Il Sé
Uno degli aspetti fondamentali dell'esperienza umana è costituito
dal senso della propria unicità, di quella che in filosofia è
stata definita la questione dell'identità personale o del Sé.
Di conseguenza, tale termine trova ampio spazio in psicologia,
soprattutto nel campo dello studio della personalità, in psicologia
evolutiva e in psicopatologia, dove viene utilizzato con accezioni
molto diverse; i significati che seguono sono alla base delle
sue più frequenti modalità di impiego;
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1. Sé come agente
o forza interna che controlla e dirige le funzioni dell'individuo,
al di là delle motivazioni, delle necessità, ecc. Il Sé costituisce
quindi, in questo senso, un'ipotetica componente della
psiche, con un ruolo ben preciso; questo è il significato
del termine che si trova nel concetto di Sé creativo di
Adler, nel sistema di Sé di Sullivan e nei primi
scritti di Jung.
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2. Sé come testimone
interno di eventi. Il Sé viene visto qui come una componente
della psiche con una funzione introspettiva, William James,
nel 1890, puntualizzò che questi due significati potevano
essere meglio espressi utilizzando i termini Me e Io,
dove Me corrispondeva al Sé oggetto significato 1,
mentre Io costituiva il corrispettivo del significato
2, il Sé che conosce, il Sé come oggetto.
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3. Sé inteso come
totalità delle esperienze e delle possibilità di espressione
individuale; in questo caso, il termine viene utilizzato in
modo inclusivo e termini come Io, persona, individuo ecc.
possono essere considerati sinonimi accettabili.
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4. Sé come sintesi,
come personalità organizzata. Il significato è simile al 3,
ma con la connotazione aggiuntiva data dall'attenzione all'aspetto
di integrazione: chi usa il termine in questa accezione lo
presenta spesso come una costruzione logica, che si può inferire
dall'esperienza di continuità individuale nel tempo, malgrado
i cambiamenti. Il termine personalità può essere usato
come suo sinonimo.
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5. Sé come coscienza,
consapevolezza, identità.
L'Io
L'uomo è una unità psicofisica che svolge diverse funzioni. Tali
funzioni possono essere classificate anche in rapporto al diverso
livello di complessità. La complessità funzionale è il risultato
dell'integrazione di sub-unità funzionali. Pertanto possiamo immaginare
il funzionamento dell'organismo umano come un insieme di funzioni
interagenti organizzate gerarchicamente in rapporto al livello
di complessità. Il livello più alto è costituito da quella struttura-processo
che chiamiamo "Io" che rappresenta la sintesi dinamica di tutte
le funzioni e le esperienze, fisiche e psichiche, da quelle elementari
(dei riflessi somatici e viscerali) a quelle complesse (funzioni
emozionali e cognitive, interazioni sociali ecc.) Ciò che chiamiamo
"psicologico" corrisponde ad un livello funzionale caratterizzato
da un'alta complessità. L'Io sarebbe il risultato dell'integrazione
delle integrazioni. Il Sé è l'Io che flette su se stesso.
Identificazione
Con il termine di identificazione intendiamo il processo tramite
il quale un soggetto si costituisce gradualmente come tale, assimilando
uno o più tratti di un altro individuo e modellandosi su di essi.
S. Freud in "Psicologia delle masse e analisi dell'io" (1921),
l'opera nella quale ha trattato più esaurientemente questo concetto,
delinea tre tipi di identificazione: quella primaria, che rappresenta
la forma originaria del legame affettivo con l'oggetto; l'identificazione
come sostituto regressivo di una scelta d'oggetto; e infine, l'identificazione
con l'altro, come avviene ad esempio nell'innamoramento. Il sostantivo
identificazione, comunque, può essere usato oltre che in modo
intransitivo, che come abbiamo visto è caratteristico della psicoanalisi,
anche in modo transitivo, corrispondente al verbo identificare,
cioè trovare somiglianze più o meno marcate, o riconoscere un
oggetto appartenente ad una certa classe; Freud lo utilizza in
tutti e due i modi. Questo meccanismo svolge un'importante funzione
nella costruzione del gruppo. Secondo R. Kaës, nell'opera di Freud
si possono rintracciare tre modelli per dar conto del passaggio
dalla serie al raggruppamento; uno di questi consiste nella mutua
identificazione tra determinati soggetti, questo costituendo per
la psicoanalisi "la prima manifestazione di un legame emotivo
con un'altra persona" (Freud, 1921, p.51) che dà la possibilità
di creare lo spirito di corpo. Il primo di questi tre modelli
lo troviamo esposto la prima volta in "Totem e Tabù", e si basa
sulla fine dell'orda paterna, con l'uccisione del padre originario
da parte dei fratelli: "un giorno, i fratelli scacciati si sono
riuniti, hanno ucciso e mangiato il padre, ponendo fine all'orda
paterna. Una volta riunitisi, si sono fatti audaci e sono stati
in grado di realizzare ciò che ciascuno di loro, isolatamente,
sarebbe stato capace di fare" (Freud, 1913, p.195). In "Psicologia
delle masse e analisi dell'io" Freud introduce un secondo modello
di raggruppamento, che si attua tramite l'identificazione: ogni
singolo è un elemento costitutivo di molte masse; tramite l'identificazione
è soggetto a legami multilaterali e ha edificato il proprio ideale
dell'Io in base ai modelli più diversi. Il terzo modello è introdotto
nella sopraccitata opera e trattato più esaurientemente in "Il
disagio della civiltà" e si basa sulla mutua rinuncia alla soddisfazione
sessuale diretta.
