruppo di diagnosi e di valutazione di eventi passati, è centrato sul futuro, perché futuro è il risultato per cui nasce il campo plurale.

La seconda finalità inevitabile del gruppo è la massima soddisfazione dei membri, qui ed ora. Cosa rende coeso un gruppo? Cosa giustifica la partecipazione dei membri ad un gruppo? Cosa sorregge l’appartenenza e la fedeltà di un singolo ad un campo plurale? La risposta è una sola: che il gruppi soddisfi, almeno in parte, uno o più bisogni di ciascun membro. La storia è piena di casi nei quali la coesione è stata tentata per altre vie: la corruzione, la violenza, il ricatto, la segregazione, la schiavitù. Tutti questi mezzi di coercizione sono riusciti a mantenere la gruppalità solo per brevi periodi e solo al prezzo di conservare e replicare all’infinito il mezzo utilizzato. I mezzi coattivi ottengono qualche risultato solo finchè vengono mantenuti attivi. La coesione per consenso invece si autoalimenta. Basata su una reale soddisfazione di bisogni e la conseguente scelta di appartenenza, la coesione di gruppo viene affidata alla responsabilità individuale e diventa stabile nel tempo. Per il lavoro e la vita stessa del gruppo, essenziale è dunque la meta-finalità della soddisfazione dei membri. Un gruppo che realizza il suo compito a scapito della soddisfazione dei membri ottiene una diminuzione della coesione e del funzionamento operativo. Soddisfare i membri non significa però fare esattamente ciò che ognuno vuole. La soddisfazione di un membro di un gruppo che lavora non è legata al fatto che l’intero volere del singolo sia rispettato. Un singolo può vedersi respinta una proposta, può trovarsi in minoranza durante una decisione, può farsi carico di un compito sgradevole, se l’appartenenza è alta. E l’appartenenza è alta se il membro percepisce in ogni momento, qui ed ora, che: la sua originalità/diversità è apprezzata, il suo contributo ascoltato, il suo ruolo significativo per il gruppo, i legami sono forti, il gruppo gli fornisce sicurezza, solidarietà e arricchimento. La soddisfazione dei bisogni non è cosa che si possa dislocare in tempi diversi dal presente. La nostalgia e la speranza non soddisfano i bisogni concreti e continuativi. La soddisfazione è centrata sul qui ed ora, perché i bisogni urgono adesso. In certi casi particolari il compito futuro e la soddisfazione odierna si sovrappongono, nel senso che vanno in parallelo: i gruppi terapeutici, il cui compito non è solo la guarigione futura ma anche la presa in cura quotidiana; i gruppi amicali, la cui performance è la relazione giorno per giorno. In casi particolari, quando il compito è particolarmente attrattivo (grande ideale, impresa eroica, espressione artistica, ecc.) la soddisfazione presente può anche essere minima.

Il compito attiene all’Ordine del Giorno, la soddisfazione all’Ordine della Notte. La riduzione del lavoro di gruppo ad uno solo di questi ordini provoca la paralisi emotiva o operativa. Se il compito viene disatteso, il gruppo perde il motivo principale della sua esistenza e la soddisfazione è minacciata. Se viene trascurata la dimensione notturna, il compito fallisce e la soddisfazione precipita. Il gruppo di lavoro ha questa particolare necessità di operare su due piani simultanei: la soddisfazione presente e il compito futuro. Il che implica un monitoraggio ed una manutenzione costanti dei contenuti, ma anche dei metodi, dei processi e delle dinamiche. Il problema del gruppo di lavoro, come di ogni organismo complesso vivente, è il suo equilibrio quasi-stazionario, che rende utopica l’ipotesi di uno sviluppo progressivo. Qualcuno concepisce un gruppo che, dopo le fasi di incertezza iniziale, si solidifica e arriva a performances sempre più efficaci. Tale concezione progressiva non coincide con la realtà. La storia di un gruppo è più simile ad una spirale che ad una scala. Il suo andamento è ricorsivo e l’età del gruppo, come nel caso dei singoli, non comporta necessariamente l’infallibilità. Ciclicamente appaiono dinamiche simili, processi recessivi, difese tenaci che rallentano o ostacolano il compito, e minano la soddisfazione. Ciò che può aumentare, nel corso del tempo, è la consapevolezza o la capacità di attraversare dinamiche di rispecchiamento riflessivo. Naturamente il tempo un sé non ha valore alcuno, se non è accompagnato da partcolari competenze e sensibilità.

