1 - Modello
tradizionale e modello innovativo del processo di apprendimento
2 - Gruppo in senso psicopedagogico
3 - Ostacoli reali ed alibi
4 - Valori educativi del gruppo
4.1 II raggiungimento di un livello superiore di sicurezza
4.2 II controllo del senso di colpa
4.3 Il miglioramento dei processi di apprendimento
4.4 L'aumento delle capacità di cambiamento
4.5 La facilitazione della maturazione affettiva
5 - Fenomeni e dinamiche di gruppo
1. MODELLO
TRADIZIONALE E MODELLO INNOVATIVO DEL PROCESSO DI APPRENDIMENTO
II modo tradizionale di intendere il processo di apprendimento si
basa su alcuni presupposti di ordine sociale, epistemologico e psicologico:
a) gli allievi non sanno e l'insegnante sa
b) ciò che gli allievi devono imparare è già
deciso dai programmi e dall'idea che l'insegnante ha circa l'apprendimento
e) l'insegnante insegna a tutti le stesse cose allo stesso modo,
perciò chi non impara o è svogliato o è mentalmente
insufficiente
d) chi impara è premiato, chi non impara è punito
(bocciato, irriso, trascurato, ecc.)
e) ogni allievo ha il compito fondamentale di dimostrare la sua
abilità manuale e mentale oltre che il suo comportamento
disciplinato
Si sta dunque facendo strada un nuovo modello pedagogico, nel quale
il lavoro di gruppo è elemento centrale che si basa su questi
presupposti:
a) gli allievi sanno già alcune cose, altre le ignorano;
anche l'insegnante ignora molte cose
b) la cosa che gli allievi devono davvero imparare è il "metodo
per imparare": tutto ciò che esce da questo obiettivo
è accessorio o esemplificativo; va comunque studiato solo
se risponde a realibisogni culturali degli allievi
e) l'insegnante aiuta l'allievo ad impadronirsi della realtà
e delle regole generali di un lavoro, offrendo contributi diversi
in base alle diverse esigenze degli allievi: se qualcuno non impara
occorre insegnare qualcos'altro o usare un altro metodo di insegnare
d) gli allievi devono imparare insieme aiutandosi l'un l'altro ed
esprimendo al massimo le loro potenzialità.
La differenza tra i due modelli di scuola è radicale. In
quello tradizionale l'insegnante insegna qualcosa che è ritenuto
importante per l'allievo; la classe non è che un fastidioso
insieme di allievi.
Nel modello innovativo la classe come gruppo impara, ricercando
e sperimentando in collaborazione, e l'insegnante non è altro
che una risorsa disponibile. Nel modello tradizionale la cosa più
importante è che gli allievi imparino dei contenuti; nel
nuovo modello ciò che conta è che imparino un metodo
ed uno stile di lavoro. Il lavoro di gruppo non è dunque
solo un metodo, ma è anche il contenuto stesso dell'apprendimento.
Lavorando in gruppo gli allievi apprendono che la conoscenza è
il frutto della ricerca collettiva: il gruppo è una "unità
di apprendimento" in cui si deve superare l'individualismo,
la competizione e la dipendenza dalle autorità. Il gruppo
discute ogni problema relativo al suo funzionamento e la sua organizzazione.
Ciò che si studia, o si ricerca o si realizza deve essere
scelto dagli allievi o almeno tratto dai loro reali interessi cognitivi
ed emotivi. L'insegnante non valuta: esprime solo pareri e consigli.
Il gruppo si valuta, riflettendo sul lavoro che va facendo.
2 GRUPPO
IN SENSO PSICOPEDAGOGICO
Occorre precisare
il significato psicopedagogico del gruppo, sciogliendo l'equivoco
assai diffuso secondo il quale un gruppo è un semplice insieme
di persone. Non è sufficiente che più persone facciano
insieme una cosa perchè si possano definire gruppo. Per parlare
di "lavoro di gruppo" occorrono alcune condizioni:
- comuni obiettivi di fondo
- ruoli in interazione reciproca
- senso di appartenenza
Un gruppo si definisce tale solo se queste condizioni esistono o
sono ricercate con consapevolezza. Avere comuni obiettivi di fondo
non significa essere unanimi; è sufficiente che ci siano
alcune motivazioni simili, che ci siano condizioni oggettive analoghe
per tutti i membri, o che alcune motivazioni diverse siano integrabili
fra
loro. Fra gli allievi la motivazione comune (magari molto remota)
è quella di imparare e le condizioni oggettive, dentro l'aula,
sono simili. Molte difficoltà sorgono nel lavoro pedagogico
in generale e in quello di gruppo in particolare, quando interferiscono
condizioni oggettive troppo pesanti (una situazione familiare precaria
per
l'allievo o una posizione professionale insoddisfacente per l'insegnante).