Proiezione
Secondo Laplanche e Pontalis (1967) il concetto di proiezione
è usato in diversi ambiti.
In neurologia, si parla di proiezione in un senso geometrico,
cioè come di una corrispondenza punto per punto in una struttura.
Da questa deriva un'altra accezione, di un movimento dal centro
verso la periferia. In psicologia si parla di proiezione per designare
un insieme di processi: quando il soggetto si rapporta con l'ambiente
in funzione dei suoi bisogni, dei propri interessi, attese, stati
d'animo ecc.; quando il soggetto assimila una persona ad un'altra,
o quando il soggetto attribuisce ad altri sue caratteristiche,
cioè proietta su altri le proprie propensioni inconfessate.
Nel senso propriamente psicoanalitico, la proiezione è intesa
come un processo per mezzo del quale il soggetto espelle da sé
e localizza nell'altro, persona o cosa, delle caratteristiche
e perfino degli oggetti, che egli non riconosce o rifiuta in sé.
È considerata una forma di difesa molto arcaica, che agisce non
soltanto in situazioni francamente patologiche, come la paranoia,
ma anche in fenomeni che possono rientrare nella normalità, come
la superstizione.
Le varie accezioni nelle quali è usato il termine proiezione hanno
in comune l'operazione per mezzo della quale certi oggetti sono
spostati o localizzati all'esterno, passando da un punto all'altro,
dal soggetto all'oggetto. L'uso delle tecniche proiettive, come
nel caso del test di Roschach, è giustificato proprio dall'assunto
più generale che il soggetto ritrova nell'altro da sé, siano persone
o cose, caratteristiche che gli sono proprie.
Kaës (1976) fa ampio uso delle tecniche proiettive ipotizzando
che qualsiasi situazione proiettiva controllata sia adatta all'analisi
della rappresentazione e dei suoi organizzatori.
Rappresentazione
Per rappresentazione si intende un insieme composito di fenomeni.
In Laplanche e Pontalis (1967) il termine deriva dalla filosofia
classica, in cui indicava sia l'atto con il quale la coscienza
riproduce un oggetto esterno (per es. una cosa) o un oggetto interno
(uno stato d'animo o un'immagine fantastica), sia il contenuto
stesso di tale operazione riproduttiva.
J. Sandler (1991), che si è molto occupato di questo fenomeno,
usa il termine rappresentazione in due diverse accezioni: sia
come un'organizzazione stabile, una mappa interna che raccoglie
e integra tutte le immagini mentali e le disposizioni relazionali
di sé e degli altri, situate per lo più nell'ambito non esperienziale
(lo schema corporeo o l'immagine corporea ne costituiscono due
esempi), sia come i contenuti e le inclinazioni cognitivo-affettive
di queste immagini nell'ambito esperienziale.
J. Bruner dal canto suo sostiene l'esistenza di tre forme di rappresentazione,
che corrispondono a tre diversi modi di organizzare la conoscenza:
la rappresentazione esecutiva o attiva, quella iconica, e quella
simbolica.
Il primo tipo consiste nella rappresentazione di sequenze di movimenti,
ed è legato all'azione; esso permette di cogliere eventi e oggetti
in relazione con le azioni condotte nei loro confronti: "un oggetto
non è altro che quello che si fa con esso" (Bruner, 1966, p31).
Questo tipo di rappresentazione è molto importante nello sviluppo
del pensiero del bambino, e non cessa mai di compiere la sua funzione.
Il secondo tipo di rappresentazione, quello iconico, dipende prevalentemente
dalla percezione visiva e consente, attraverso un'immagine o uno
schema spaziale, di organizzare l'esperienza.
Il terzo tipo di rappresentazione organizza la conoscenza attraverso
vari sistemi simbolici, il più rilevante dei quali è quello verbale.
Quest'ultimo è il sistema più evoluto di elaborazione e di conoscenza.
M. Tramonte (1999, p. 66) scorge una significativa analogia tra
il terzo tipo di rappresentazione proposto da Bruner, e uno dei
due livelli di rappresentazione nei quali Freud distingueva l'esperienza
della Vorstellung, termine tedesco che indica la rappresentazione,
e precisamente quello più vicino al sistema Cs: la rappresentazione
della parola; come noto l'altro livello era costituito dalla rappresentazione
della cosa, termine che per Freud era molto vicino a quello di
traccia mnestica, con un essenziale differenza: "la rappresentazione
ravviva la traccia mnestica, che in sé stessa non sarebbe altro
che la trascrizione dell'evento" (Laplanche e Pontalis, 1967,
p.507). Quest'ultimo livello di rappresentazione, a differenza
dell'altro, è caratteristico del sistema Ics.
È importante soffermarsi ancora su questa differenza tra i due
tipi di rappresentazioni in Freud, dal momento che Kaës (1976),
trattando della costruzione dell'apparato psichico gruppale, la
prenderà spesso in considerazione e risulterà importante per esaminare
le rappresentazioni del gruppo in Internet.
Freud, inizialmente, non modifica l'accezione del termine Vorstellung
introdotto da Leibniz, inteso quale il contenuto concreto di un
atto di pensiero, ed in particolare come riproduzione di una percezione
antecedente, ma ne fa un uso particolare. La particolarità risiede
nel fatto che la rappresentazione, investita dall'affetto, si
rivitalizza e riceve direzione. In questo senso Kaës considera
la rappresentazione come un reticolo, nel quale circola l'affetto
investito. Freud opponeva la rappresentazione all'affetto, dato
che nei processi psichici questi due elementi subiscono un destino
diverso.