4.3.Gruppo di lavoro e organizzazione.

Un gruppo di lavoro è un gruppo che ha un lavoro da compiere, solitamente esterno da se stesso. Potremmo dire che anche un gruppo di apprendimento ha un lavoro da compiere, ma ciò avrebbe solo una funzione nominalistica. Un gruppo di lavoro può avere due tipi di compiti: a tavolino e "sul campo". Il lavoro che chiamiamo a tavolino consiste nello scambiarsi informazioni, discutere, ideare, progettare, programmare, decidere, valutare. Si tratta di un lavoro soprattutto comunicativo, perlopiù verbale, che si espleta all’interno del gruppo. Questo lavoro presuppone un’organizzazione, cioè una serie di regole, ruoli e procedure, abbastanza ridotte. Esiste una funzione preparatoria, che i gruppi di lavoro spesso sottovalutano. Essa consiste in una chiara e completa informazione preventiva a tutti i membri, ma può anche prevedere compiti di ricerca, ricognizione, raccolta di dati, o l’invito di testimoni per un’audizione di gruppo. Poi esiste una funzione gestionale, perché la riunione sia condotta nel modo più efficace. La quale comprende ruoli interni come quello del moderatore e del segretario, cui si possono aggiungere un coordinatore, un portavoce, un relatore su specifici argomenti. Ma comprende anche procedure che presiedono al ritmo e la durata degli interventi, ai metodi utilizzati per ottimizzare il lavoro, alle fasi decisionali. Per esempio, un gruppo di lavoro può darsi un ordine di parola o no, può suddividersi un sottogruppi scomponendo il compito in parti o fasi, può usare tecniche strutturate come il brainstorming o simili (v.Cap.7), può decidere prima i caratteri dei propri processi decisori (all’unanimità, a maggioranza semplice, composta o relativa, con voto pubblico o segreto, con possibilità o no di delega). Infine esiste una funzione di controllo o monitoraggio in itinere e finale, del processo e dei risultati. Questa funzione, come le precedenti, non può essere lasciata al caso, ma deve essere organizzata nei tempi, negli indicatori da monitorare e nei modi per rilevare i dati, nei valori di soglia (v.Cap.6.6).

Ancora più complessa è l’organizzazione di gruppo richiesta per il lavoro "sul campo". Col termine "campo" intendiamo una situazione nella quale interagiscono non solo i membri, ma anche soggetti, culture, materiali esterni al gruppo. Il lavoro sul campo corrisponde al fare, agire, costruire, qualcosa, in relazione diretta con soggetti diversi dal gruppo. E’ un gruppo che lavora sul campo l’équipe chirurgica mentre opera; la compagnia teatrale che recita in pubblico; la squadra di boy-scouts che esplora un bosco; il Consiglio di Classe che accompagna gli allievi in un viaggio d’istruzione; uno staff di formatori impegnati nella gestione di un Corso. Un gruppo di lavoro sul campo funziona come organizzazione temporanea, che dura per il tempo dell'attuazione del compito. Mentre a tavolino, le lacune e gli errori possono essere facilmente ripresi e corretti dal gruppo in tempo reale, sul campo l’organizzazione (che è l’azione regolata, programmata e coordinata) è essenziale per prevedere le emergenze e compensare l’impossibilità di correzione degli errori. Mentre il gruppo di lavoro opera insieme a tavolino, sul campo agisce "come insieme" ma per compiti differenziati. Spesso i compiti operativi sono affidati a singoli, coppie o sottogruppi, ma anche quando il gruppo opera nello stesso tempo e luogo, ciascun membro si trova a svolgere un ruolo differente. Anche in un coro, dove tutti sembrano fare la stessa cosa-cantare-, esistono i bassi, i baritoni, i tenori. Un’orchestra suona insieme, ma ogni musicista ha un diverso strumento. Un’èquipe chirurgica lavora in sintonia, ma ogni singolo ha compiti specifici.