In tali casi i problemi sono di ordine sociale e difficilmente possono
essere affrontati con strumenti psicopedagogici.
Che esistano ruoli in interazione reciproca vuoi dire che i membri
del gruppo devono dare un contributo significativo e personale al
lavoro collettivo, comunicando l'un l'altro circolarmente. In tal
caso si supera l'assetto tradizionale della classe in cui esistono
solo due ruoli importanti: quello del docente e quello del discente,
con comunicazioni a due fra insegnanti e singolo allievo. Facilitare
l'interazione reciproca dei ruoli significa mobilitare tutte le
energie potenziali e tutte le risorse disponibili presenti nella
classe, evitando l'emarginazione e la sottoutilizzazione di alcuni.
Infine il senso di appartenenza significa la sensazione da parte
dei membri di "far parte" di una entità il cui
valore supera quello della somma dei singoli; è il senso
sociale dell'insieme, l'integrazione fra istanze individuali e sociali.
Non dobbiamo vedere queste condizioni dei gruppo come statiche (o
ci sono o non ci sono), ma come elementi dinamiciraggiunti e persi
di continuo nel flusso storico della vita di gruppo.
Queste tre condizioni possono essere realizzate casualmente per
una serie di circostanze occasionali, ma è possibile facilitarle
se si tiene conto di alcuni accorgimenti organizzativi. Anzitutto
la dimensione: un gruppo ha qualche probabilità di funzionare
se ha un numero di membri compreso fra i sei ed i quattordici. Numeri
più
grandi, come quello di certe classi, procurano alcune difficoltà
in parte superabili con la durata dei lavoro (da uno a tre anni
scolastici), in parte con divisioni in sottogruppi. Poi il tempo:
un lavoro di gruppo deve avere tempo sufficiente, ma anche pause
significative. Non si può fare un gruppo lavorando insieme
un'ora al
mese, così come diventa difficile farlo attraverso sedute
che durano sei-otto ore. E' chiaro che la durata è in funzione
degli obiettivi, ma è ormai dimostrato che un gruppo può
concentrarsi per un massimo di due ore, dopo le quali è necessario
lasciare ai singoli il tempo di riposare. Dovendo impostare sul
lavoro di gruppo l'attività scolastica sarà opportuno
suddividere accortamente i tempi di lavoro individuale, discussione
di gruppo, elaborazione in sottogruppi, ecc..
Molto importante per il lavoro di gruppo è anche lo spazio:
l'ambiente deve essere confortevole (illuminazione, sedie, temperatura,
ecc..) e soprattutto personalizzato, cioè riconosciuto dal
gruppo come proprio. Ultimo elemento utile a facilitare il lavoro
di gruppo è il sistema di norme di funzionamento, la Costituzione
del
gruppo stesso. Organizzazione del lavoro interno, interventi, metodo
per decidere, ordini del giorno, verbali, materiale, ecc.; questo
insieme di regole deve avere due caratteristiche: essere prodotto
dal gruppo ed essere elastico. Un regolamento che fosse elaborato
dall'insegnante non sarebbe rispettato; un regolamento troppo rigido
soffocherebbe la creatività e la spontaneità del gruppo.
3 VALORI
EDUCATIVI DEL GRUPPO
Spesso vengono accampate alcune obiezioni pedagogiche per negare
il valore del gruppo in senso educativo. Una di queste è
che il lavoro di gruppo può attenuare la creatività
e l'autonomia del singolo. Si può rispondere a questa obiezione
che, purché correttamente impostato, il gruppo è un
"più" rispetto all'istruzione individuale: esso
è cioè un completamento e non una sostituzione. Il
gruppo è un mezzo, una tappa del lavoro educativo: per questo
esso offre all'allievo più occasioni di sviluppo della creatività,
più stimoli e situazioni di confronto
operativo, oltre a quelli che l'allievo si procura singolarmente.