Nella nevrosi ossessiva l'ammontare di affetto è disgiunto dalla
rappresentazione patogena all'evento traumatico, e spostato a
un'altra rappresentazione; la rappresentazione viene rimossa,
l'affetto viene represso.
Per Laplanche e Pontalis (1967) la rappresentazione della cosa
nel bambino è considerata come l'equivalente dell'oggetto perduto,
che in assenza di quest'ultimo viene investita di affetto, allucinandolo.
Seguiamo ancora Kaës quando sostiene che, sotto il dominio del
principio di piacere, i meccanismi dello spostamento e della condensazione
tendono ad istituire una conformità tra l'oggetto e la sua immagine
surrogante; una tale operazione costituisce per il bambino "il
più arcaico meccanismo dell'Io in corso di strutturazione" (Kaës,
1976, p.25).
Come accennato precedentemente, la rappresentazione della parola
distingue il sistema Pcs-Cs, retto dal processo secondario. Questo
tipo di rappresentazione è introdotto da Freud nel 1895 in "Progetto
di una psicologia", in cui sosteneva che l'immagine mnestica,
associandosi all'immagine verbale, assume una modalità qualitativa
tipica della coscienza; questo fenomeno ci consente di comprendere
il passaggio tra il processo e i contenuti inconsci (modalità
simmetrica, identità di percezione, principio di piacere) e i
processi e i contenuti consci (modalità asimmetrica, identità
dei pensieri tra loro, principio di realtà).
Si può dire in conclusione che, affinché ci sia una presa di coscienza,
è necessario che l'oggetto sia nominabile tramite la rappresentazione
della parola.
La funzione di queste due rappresentazioni ricorda, anche se da
prospettive diverse, le funzioni alfa e beta, che W.R. Bion usava
riguardo al pensiero.
Una differenza tra funzione alfa e la capacità verbale, è che
quest'ultima costituisce solo un fattore alfa, della quale altri
fattori sono: l'attenzione, l'annotazione, l'identificazione proiettiva.
La rappresentazione costituisce in sintesi questa articolazione,
è un luogo di passaggio, di comunicazione, che permette di esprimere
l'indicibile: "la rappresentazione è sorretta dal fantasma che
la rende dinamica, ma in essa sono presenti anche le difese che
il soggetto mette in opera contro l'irruzione del fantasma" (Kaës,
1977, p.27). Secondo Kaës, la rappresentazione svolge un lavoro
di compromesso tra il fantasma e la resistenza ad esso. La rappresentazione
del gruppo svolge delle funzioni sia a livello psichico, sia a
livello sociale, anzi le funzioni psichiche non sono dissociabili
da quelle sociali. Una rappresentazione del gruppo condivisa dai
suoi membri, costituisce un punto di riferimento che assicura
comuni identificazioni, svolge un ruolo assimilabile a quello
della leadership; la rappresentazione, condivisa a livello intragruppale,
delimita i confini del gruppo stesso e perciò interviene nelle
relazioni intergruppali, permettendo una comunicazione e degli
scambi. Inoltre fornisce una meta al flusso dei pensieri, articolandoli;
la rappresentazione è così "una funzione identificatoria, una
sistematizzazione dell'ordine dei pensieri e delle concezioni
dell'universo, una funzione socializzante a causa degli scambi
di differenza e delle mutue identificazioni che essa rende possibili:
essa rende efficace la difesa contro l'assenza dell'oggetto, ma
anche la riparazione di quest'ultimo quando sia stato danneggiato
fantasmaticamente o realmente" (ibidem, p.98).
La rappresentazione non esprime il vissuto, non essendo quest'ultimo
coincidente con ciò che il soggetto si rappresenta; rappresentazione
e vissuto sono in relazione tra loro ma non sovrapponibili, in
quanto la rappresentazione subisce delle trasformazioni tramite
i processi che governano anche il sogno: lo spostamento, la condensazione
e il lavoro simbolico; attraverso questa trasformazione la rappresentazione
riesce ad affiorare alla coscienza, ed i modelli socioculturali
facilitano il passaggio delle formazioni inconsce fornendo loro
degli ancoraggi sociali.
Relazione tra rappresentazione
e proiezione
Nella formazione della personalità, nella ricerca della propria
identità (Jervis, 1988) la rappresentazione è una struttura
di funzionamento, mentre si è visto che per la psicoanalisi la
proiezione è soprattutto un meccanismo di difesa; il soggetto
espelle da sé sia qualità spiacevoli che rifiuta, sia desideri
che non riconosce in sé stesso: l'oggetto espulso viene ritrovato
dal soggetto all'esterno sotto forma di una rappresentazione,
che è soggetta ad investimento dalla stessa quantità di affetto
che aveva causato la proiezione dell'oggetto; il conflitto viene
così spostato all'esterno. Questa rappresentazione, della parte
di sé che il soggetto ha proiettato, viene a istituire la realtà
del soggetto stesso, questo meccanismo, secondo Kaës, dà vita
alla cultura, costituita da un intreccio di rappresentazioni collettive,
organizzate dalla comunicazione, dallo scambio, dalla trasformazione
e dall'identificazione. Si può notare come rappresentazione e
proiezione intervengano su piani differenti: le rappresentazioni
integrano le proiezioni in un sistema adattivo stabile, la proiezione
si manifesta in una rappresentazione.
Illusione gruppale
Il vissuto di illusione gruppale, rilevato da D. Anzieu, rappresenta
un mezzo, una via quasi obbligata per trovare e consolidare un'identità
gruppale e comunitaria.