Un gruppo sul campo deve dunque dotarsi di un’organizzazione definita in ogni dettaglio, sperimentata e collaudata, affidabile e armoniosa, dove l’insieme funziona perfettamente solo se ognuno esprime al meglio il ruolo affidatogli. Basta pensare ad una squadra di calcio, un gruppo di artificieri, un plotone di militari in guerra, una compagnia di acrobati, una band musicale, una squadra di minatori, un’équipe di un laboratorio di ricerca, per avere un’idea visiva del rapporto fra organizzazione collettiva ed espressione individuale.

Il concetto principale che presiede alla qualità di un gruppo operativo è che il successo individuale e il successo del gruppo sono la stessa cosa. Ogni ruolo, considerato come parte di una rete di interdipendenze, è equivalente. Non esiste in questo tipo di gruppo un ruolo più importante ed uno meno importante. Il chirurgo è il medico che incide il corpo, ma il paziente muore se l’anestesista o l’infermiera non eseguono il loro compito al meglio. Il centravanti segna il gol, ma se il portiere non è adeguato, la squadra perde. Il primo attore è il più applaudito, ma lo spettacolo è fischiato se il datore di luci sbaglia i tempi. Un gruppo di lavoro sul campo è valutato come insieme e difficilmente il singolo si salva da solo da un fallimento, come è raro il caso che ad uno solo vada il merito del successo.

Il secondo principio organizzativo aureo è che ognuno deve fare esattamente quanto è stato deciso insieme. Ogni comportamento discrezionale, rischia di pregiudicare l’organizzazione. Ogni scostamento dalle decisioni prese dal gruppo a tavolino, mette in pericolo la performance. Ciò perché ciascun membro è preparato ad aspettarsi certe azioni da ogni altro, e le deviazioni dal ruolo assegnato spiazzano tutti i ruoli del campo. Ogni compito individuale, ogni ruolo, prevede interpretazioni personali di stile, di tono, di sfumatura che salvano l’originalità e la libertà dei singoli. Purché però queste variazioni discrezionali avvengano all’interno del progetto deciso a tavolino, e dentro il ruolo assegnato. Le emergenze che sempre possono presentarsi impreviste e che chiedono tradimenti sensibili delle decisioni prese dal gruppo a tavolino, indicano perlopiù che quest’ultimo è stato inadeguato. Le situazioni eccezionali, effettivamente imprevedibili, devono essere affrontate dai singoli con creatività e originalità, ma all’interno delle linee ispiratrici del gruppo. Qui entrano in gioco l’appartenenza e il grado di identificazione con la cultura e le norme del gruppo. Il singolo che si trova costretto a improvvisare può farlo chiedendosi: "cosa farebbe il mio gruppo di fronte a questa emergenza?" oppure: "cosa posso fare per salvare il gruppo in questa situazione imprevista?".