Un'altra obiezione è che il gruppo consente agli individui
di sottrarsi alle proprie responsabilità, di perdere la capacità
di decidere da solo e di rischiare. Al contrario, un lavoro di gruppo
effettivo aumenta la responsabilità individuale perché
assegna a ciascuno il peso del risultato complessivo: addestra in
modo formidabile la capacità decisoria perché la storia
di un gruppo è una serie ininterrotta di decisioni, aumenta
la capacita di affrontare il rischio essendo il gruppo un'entità
"rischiosa" per sua natura, come già detto prima.
Possiamo dire che, mentre chi è abituato al lavoro individuale
non è detto che sia autonomo e maturo ne' che sia capace
di
lavorare in gruppo, al contrario chi sa lavorare in gruppo riesce
ad agire individualmente con autonomia e maturità. La terza
obiezione è che in fondo l'insegnante fa sempre del lavoro
di gruppo, per il fatto stesso che lavora in una classe. Questa
obiezione dimentica le condizioni prima descritte perché
si possa parlare di lavoro di gruppo: a questi insegnanti ottimisti
dobbiamo chiedere se i loro allievi sono motivati e soddisfatti,
se hanno modalità orizzontali e circolari di comunicazione
e non solo rapporti docente-discente, e infine se gli allievi sentono
la classe come il "loro gruppo". Per offrire un'idea più
precisa del valore del gruppo nei processi
educativi e d'istruzione, possiamo elencare una serie di obiettivi
che l'esperienza di gruppo non solo può facilitare ma anche
condizionare.
3.1 II raggiungimento di un livello superiore di sicurezza
L'individuo passa attraverso una serie successiva di stadi di sicurezza
che gli derivano da conferme al suo tessuto di bisogni. Al primo
livello troviamo la necessità di conferme oggettuali, cioè
legate ad oggetti o fatti (pensiamo alla sicurezza del neonato legata
al capezzolo); al secondo livello si colloca la conferma
dell'autopercezione (il bambino che si riconosce come entità
diversa dalla madre); al terzo livello c'è una sicurezza
interpersonale, legata cioè ai rapporti con individui (i
primi sono i genitori); al quarto livello la sicurezza di gruppo
e sociale, derivante cioè dalla capacità di sentirsi
"parte" di un'entità superindividuale (il primo
gruppo è la famiglia intesa come totalità); all'ultimo
livello c'è la sicurezza etico-estetica, quella legata ai
valori, concetti e principi (è la scoperta del bene e del
bello senza incarnazioni in persone o oggetti specifici). Tutti
questi stadi non sono cronologici e l'arrivo all'ultimo non significa
il definitivo superamento dei primi. Il
passaggio da un livello di sicurezza ad un altro comporta la sopportazione
della mancanza di sicurezza. Paradossalmente possiamo dire che è
sicuro solo chi riesce ad essere insicuro. D'altra parte l'insicurezza
è affrontabile solo se esiste nell'uomo la conoscenza di
una sicurezza precedente da superare. La totale assenza di esperienze
di sicurezza (come in molti orfani) provoca uno stato di angoscia,
mentre la cristallizzazione ad uno stadio qualsiasi delle sicurezze
elencate è nel contempo sintomo e causa di nevrosi e disturbi
del comportamento. In particolare la mancata esperienza del gruppo
provoca una forte ansietà nelle relazioni sociali e quindi
meccanismi di difesa negativi per l'individuo e per la società.
I cosiddetti disturbi di socializzazione (aggressività, inibizione,
timidezza ecc.) trovano spesso la loro origine in un mancato o errato
riferimento di gruppo. Frequentemente, mediante una corretta esperienza
di gruppo, essi possono essere superati.