Descrivendo i partecipanti di un gruppo largo Anzieu sottolinea
come questi si sentano "sommersi nell'anonimato collettivo, troppo
numerosi per allacciare relazioni interindividuali che permettano
loro di sentirsi esistere" (1976).
Anche in Internet si ripropone il tema dell'appartenenza e della
partecipazione. L'interattività dei collegamenti telematici, la
possibilità di avere il mondo on-line forse allo stato attuale
non sono sufficienti ancora per creare un appartenenza con quel
mondo e interagire con esso.
Occorrono degli spazi più limitati, più personali, spazi non solo
per essere e basta, bensì per essere qualcuno per qualcun'altro.
I gruppi larghi , più di altre manifestazioni di gruppo, segnalano
la presenza di vissuti illusori facendo emergere chiaramente il
contrasto tra una situazione idealizzata, come quella del gruppo
piccolo, ed una denigrata, come si riscontra nella condizione
di gruppo largo composto di più gruppi piccoli. Questi vissuti
risentono del diverso modo in cui si determina la regressione
nel gruppo.
Mentre, infatti, nel piccolo gruppo si crea una condizione di
protezione di tipo materno (il gruppo è la madre sostitutiva),
nel gruppo largo i partecipanti sperimentano la perdita della
protezione materna, contribuendo alla determinazione di quel fantasma
di smembramento che si sostiene sulla vastità dello spazio gruppale.
A questo riguardo, prosegue Anzieu: "Se i partecipanti sono lasciati
liberi di sedersi dove vogliono, si nota la tendenza della maggioranza
di costoro a stringersi assieme" (1976).
Si tenta di entrare in contatto (visivo, verbale, gestuale) con
i propri vicini immediati costituendo una pelle comune con loro
(Turquet, 1975), riproponendo in modi e contesti differenti quel
comportamento di attaccamento del piccolo d'uomo verso la madre
o la figura significativa della primissima infanzia descritto
da J. Bowlby (1976), in un ambito gruppale.
Proprio la frustrazione di questo bisogno di attaccamento fa lamentare
i membri per il freddo fisico e morale che regna nel gruppo largo
e per la mancanza di contatto.
Internet ripropone quello stesso smarrimento e dispersione, anche
in questo caso infatti si è manifestata la necessità di stringersi
assieme di identificarsi in una comunità, in un insieme che avesse
un contenitore in grado di contenerlo.
Scrive Anzieu: "ciascuno può essere percepito in maniera distinta
da ciascuno altro, l'Io tende a ricostituirsi, a livello dell'immagine
speculare, in una identificazione narcisistica agli altri" (1976).
È importante, a questo punto, comprendere perché l'illusione gruppale
si esprima particolarmente nel passaggio dal gruppo piccolo al
gruppo allargato (composto di tanti gruppi più piccoli).
Quest'ultima configurazione gruppale consente, infatti, a vari
piccoli gruppi di ritrovarsi insieme e confrontarsi, accentuando
le caratteristiche di perfezione del proprio gruppo in opposizione
alle mancanze e imperfezioni degli altri gruppi.
Il piccolo gruppo lascia meno buchi, meno spazio vuoto che, nel
gruppo allargato, è sentito come incolmabile. Il gruppo è come
assalito da una sorta di agorafobia collettiva che induce a stringersi
e trovare dei confini.
Se questi confini vengono delimitati, costituendo per esempio
un gruppo più piccolo (madre buona), la nuova entità gruppale
è investita di una vera e propria idealizzazione. La stessa idealizzazione
che è presente in tutti quegli ambiti culturali alternativi, nei
quali si identificano coloro che non accettano o non riescono
ad accettare i valori e i modelli delle culture di massa. Dal
gelido ed immenso Internet, sono emerse le comunità virtuali,
forme di collettività mediatiche, che per stringere assieme i
propri membri, per riempire lo spazio vuoto, si sono servite di
tutti quei sistemi di comunicazione che da alcuni anni la Rete
rende disponibile ai suoi utenti.
Delle piccole isole stanno quindi emergendo dall'oceano virtuale:
la grande rete è diventata una fucina di controcultura per tutti
coloro che anarchici, visionari, antagonisti, si prefiggono di
sostituire nuovi e rivoluzionari modelli di pensiero e comportamento
a quelli dominanti.
La storia recente mostra come ogni novità, apportata su vasta
scala sociale determini delle reazioni ambivalenti, contrastate
e contrastanti. Inizialmente, i piccoli gruppi di avanguardisti
della comunicazione come ogni piccolo gruppo desta sospetto in
quella (grande) parte della società che difende lo status quo.
Osserva a tal proposito Anzieu, che la reazione della società
a questi ".gruppi culturalmente alternativi" è connotata da "un
atteggiamento dissidente (...) li indica con un vocabolario peggiorativo
(sette, clan, ghetti, bande, gang), (...) li sospetta di cospirazione
e li perseguita" (1976).
Il piccolo gruppo diventa il luogo di trasgressione e del
vietato; per questo motivo i membri idealizzano tutti quegli elementi
di coesione e di unione, anzi la discriminazione della massa e
della società rimarcano e consolidano paradossalmente l'identità
del gruppo, che riconosce nella distinzione da quello che non
si è, un confine che delimita quello che si è.
Il proprio gruppo viene perciò immaginato come il luogo favoloso
dove tutti i desideri possono essere soddisfatti, dove si è protetti
e difesi, funziona nell'ordine dell'illusione.
