Akkademia di Psicopolis
 
Gruppi in Internet, dal sé al gruppo virtuale (Fonte)
di Walter Iacobelli

Il Sé 
Uno degli aspetti fondamentali dell'esperienza umana è costituito dal senso della propria unicità, di quella che in filosofia è stata definita la questione dell'identità personale o del Sé. Di conseguenza, tale termine trova ampio spazio in psicologia, soprattutto nel campo dello studio della personalità, in psicologia evolutiva e in psicopatologia, dove viene utilizzato con accezioni molto diverse; i significati che seguono sono alla base delle sue più frequenti modalità di impiego;

  • 1. Sé come agente o forza interna che controlla e dirige le funzioni dell'individuo, al di là delle motivazioni, delle necessità, ecc. Il Sé costituisce quindi, in questo senso, un'ipotetica componente  della psiche, con un ruolo ben preciso; questo è il significato del termine che si trova nel concetto di Sé creativo di Adler, nel sistema di Sé di Sullivan e nei primi scritti di Jung.

  • 2. Sé come testimone interno di eventi. Il Sé viene visto qui come una componente della psiche con una funzione introspettiva, William James, nel 1890, puntualizzò che questi due significati potevano essere meglio espressi utilizzando i termini Me e Io, dove Me corrispondeva al Sé oggetto significato 1, mentre Io costituiva il corrispettivo del significato 2, il Sé che conosce, il Sé come oggetto.

  • 3. Sé inteso come totalità delle esperienze e delle possibilità di espressione individuale; in questo caso, il termine viene utilizzato in modo inclusivo e termini come Io, persona, individuo ecc. possono essere considerati sinonimi accettabili.

  • 4. Sé come sintesi, come personalità organizzata. Il significato è simile al 3, ma con la connotazione aggiuntiva data dall'attenzione all'aspetto di integrazione: chi usa il termine in questa accezione lo presenta spesso come una costruzione logica, che si può inferire dall'esperienza di continuità individuale nel tempo, malgrado i cambiamenti. Il termine personalità può essere usato come suo sinonimo.

  • 5. Sé come coscienza, consapevolezza, identità. 

L'Io 
L'uomo è una unità psicofisica che svolge diverse funzioni. Tali funzioni possono essere classificate anche in rapporto al diverso livello di complessità. La complessità funzionale è il risultato dell'integrazione di sub-unità funzionali. Pertanto possiamo immaginare il funzionamento dell'organismo umano come un insieme di funzioni interagenti organizzate gerarchicamente in rapporto al livello di complessità. Il livello più alto è costituito da quella struttura-processo che chiamiamo "Io" che rappresenta la sintesi dinamica di tutte le funzioni e le esperienze, fisiche e psichiche, da quelle elementari (dei riflessi somatici e viscerali) a quelle complesse (funzioni emozionali e cognitive, interazioni sociali ecc.) Ciò che chiamiamo "psicologico" corrisponde ad un livello funzionale caratterizzato da un'alta complessità. L'Io sarebbe il risultato dell'integrazione delle integrazioni. Il Sé è l'Io che flette su se stesso.

Identificazione
Con il termine di identificazione intendiamo il processo tramite il quale un soggetto si costituisce gradualmente come tale, assimilando uno o più tratti di un altro individuo e modellandosi su di essi. S. Freud in "Psicologia delle masse e analisi dell'io" (1921), l'opera nella quale ha trattato più esaurientemente questo concetto, delinea tre tipi di identificazione: quella primaria, che rappresenta la forma originaria del legame affettivo con l'oggetto; l'identificazione come sostituto regressivo di una scelta d'oggetto; e infine, l'identificazione con l'altro, come avviene ad esempio nell'innamoramento. Il sostantivo identificazione, comunque, può essere usato oltre che in modo intransitivo, che come abbiamo visto è caratteristico della psicoanalisi, anche in modo transitivo, corrispondente al verbo identificare, cioè trovare somiglianze più o meno marcate, o riconoscere un oggetto appartenente ad una certa classe; Freud lo utilizza in tutti e due i modi. Questo meccanismo svolge un'importante funzione nella costruzione del gruppo. Secondo R. Kaës, nell'opera di Freud si possono rintracciare tre modelli per dar conto del passaggio dalla serie al raggruppamento; uno di questi consiste nella mutua identificazione tra determinati soggetti, questo costituendo per la psicoanalisi "la prima manifestazione di un legame emotivo con un'altra persona" (Freud, 1921, p.51) che dà la possibilità di creare lo spirito di corpo. Il primo di questi tre modelli lo troviamo esposto la prima volta in "Totem e Tabù", e si basa sulla fine dell'orda paterna, con l'uccisione del padre originario da parte dei fratelli: "un giorno, i fratelli scacciati si sono riuniti, hanno ucciso e mangiato il padre, ponendo fine all'orda paterna. Una volta riunitisi, si sono fatti audaci e sono stati in grado di realizzare ciò che ciascuno di loro, isolatamente, sarebbe stato capace di fare" (Freud, 1913, p.195). In "Psicologia delle masse e analisi dell'io" Freud introduce un secondo modello di raggruppamento, che si attua tramite l'identificazione: ogni singolo è un elemento costitutivo di molte masse; tramite l'identificazione è soggetto a legami multilaterali e ha edificato il proprio ideale dell'Io in base ai modelli più diversi. Il terzo modello è introdotto nella sopraccitata opera e trattato più esaurientemente in "Il disagio della civiltà" e si basa sulla mutua rinuncia alla soddisfazione sessuale diretta. 