3.2 II controllo
del senso di colpa
L'individuo acquisisce un complesso di norme dall'esterno: all'inizio
le regole del padre, poi quelle delle figure paterne (sacerdote,
insegnante, direttore, capufficio, ecc.) ed infine quelle delle
strutture sociali. Nel rapporto fra l'io e queste norme il polo
più debole è sempre il primo e ben presto l'individuo
si percepisce come
trasgressore, cioè colpevole. Un individuo che non sa controllare
questo senso di colpa rischia la paralisi del comportamento, l'inibizione
o l'autopunizione, la paura o l'impotenza ad agire, la fragilità
nei confronti di ogni struttura autoritaria. L'esperienza di gruppo
consente l'interposizione, fra l'io e le norme sociali, di regole
molto più controllabili ed agibili (quelle del gruppo). Queste
ultime possono essere, assai meglio delle altre, modificate; possono
diventare un'alternativa alle norme sociali; e comunque sono norme
contro le quali è possibile sperimentare il dissenso senza
eccessivi sensi di colpa. Imparando a gestire le regole di gruppo
il bambino o il giovane o l'adulto (il meccamismo è lo stesso)
riescono a gestire il loro senso di colpa e questa capacità
resta acquisita anche nei confronti delle norme paterne e sociali.
3.3 II miglioramento
dei processi di apprendimento
L'apprendimento è facilitato dal costante confronto che la
situazione di gruppo consente. Il continuo paragone con gli altri
favorisce la consapevolezza dei risultati raggiunti dall'individuo
al di fuori del tradizionale schema valutativo dell'autorità.
L'allievo misura il livello del suo apprendimento, non attraverso
il giudizio
dell'insegnante che spesso inibisce e demotiva, ma nel confronto
positivo con i compagni.
3.4 L'aumento
delle capacità di cambiamento
Ogni tipo di cambiamento è legato a problemi di sicurezza,
di conflitto (e quindi di gestione dei sensi di colpa) e di apprendimento
di nuove situazioni. Poiché il gruppo è una condizione
fondamentale per l'appropriazione da parte del giovane dei tre elementi
suddetti, il gruppo è anche un'esperienza che rafforza le
capacità di gestione
del cambiamento. Quanto ciò sia fondamentale per i giovani
che dovranno molto presto confrontarsi con situzioni lavorative
sgradevoli, è fin troppo chiaro. Se questo è recepito
dalle organizzazioni sindacali per facilitare la gestione della
conflittualità aziendale, negli ultimi tempi sta diventando
anche un'esigenza di alcune aziende ad alto tasso di dinamismo,
che vorrebbero utilizzare la capacità di gestire il cambiamento
in termini di sviluppo delle mansioni e della creatività.
3.5 La facilitazione
della maturazione affettiva
L'affettività tende ad esprimersi in modo personale e irrazionale,
cioè in modo soggettivo e non sociale. L'esperienza di gruppo
consente di dare all'affettività un'espressione socializzata;
offre un aiuto a regolare le funzioni affettive, mediandole con
le esigenze di razionalità del gruppo. Una volta che questa
socializzazione della affettività è fatta propria
dall'individuo, egli potrà utilizzare le sue pulsioni affettive
in modo più efficace.
4 FENOMENI
E DINAMICHE DI GRUPPO
Descrivere tutto ciò che avviene in un gruppo e come esso
si evolve è un compito difficile per svariati motivi. Anzitutto
perchè ogni gruppo è una entità particolare
ed unica, perciò non generaiizzabile. In secondo luogo perché
un gruppo ha una storia diversa in ragione degli obiettivi che si
pone, dell'istituzione in cui opera, del modo con cui è condotto.
Come per gli individui, anche per i gruppi non si possono che elencare
fenomeni e dinamiche probabili e approssimativi, sottolineando però
che la vera conoscenza di un gruppo ( come di un
individuo) è possibile solo attraverso l'esperienza di un
rapporto.
4.1 Nel considerare la storia di un gruppo possiamo evidenziare
due direttrici principali: il rapporto fra affettività ed
efficienza ed il ruolo dell'autorità. La vita di gruppo oscilla
con una sinussoide più o meno ampia, dall'affettività
all'efficienza. Con questo si intende dire che un gruppo non nevrotico
da' uguale spazio e considerazione alle istanze affettive ed a quelle
della produzione. Nelle prime comprendiamo l'irrazionalità,
le emozioni, le sensazioni, la soggettività, la soddisfazione
individuale; nelle seconde comprendiamo la razionalità, l'economicità,
l'obiettivo concreto, l'oggettività.