Gruppalità
Gli scettici di Internet, hanno sempre dubitato della possibilità
di trovare gruppi veramente uniti in un ambiente in cui la comunicazione
è mediata dal computer. Nonostante la natura fragile ed effimera
di molti forum, nel cyberspazio sembra esistere un senso di appartenenza
al gruppo forte e costante.
Negli stati uniti J. Korenman e N. Wyatt (1994) hanno studiato
alcune variabili gruppali in rete, osservando le modalità di partecipazione
e gli atteggiamenti dei partecipanti alla mailing list WMST-L.
Si tratta di una mailing list accademica senza la figura del moderatore,
destinata a persone impegnate nello studio di problematiche femminili,
che coinvolge insegnanti, ricercatori, bibliotecari, amministratori
di corsi di studio e un'ampia gamma di persone interessate all'argomento.
Dal 1991, anno di apertura della lista, il numero degli iscritti
e dei messaggi è aumentato costantemente. Nell'agosto 1991, per
esempio, 28 persone hanno inviato 51 messaggi e già nel gennaio
1993 sono stati inviati 365 messaggi da 193 persone diverse; da
questi dati statistici emerge la vasta partecipazione alla lista.
Su molte liste si assiste a discussioni animate tenute da poche
persone che occupano il centro della scena, mentre gli altri stanno
a guardare (o si nascondono: lurker ) facendo solo pochi commenti.
Korenman e Wyatt hanno indagato il legame che, a giudizio di ogni
partecipante, teneva insieme il gruppo e quanto fosse sviluppato
il senso di gruppalità. Alla domanda su quale caratteristica del
gruppo fosse più apprezzata e utile, la risposta più frequente
è stata fare informazione, mentre altri hanno riferito di percepire
un senso di appartenenza o di avere la possibilità di discutere
esperienze personali.
In base all'analisi dei contenuti dei messaggi, questa mailing
list appariva tranquilla e senza grosse discordie al suo interno,
anche se esistevano discussioni e punti di vista differenti sugli
argomenti più delicati. Sembra che i membri del gruppo abbiano
trovato un ambiente idoneo e gradito per affrontare tematiche
anche molto personali, richiamandosi a quel senso di gruppalità
a volte così effimero, ma a volte molto reale.
È possibile che tra compagni di gruppo on-line si creino legami
molto forti, a volte anche più profondi di quelli che si instaurano
all'interno dei gruppi nella vita reale.
Tom Mandel, descrisse così la sua esperienza in un gruppo
virtuale poco prima di morire:
Vorrei iniziare ringraziando tutti voi, personalmente e collettivamente,
per la magnifica esperienza vissuta negli ultimi dieci anni trascorsi
su Well . Nel bene o nel male - abbiamo vissuto tutto insieme
- il gruppo è stato un riferimento importante nella mia vita,
specialmente in questi sei mesi cui ho ricevuto molto conforto.
Sono triste, molto triste, non so dire quanto sono triste e addolorato
di non poter rimanere più a lungo a discutere e parlare con voi.
Le persone imparano ad amare il gruppo telematico e vi si affidano,
pur conservando sentimenti ambivalenti e qualche volta facendo
un passo indietro per riconsiderare la stranezza dell'esperienza.
Definire un gruppo è già difficile quando il termine non è accompagnato
da aggettivi elusivi come virtuale. Una definizione piuttosto
concisa, caratterizza il gruppo come un insieme di più persone
che interagiscono tra loro e si influenzano a vicenda. Questa
definizione sembra chiara e soddisfacente se si evita di pensare
a situazioni come più persone nello stesso ascensore, in un teatro
o nello stesso vagone della metropolitana.
La presenza delle caratteristiche appena indicate, perfettamente
riscontrabile all'interno di qualsiasi gruppo sociale, è molto
meno ovvia tra le persone di un ascensore, a meno che la cabina
non si fermi improvvisamente tra un piano e l'altro e tutti impallidiscano
preoccupati. L'interazione tra persone che si trovano a stretto
contatto fisico varia notevolmente in base alle circostanze: una
piccola modifica nell'ambiente è in grado di trasformare in un
attimo un insieme di persone in qualcosa che si avvicina molto
alla definizione tradizionale di gruppo.
Come i gruppi della vita reale, anche i gruppi virtuali possono
essere molto vari e diversi tra loro. Alcuni sono formati principalmente
da persone che si conoscono e che si servono della rete semplicemente
come mezzo per tenersi in contatto e per scambiarsi idee tra un
incontro e l'altro. Altri gruppi virtuali raccolgono via Internet
persone che hanno interessi comuni, ma che non si conoscono nella
vita reale. Esistono infine quei gruppi virtuali i cui membri
non hanno alcuna prospettiva di incontrarsi nella vita reale,
sebbene condividano interessi e idee. Sono questi i gruppi in
cui il senso di appartenenza, la gruppalità, può emergere soltanto
attraverso le dinamiche della comunicazione on-line, ammesso che
emerga.
Nella terminologia delle scienze sociali non è infrequente incontrare
definizioni non perfettamente chiare, ma interazione e influsso
sono due termini molto utili per comprendere la natura dei gruppi
on-line e confrontarli con i gruppi reali. Le persone che interagiscono
in Internet si influenzano a vicenda, a volte anche in modo pesante.
Le modalità con cui si presentano questi processi sono diverse
da quelle della vita reale, ragione per cui non deve sorprendere
il fatto di riscontrare sentimenti di ambivalenza riguardo il
significato di appartenere a un gruppo virtuale. Sappiamo da decenni
di ricerca scientifica che la presenza di altre persone influisce
sul comportamento umano, anche quando si tratta di sconosciuti
che non si incontreranno mai più.