Il terzo principio organizzativo è che l’articolazione differenziata dei compiti sul campo deve essere punteggiata da momenti di lavoro d’insieme a tavolino. Quando le performances sono brevi, come un concerto, un’operazione chirurgica, o una missione militare, il lavoro a tavolino viene espletato negli intervalli fra una e l’altra. Anche se in certi sport (come il basket) è previsto il time-out per questo scopo. Se invece si tratta di una performance di media o lunga durata (come un Corso di formazione, la campagna promozionale di un prodotto, la costruzione di un’opera edile, la gestione di un ciclo produttivo), il lavoro del gruppo a tavolino avviene a intervalli. Il lavoro a tavolino, parallelo al lavoro sul campo ha diverse funzioni. La prima è quella di monitorare il processo mentre si snoda. Tenere sotto controllo i parametri di funzionamento di un gruppo in azione, equivale a godere i benefici dei periodici check up corporei o dei cruscotti delle automobili. Serve a identificare precocemente i fattori critici per apportarvi le opportune correzioni. Il monitoraggio consente di aggiustare, ri-orientare, rafforzare i compiti ed i processi di lavoro. Oltre al resto, questa parentesi a tavolino, consente ai membri di esprimere le proprie insoddisfazioni su come procede il lavoro sul campo, proporre le opportune variazioni e ridecidere diversi persorsi. La seconda funzione è quella di supportare i singoli, offrendo consulenza, supervisione, impressioni, valutazioni e gratificazioni da parte del gruppo. Il lavoro sul campo è stressante, impervio, irto di difficoltà, portatore di dubbi e incertezze, scarso di gratificazioni. Se lo si affronta in totale solitudine è faticoso, ed inoltre aumentano i rischi di errore. Il gruppo di lavoro a tavolino svolge una funzione nutritiva e consolatoria, d’appoggio e di rinforzo verso tutti i suoi membri. La terza funzione è quella di mantenere viva la coesione e l’appartenenza. Una lunga esposizione al lavoro singolare, rischia di far prendere ai membri una tendenza centrifuga, di divaricare le traiettorie operative, di allentare l’appartenenza. Il lavoro a tavolino, che si alterna a quello sul campo, serve appunto e contenere questi rischi. Durante questi incontri il patto di gruppo viene rinnovato, anche implicitamente; le traiettorie divaricanti sono giustificate o attenuate; la coesione e l’appartenenza rafforzate.

4.4. La procedura decisionale.

Fra il lavoro a tavolino e quello sul campo, si colloca il processo più delicato di un gruppo operativo: la decisione. I gruppi di lavoro, ad eccezione dei Consigli di Amministrazione, sono in genere molto ingenui circa questo processo, per cui non sarà inutile qualche cenno sulle procedure decisionali. Una decisione formalmente errata non è un mero disturbo estetico, ma è una incrinatura della sostanza, una manipolazione del consenso, una minaccia all’applicazione della decisione presa e dell’appartenenza. Molte azioni di potere nei gruppi si consumano mediante la manipolazione delle decisioni, che si esprime in diversi modi, fra cui i seguenti.

Classico trucco di chi vuole vincere una decisione, senza avere il consenso: proporre una sospensione, una dilazione nel tempo, un prolungamento del dibattito. Le giustificazioni usate in genere sono che "non c’è un consenso", o che "il dibattito non è stato approfondito". A volte è vero che una dilazione è utile o necessaria, e tutto il gruppo conviene facilmente. Spesso invece si tratta solo di un uso smaccato del potere di interdizione, per cui paralizzare un gruppo è più facile che aiutarlo a procedere. Perciò è buona regola che, quando è prevista una decisione, si decida in anticipo quanto tempo sarà dedicato al confronto precedente.

Operazione contraria alla precedente. "Siccome non ci sono problemi, possiamo decidere subito"; "Siamo tutti d’accordo, e dunque decidiamo..": frasi in genere seguite da un passaggio all’azione o un tema diverso. Posizioni tipiche di chi ha fretta di decidere, perché un eventuale dibattito potrebbe dare sorprese sgradite. Saggio sarebbe non dare nulla per scontato e chiedere una espressione formale di consenso, a seguito di un breve dibattito, su ogni tema.