Queste due dimensioni della vita di un gruppo a scuola sono interdipendenti
e la scelta di una o dell'altra risulta certamente disfunzionale
allo sviluppo del gruppo. Se il gruppo si cristallizza nella dimensione
affettiva, nello "stare bene assieme", rischia di diventare
inattivo e di trascurare l'obiettivo dell'apprendimento di tutti
gli allievi. D'altra parte, se il gruppo si fissa nella dimensione
efficientistica (è questo il caso più diffuso nella
scuola) trascura le motivazioni individuali, la soddisfazione, i
rapporti interpersonali e quindi, oltre ad essere intrinsecamente
diseducativo, finisce per andare avanti con il solo metodo dell'imposizione
autoritaria. La simultanea compresenza delle due dimensioni è
propria di un gruppo ottimale: ci si può accontentare di
avere un'alternanza dei due momenti, in equilibrio tra loro. Poiché
la scuola è già fin troppo orientata alla dimensione
dell'efficienza occorre forse dare più spazio al dialogo
tra gli allievi e fra questi e l'insegnante, alla riflessione sul
modo di lavorare e sui contenuti dello studio, non considerando
questo momento come uno spazio di riposo, ma al contrario come parte
integrante del processo formativo. La seconda direttrice principale
della dinamica di un gruppo è quella del formale. Da questa
dipendono gli allievi e da essa si aspettano la
trasmissione della conoscenza ed il giudizio sull'apprendimento.
Un insegnante che volesse basare la sua didattica sul gruppo deve
tenere in massimo conto questo ruolo che gli è assegnato
dalla cultura
tradizionale. Abdicare a tale ruolo in nome di un'ideologia dell'ugualitarismo
porta solo a situazioni di ambiguo permissivismo ed è in
sostanza un atto autoritario, perché unilaterale. Il mutamento
del ruolo dell'insegnante deve essere un processo graduale e partecipato
che si basa su questa presa di coscenza collettiva di un
nuovo modo di fare scuola. L'insegnante dovrà quindi agire
con professionalità, passando da un ruolo centrale di autorità
ad un ruolo esterno di consulente, attraverso fasi meditate ed in
base alle esigenze reali del gruppo classe. Nei primi momenti dei
rapporto insegnante-classe il docente occupa una posizione centrale
da cui dipende l'iniziativa; le comunicazioni sono per lo più
di tipo stellare, dall 'insegnane a ciascun allievo e viceversa.
La seconda fase dovrebbe vedere l'insegnante in una posizione di
coordinamento allineata a quella
degli allievi; le comunicazioni sono di tipo circolare, da ciascuno
a tutti gli altri. La terza fase, quando il gruppo riesce a gestirsi
con la massima autonomia, vede l'insegnante in posizione esterna
al gruppo, con un ruolo di consulente didattico e scientifico.
Naturalmente questo processo non è mai schematico, ed è
possibile che queste fasi si presentino confusamente ed in alternanza
continua. Ciò che conta è sottolineare l'obiettivo
finale che riguarda l'autonomia
dei gruppo dall'autorità formale, la sua capacità
di autoorganizzarsi e di autovalersi.
4.2 E
ora vediamo ciò che accade in un gruppo mentre attraversa
le diverse fasi della sua evoluzione. Citiamo solo i fenomeni più
ricorrenti e significativi. Uno dei primi è quello che Moreno
definì "sala degli specchi". Ciascun membro si
specchia negli altri osservandone atteggiamenti e reazioni come
risposta al proprio modo di essere e di agire. E' proprio questo
fenomeno che facilita al massimo l'apprendimento e il cambiamento
degli atteggiamenti: ogni individuo si vede riflesso negli altri
ed ha la possibilità di valutarsi e verificarsi. Un altro
momento centrale per il gruppo è l'apparizione della relazione
sociale: tutti i membri parlano in termini di "noi",
sorge un codice verbale comune ed un insieme di norme condivise.
Precedentemente a questo si presenta spesso il fenomeno delle coppie:
i membri escono dal loro isolamento individuale ed intrecciano relazioni
interpersonali a due a due. Poi c'è il silenzio, un fenomeno
spesso interpretato come assenza di comunicazione. In realtà
esso è una comunicazione cui sottostanno svariati significati:
a volte significa dissenso, oppure disinteresse, o timore di essere
giudicati, o desiderio di attirare l'attenzione. Che il silenzio
voglia dire consenso (come si dice spesso) è uno dei casi
più rari: il consenso è
assai meglio comunicato con adesioni verbali. Fenomeno corrente,
specie nei gruppi di adolescenti, è quello del "capro
espiatorio". Il gruppo convoglia la sua aggressività
verso il membro più debole o più disponibile isolandolo,
emarginandolo, addossandogli colpe inesistenti, mettendolo alla
berlina. In tal modo il gruppo evita di gestire l'aggressività
al suo interno, il che potrebbe avere un effetto disgregante. Un
fenomeno simile a quello del "nemico esterno".