Spazio gruppale
Così come l'acqua passa dallo stato liquido a quello solido, attraverso
il congelamento, o allo stato gassoso, attraverso la vaporizzazione,
con la possibilità di tornare allo stato iniziale; anche entrare
in Internet implica una trasformazione di stato: da quello analogico
a quello digitale, si opera una perdita dei confini del Sé reale.
Entrare a far parte di questo villaggio globale implica, una illusione
gruppale; essa sposta la preservazione dall'individuo al gruppo:
alla minaccia al narcisismo individuale, essa risponde instaurando
un narcisismo gruppale. "L'illusione gruppale (.) è la reazione
a un'angoscia e a uno smarrimento totali, ma anche una condizione
iniziale di nascita e di sviluppo" (Anzieu 1976, pp. 312-317).
I fenomeni dello Stato gruppale nascente abitualmente vengono
sperimentati dalla persona che partecipa ad un gruppo come una
certa perdita dei confini del Sé.
"Questo senso di perdita è accompagnato da un sentimento relativo
ad un cambiamento nel proprio modo abituale di pensare e porsi
in rapporto con la realtà circostante" (Palmieri, 1988). Come
se le sensazioni e le attese non fossero più localizzate, ma fossero
invece diffuse in uno spazio comune e condiviso.
Come indica C. Neri ".la condizione determinata da una blanda
intossicazione alcolica è avvicinabile alla perdita dei confini
propria dello Stato gruppale nascente" (Neri, 1995, p. 47)
e a questo punto all'entrata nel cyberspazio: la mente produce
con facilità immagini, emozioni, vissuti corporei che il soggetto
vive come riferibili non tanto a sé, ma al contesto in cui è immerso.
Il vissuto di cambiamento nel proprio modo abituale di essere
e porsi in rapporto si manifesta, ad esempio, anche con l'avvertire
che il tempo perde la dimensione dell'abituale quotidianità. Lo
spazio sembra acquisire connotazioni nuove e non precedentemente
conosciute.
Per la costruzione di un spazio gruppale, in questo caso cyberspazio,
mi rifaccio alla definizione data da H. Arendt (1963), egli si
riferisce non a un pezzo di terra, ma allo spazio che c'è tra
individui che formano un gruppo, cioè individui legati uno all'altro
(ma al tempo stesso separati e protetti) da molte cose che hanno
in comune. Lo spazio in comune dei membri del gruppo è dunque
strettamente legato al sentimento di appartenenza e ad una differenziazione
tra ciò che è il gruppo e ciò che non è il gruppo. Questo aspetto
della definizione di spazio è chiarito da alcune formulazioni
di J. M. Lotman (1978). Secondo quest'autore l'area culturale
e sociale di un gruppo è distinta dall'esterno da una sorta di
confine. L'interno è sperimentato, dagli appartenenti al gruppo,
essenzialmente come strutturato; l'esterno essenzialmente come
non strutturato. L'idea di Lotman può essere schematicamente rappresentata:
in cui lo spazio comune, l'area di appartenenza è IN. IN, dal
punto di vista del membro del gruppo, tende a identificarsi con
il concetto di ordine ed è in polarità con EST, in non-gruppo,
il caos. Appartenere a IN significa esistere, esserne espulsi
significa non esistere: finire nel non reale, nell'indeterminato.
È interessante notare come, nel caso di gruppi esistenti nel cyberspazio,
finire nel non reale, cioè uscire dal cybergruppo secondo lo schema
di Lotman, significa ritornare nel mondo reale.
Nella realizzazione del confine del gruppo un ruolo importante
viene giocato dal trasferimento al gruppo, da parte dei membri,
della loro funzione di pelle mentale. Neri (1995) parla di alcune
esperienze sensoriali che favoriscono il trasferimento dagli individui
al gruppo della funzione di delimitazione e la creazione dello
Spazio comune del gruppo, la presenza fisica delle persone sedute
in cerchio che delimitano uno spazio; la percezione che alcune
sensazioni seguono ritmi di gruppo, piuttosto che ritmi individuali;
come se il gruppo in toto li regolasse oppure non riuscisse a
regolarli; l'avvertire che i pensieri e le emozioni possono circolare
in un contesto più vasto di quello che i membri assegnano ai propri
vissuti, quando pensano da soli.
Secondo D. Anzieu (1981), un gruppo è un involucro che tiene insieme
degli individui. Finché questo involucro non si è costituito,
si tratta di un aggregato umano, ma non di un gruppo. "Un involucro
che racchiude i pensieri, le parole e le azioni, permette al gruppo
di costituire uno spazio interno (che procura un sentimento di
libertà e che garantisce il mantenimento degli scambi all'interno
del gruppo) e una sua temporalità (che comprende un passato da
cui il gruppo fa derivare la propria origine e un avvenire in
cui progetta di perseguire le sue mete) " (Anzieu, 1981).
Capacità metabolica
Un primo aspetto della funzione terapeutica del pensiero di gruppo
è la capacità di metabolizzare l'ansia e l'angoscia, che l'individuo
può non essere in grado di elaborare. In altri termini, il gruppo
ha la capacità di disintossicare la mente dell'individuo da eccessive
tensioni che vi si possono essere accumulate e che la occupano.