Il consenso o il dissenso relativi ad una decisione da prendere, possono essere espressi in modi svariati. Il più sbrigativo è quello implicito: qualcuno fa un’affermazione o formula una domanda, e dopo tre secondi di silenzio annuncia che "allora, abbiamo deciso!". La mancata reazione immediata viene considerata consenso. Meno sbrigativo è il metodo della espressione rituale di ogni membro verso una proposta formalizzata. Qui è importante uno sforzo leale perché i termini della decisione siano chiari e compresi da tutti. Esistono persino giochini televisivi, nei quali ci si diverte con domande aggrovigliate al punto che per avere qualcosa bisogno dire "no", mentre per rifiutarla occorre dire "sì". Molti quesiti referendari sono di questo tipo confusivo. La decisione deve essere presa su dilemmi semplici e chiari, e sta al coordinatore fare in modo che ciò avvenga. Infine la decisione può essere presa per semplice alzata di mano, con o senza dichiarazione, o per voto segreto. Le due formule hanno valenze diverse, la prima essendo più imbarazzante e responsabilizzante della seconda. Infine, circa il metodo di decisione va prefissata la legittimità della delega: il membro assente può delegare un altro a votare per lui ? Anche questo deve essere deciso prima che si presenti la fattispecie, e fissato come regola abituale nelle prese di decisione.

Ma le modalità di decisione non sono ancora i criteri. Quando una decisione deve intendersi come presa? In alcune materie può essere prevista l’unanimità; in altre la maggioranza semplice (metà più uno, con o senza voto doppio del coordinatore in caso di parità); in altre ancora a maggioranza qualificata (due terzi, tre quarti del membri, ecc.). Il criterio della maggioranza semplice dei votanti è il sistema più rischioso di decisione, in quanto può dare luogo a vittorie della minoranza. Per esempio, se su 10 membri, 4 votano a favore, 3 si oppongono e 3 si astengono, il criterio della maggioranza semplice dice che la decisione è passata. In sostanza però ciò significa che il gruppo sceglie qualcosa che convince solo 4 membri su 10, cioè la minoranza in termini assoluti. Va ricordato che ogni decisione non deve perdere di vista il massimo consenso, che corrisponde in seguito al massimo grado applicabilità della decisione presa. Una decisione presa con 4 voti a favore su 10, avrà molte difficoltà ad essere applicata. Nei casi di emergenza si può anche usare questo criterio, che però è molto dannoso se usato abitualmente. Va ricordato che i criteri della decisione sono materia delicatissima, da affrontare nelle prime fasi del gruppo, quando ancora non esistono contese concrete su qualche materia. Se questa decisione viene presa in corso d’opera, a ridosso di un contenzioso già aperto, è facile per qualcuno bloccare il gruppo col ricorso ai meta-criteri. Infatti, per decidere quali criteri usare in una decisione, occorrono criteri decisionali consensuali: occorre per esempio decidere a maggioranza che le decisioni saranno prese a maggioranza. Il paradosso può arretrare su livelli infiniti, impendendo al gruppo di decidere alcunchè. Se la questione viene affrontata quando gli animi sono ancora sereni e il tavolo sgombro da decisioni impellenti da prendere, è più facile pervenire ad un consenso sui criteri.

Una decisione è la soluzione di un dilemma, il taglio di un nodo, il superamento di un conflitto fra opzioni diverse o alternative. I conflitti possono essere superati con decisioni il cui risultato sia per il gruppo:

Un gruppo dovrebbe sempre sforzarsi di prendere decisioni a somma positiva. Quando avviene che i conflitti vengano risolti sempre a somma negativa, significa che il processo decisionale è malfunzionante, e il gruppo rischia peanti danni nella performance o nell’appartenenza.

Quando un gruppo prende una decisione con modalità e criteri corretti e condivisi, essa impegna tutti i membri al suo rispetto ed alla sua esecuzione. Modificare la decisione è un potere riservato alla sovranità del gruppo che l’ha presa, e rimetterla in discussione in tempi troppo ravvicinati equivale a sfidare o minare questa sovranità.

MEMORANDUM PER IL LAVORO DI GRUPPO.