In tal caso l'aggressività viene trasferita verso individui
esterni al gruppo, che si assumono tutte le parti negative possibili:
in questo modo il gruppo può considerarsi buono e minacciato,
il che facilita il suo processo di coesione. Un altro elemento coesivo
è il fenomeno dell'emergere della leadership. Quando nella
classe l'insegnante si sottrae, pur gradualmente, al suo ruolo formale
di leader, il gruppo sperimenta momenti di insicurezza e disorganizzazione.
Se l'insegnante sa controllare la sua ansietà ed evita di
riprendere in mano
autoritariamente le briglie del gruppo, potrà constatare
in poco tempo come sia il gruppo stesso a darsi una
leadership informale. Il membro più rappresentativo, o il
più abile, o il più simpatico, diventa un polo di
sicurezza, una entità di aggregazione e coesione attorno
al quale il gruppo si organizza e si unifica. Per questo leader
si porrà, più avanti, lo stesso problema dell'insegnante:
quello cioè di gestire un ruolo che favorisca o che inibisca
la crescita e l'autonomia del gruppo. Tutti questi fenomeni possono
essere fisiologici o divenire patologici, cioè funzionali
alla vita di gruppo ed allo sviluppo dei singoli, oppure disfunzionali.
Per esempio l'eccessiva socializzazione può diventare un
freno all'autonomia individuale; la leadership può rappresentare
un tentativo di delega della responsabilità da parte dei
membri; il capro espiatorio può divenire un gioco sadico;
i nemici esterni possono diventare un'ossessione persecutoria. Il
ruolo dell'insegnante è
fondamentale per dare a questi fenomeni un taglio positivo o negativo.
Per tale motivo occorre che l'insegnante sia preparato e non solo
in senso cognitivo, ma anche emotivo. Occorre cioè che l'insegnante,
che usa il gruppo come spazio centrale del suo lavoro in classe,
abbia
costanti esperienze di gruppo. Abbia cioè una conoscenza
diretta e personale di ciò che avviene in un gruppo. Qui
dovremmo aprire un grande capitolo sulla formazione di base e l'aggiornamento
degli insegnanti: ci limitiamo a sottolineare il fatto che l'Università
italiana non prevede corsi di psicopedagogia e didattica nelle varie
Facoltà, malgrado sia noto che circa il 60% dei laureati
di ogni disciplina diventano insegnanti.
4.3
Ci basta elencare gli atteggiamenti funzionali e quelli disfunzionali
allo sviluppo del gruppo; atteggiamenti che si possono osservare
sia fra gli allievi che fra gli insegnanti.
Possono considerarsi poco funzionali:
a) aggressività, attacchi diretti ai membri, insoddisfazione
palesata per tutto ciò che avviene nel gruppo;
b) opposizione, ostinazione, rimessa in discussione di decisioni
già concordate, ostruzionismo operativo;
e) esibizionismo, continui riferimenti a se stessi, monopolio degli
interventi ;
d) superiorità, disinteresse, distacco, sarcasmo, distrazione;
e) dipendenza, ricerca di appoggi, sfiducia in sé;
f) denominazione, autoritarismo, prevaricazione delle decisioni.
Possono considerarsi funzionali gli atteggiamenti di:
a) incoraggiamento, adesione, solidarietà, sostegno;
b) ricerca dell'accordo, mediazione, pacificazione;
e) armonizzazione delle differenze, sdrammatizzazione dei conflitti,
riduzione della tensione;
d) informazione, richiesta di chiarimenti, offerta materiale di
aiuto;
e) stimolazione, proposta nuove idee, suggerimenti, sintesi;
f) organizzazione pratica, preparazione riunioni, elencazioni decisioni.
Naturalmente questo elenco è superficiale e generale, ne'
basta a superare la necessità di un'esperienza diretta di
un gruppo, all'interno della quale ogni evento assume un significato
particolare.
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