Per esprimere in modo diverso questa idea, si può dire che il
pensiero di gruppo ha una funzione analoga a quella della funzione
alfa dell'individuo. Bion propone un'immagine che chiarisce come
opera la funzione alfa. Si dice comunemente che, se una persona
durante la notte ha un incubo, questo dipende da un'indigestione
di cibo, un'indigestione somatica; si può però pensare anche che
l'incubo sia effetto di un'indigestione mentale. Durante il corso
della giornata, la persona ha accumulato una serie di vissuti
e sperimentato situazioni emotive che l'hanno coinvolta e che
non è riuscita a metabolizzare. L'effetto di questo accumulo è
l'incubo. Bion differenzia infatti l'incubo dal sogno: l'incubo
ha una qualità evacuatoria e allucinatoria. L'angoscia che l'accompagna
è il segno che l'apparato psichico è stato sopraffatto, non è
riuscito a digerire certi vissuti. Il sogno, invece, è il risultato
dell'opera della funzione alfa, cioè della trasformazione operata
dalla funzione alfa sulle esperienze e sui vissuti emotivi che
si sono accumulati. La funzione terapeutica del pensiero di gruppo
si manifesta, prima di tutto, come capacità di elaborare l'angoscia.
Ognuno di noi si è trovato a volte, la sera molto stanco e abbattuto,
con la testa incapace di pensare. Se l'ambiente è accogliente,
se c'è una situazione di gruppo conviviale, questo contribuisce
a farci sentire meglio, anche se magari l'attività che si svolge
nella riunione del gruppo è intensa e di per sé faticosa. A questa
funzione metabolica del pensiero di gruppo si riferisce Francesco
Corrao (1981), che la definisce funzione gamma (funzione gruppo).
La funzione gamma è analoga alla funzione alfa. L'intitolazione
alla lettera greca gamma corrisponde all'idea che chi attiva questa
funzione non è un individuo ma un gruppo. La funzione gamma in
definitiva è la capacità del pensiero di gruppo di "metabolizzare"
elementi sensoriali, tensioni e frammenti di emozioni che sono
presenti nel campo.
Un pensiero che opera fuori
dell'individuo
L'ipotesi, avanzata da Corrao, che il pensiero di gruppo possieda
una capacità metabolica si collega utilmente con alcune ipotesi
avanzate da Searles. Prima ancora di riferire le ipotesi di Searles
sono però utili alcune parole che contribuiscono a dare un'opportuna
collocazione ai sui studi. Searles si è occupato fondamentalmente
di due temi: il trattamento di pazienti molto gravi e il problema
del rapporto tra l'individuo e l'ambiente, inteso come ambiente
umano e non umano. In riferimento ai reparti ospedalieri psichiatrici
e alle équipe che vi lavorano, Searles ha affermato che la terapia
per i pazienti gravi richiede che determinate funzioni mentali
vengano inizialmente attivate fuori dell'individuo (nell'équipe)
e che solo successivamente l'individuo se ne possa appropriare.
È questo il punto che vorrei porre in "collegamento con la capacità"
metabolica del pensiero di gruppo. Citerò direttamente il testo
di Searles. Egli scrive (1965, pag. 315-317): "Il modo più chiaro
e più semplice di descrivere il tipo di situazione sociale che
il paziente dell'Io frammentato tende a creare nel reparto è,
a mio avviso, considerare tale situazione sociale un processo
per mezzo del quale la differenziazione e successivamente l'integrazione
dei diversi frammenti dell'Io debbono avere luogo in larga misura
all'esterno del paziente stesso, nelle persone che lo circondano,
prima che possano avvenire dentro di lui". Il "paziente grave"
che riesce a utilizzare l'équipe per attivare processi mentali
di cui è carente, probabilmente vive se stesso come tutt'uno con
l'équipe. La fantasia di fusione con l'équipe gli permette di
fruire dell'attività di elaborazione di quest'ultima, senza sentire
di avere a che fare con un oggetto altro, con qualcosa di diverso
da sé. L'équipe è infatti una parte della sua mente. Ritengo che
il processo descritto da Searles si verifichi non solo nelle équipe
ospedaliere, ma anche nei piccoli gruppi a finalità analitica
e che ne fruiscano soltanto i pazienti, ma tutti i pazienti che
prendono parte ad un'analisi di gruppo.
Uno spazio per il pensiero
Un altro aspetto del rapporto terapeutico che si stabilisce tra
individui e gruppo corrisponde alla possibilità che il pensiero
di gruppo offra una sorta di supporto spaziale ai pensieri dell'individuo.
In altri termini, ci si riferisce alla possibilità che l'individuo
possa utilizzare la struttura poliedrica del gruppo come uno "spazio
particolare" che si offre ai suoi pensieri. In questo caso, non
vi è la necessità di una fantasia di fusione con il gruppo, ma
il pensiero dell'individuo cammina, di pari passo con il pensiero
di gruppo.
Cos'è un Blog?
Un blog è uno spazio sul web dove poter raccontare storie, esperienze
e pensieri, una sorta di diario di bordo che ognuno di noi può
"tenere" e condividere con gli altri. L'importante è poter scrivere
senza complicazioni tecniche e senza intermediazioni.
Non esistono tematiche prefissate, ognuno scrive liberamente su
qualsiasi argomento. Esistono blog di informazione giornalistica,
di approfondimento, di pettegolezzi o anche più semplicemente
di racconti quotidiani delle proprie esperienze di viaggi, sport,
letture, poesie, musica ed altri interessi che scatenano la nostra
passione.
Nessuno davvero sa quanti sono oggi, i blogger in Italia: alcuni
parlano di poche migliaia. Ma basta dare un'occhiata ai siti personali
oltre che alle aree che vengono definite "blog" per capire che
sono molte di più le persone che - come si dice - "tengono" un
diario sul web. Alcuni famosissimi altri assolutamente sconosciuti.
Ad unirli tutti, il desiderio di lasciar traccia di sé e delle
proprie idee. Una necessità, quest'ultima, che diventa imprescindibile
quando non esistono altri modi per raccontare all'esterno quanto
accade intorno a noi. Ecco quindi il diario del giovane iracheno
che racconta da Bagdad la guerra sotto casa, o il medico cinese
che tiene traccia del progredire della Sars o - più semplicemente
- la professionista che usa il suo blog come "rete" per pescare
online i pensieri dei suoi amici sparsi per il mondo. Alla fine
si potranno contare i blog più seguiti e quelli più aggiornati,
ma l'importante è poter comunicare in un nuovo spazio senza limiti.
Un po' di storia
Nasce come un diario intimo, grafica essenziale, poche righe di
html e ancor meno visitatori. Correva l'anno 1993 e i navigatori
del web - appena "inventato" da Tim Berners-Lee a Ginevra - erano
poche centinaia di migliaia in tutto il mondo, perlopiù negli
Stati Uniti. Il nome non esisteva, arrivò anni dopo. Ma il "blog"
era tutto lì: nelle poesie di alcuni appassionati, negli articoli
di tanti, nei racconti minimalisti assai di chi usava la Rete
per raccontare e raccontarsi. Poi, come sempre accade, qualcuno
cercò di inquadrare quella passione, definendone innanzitutto
il nome: weblog, che nasce dall'unione di web (Rete in inglese)
e log (registro, sempre in inglese). Da qui la contrazione: "blog",
appunto. Secondo alcuni il termine è stato inventato nel 1997,
ma quello che conta, qui, è ricordare il boom dei "diari" online.
Come creare un blog?
Su Tiscali Blog creare e personalizzare il proprio blog è semplice,
veloce e gratuito! E' possibile scegliere il colore, l'impaginazione,
il font e la skin (cioè un particolare tema) del proprio blog
senza che sia necessaria alcuna conoscenza del codice HTML, ma
solo utilizzando una intuitiva interfaccia web. Inoltre, è possibile pubblicare un articolo sia sul proprio
blog che su blog.tiscali.it oppure su entrambi, in modo da avere
la libertà di scrivere anche su argomenti diversi da quello trattato
sul proprio blog e di poter aumentare la visibilità dei propri
articoli.
Come è formato un Blog
- Innanzi tutto in alto
c'è il titolo e il sotto titolo. Questo titolo rappresenta già
una chiave di lettura della personalità che il proprietario/a
da alla sua immagine virtuale. La scelta del titolo del blog
è veicolata dalla rappresentazione interna del momento e che
la persona tenta di fermare con le parole, mostrandola primo
a se stessa (rappresentazione/proiezione) e poi agli altri.
- La barra al lato è caratterizzata
dalla presenza dei "box". Ci sono due tipi di box che la persona
può inserire nel suo blog. Il primo è libero, per cui la persona
può sbizzarrirsi a scrivere ciò che vuole. Questi box, in genere
contengono, poesie, citazioni di personaggi più o meno famosi,
pensieri sia del proprietario/a del blog che di conoscenti,
amici, personaggi famosi. Quello che questi box esprimono, con
forme diverse, utilizzando la parola scritta, sono gli stati
d'animo, il pensiero del momento, pezzi del proprio vissuto.
L'importante è comunque tenere presente la funzione di rappresentazione,
che attraverso il meccanismo di proiezione, scatenano questi
tipi di box. Scrivere qualcosa in questo box, significa scrivere
qualcosa che in primis verrà letto da se stessi (espellere da
sé parti di sé) e che comunque, ma questo in secondo piano,
sullo sfondo, verrà letto da chiunque visiterà il blog (uno
spazio per il pensiero). Il secondo tipo di box, invece permette
di dare una connotazione spaziale all'interno del vasto mondo
di Internet, perché è qui che si può attraverso i link collegare
il proprio sé virtuale con altri sé. Questo box permette di
creare una situazione di piccolo gruppo all'interno del vasto
mondo dei Blog e di Internet.
- Altro elemento presente
(ma non in tutti i blog) è il contatore delle visite. (Potremmo
dire che questo contatore rappresenta una sorta di termometro
narcisistico. Quanto ciò che io ho rappresentato di me piace
agli altri?
- Tutti questi elementi
rappresentano nell'insieme la parte statica del proprio sé digitale.
L'immagine che la persona vuole rappresentare proiettivamente
è tutta lì.
- Gli articoli e i commenti
rappresentano la parte dinamica e la parte relazionale/gruppale
del blog.
Il gruppo non esiste
La cosa fondamentale è che il gruppo in Internet non esiste "realmente",
ma esistete e vive nella mente delle singole persone. Come rappresentazione
fantasmatica di un Noi che non ha luogo, ne tempo, ma che segue
le coordinate spazio-temporali della mente dei singoli individui
che lo costituiscono. Nella mente delle persone questo gruppo
viene connotato come reale, quando si parla di un membro del gruppo,
si utilizza lo stesso linguaggio del mondo reale. "Hai sentito
Tizio?" "E' venuto a trovarmi il nostro amico ieri" "Mi ha lasciato
un bacio".
Conclusioni
Questo di Internet e nello specifico del Blog, può essere uno
strumento che esiste, tutto da scoprire e ancora da studiare,
che può essere usato anche con finalità psicopedagogiche, fuori
nel mondo reale.
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