Proiezione
Secondo Laplanche e Pontalis (1967) il concetto di proiezione è usato in diversi ambiti.
In neurologia, si parla di proiezione in un senso geometrico, cioè come di una corrispondenza punto per punto in una struttura. Da questa deriva un'altra accezione, di un movimento dal centro verso la periferia. In psicologia si parla di proiezione per designare un insieme di processi: quando il soggetto si rapporta con l'ambiente in funzione dei suoi bisogni, dei propri interessi, attese, stati d'animo ecc.; quando il soggetto assimila una persona ad un'altra, o quando il soggetto attribuisce ad altri sue caratteristiche, cioè proietta su altri le proprie propensioni inconfessate.
Nel senso propriamente psicoanalitico, la proiezione è intesa come un processo per mezzo del quale il soggetto espelle da sé e localizza nell'altro, persona o cosa, delle caratteristiche e perfino degli oggetti, che egli non riconosce o rifiuta in sé. È considerata una forma di difesa molto arcaica, che agisce non soltanto in situazioni francamente patologiche, come la paranoia, ma anche in fenomeni che possono rientrare nella normalità, come la superstizione.
Le varie accezioni nelle quali è usato il termine proiezione hanno in comune l'operazione per mezzo della quale certi oggetti sono spostati o localizzati all'esterno, passando da un punto all'altro, dal soggetto all'oggetto. L'uso delle tecniche proiettive, come nel caso del test di Roschach, è giustificato proprio dall'assunto più generale che il soggetto ritrova nell'altro da sé, siano persone o cose, caratteristiche che gli sono proprie.
Kaës (1976) fa ampio uso delle tecniche proiettive ipotizzando che qualsiasi situazione proiettiva controllata sia adatta all'analisi della rappresentazione e dei suoi organizzatori. 

Rappresentazione 
Per rappresentazione si intende un insieme composito di fenomeni.
In Laplanche e Pontalis (1967) il termine deriva dalla filosofia classica, in cui indicava sia l'atto con il quale la coscienza riproduce un oggetto esterno (per es. una cosa) o un oggetto interno (uno stato d'animo o un'immagine fantastica), sia il contenuto stesso di tale operazione riproduttiva.
J. Sandler (1991), che si è molto occupato di questo fenomeno, usa il termine rappresentazione in due diverse accezioni: sia come un'organizzazione stabile, una mappa interna che raccoglie e integra tutte le immagini mentali e le disposizioni relazionali di sé e degli altri, situate per lo più nell'ambito non esperienziale (lo schema corporeo o l'immagine corporea ne costituiscono due esempi), sia come i contenuti e le inclinazioni cognitivo-affettive di queste immagini nell'ambito esperienziale.
J. Bruner dal canto suo sostiene l'esistenza di tre forme di rappresentazione, che corrispondono a tre diversi modi di organizzare la conoscenza: la rappresentazione esecutiva o attiva, quella iconica, e quella simbolica.
Il primo tipo consiste nella rappresentazione di sequenze di movimenti, ed è legato all'azione; esso permette di cogliere eventi e oggetti in relazione con le azioni condotte nei loro confronti: "un oggetto non è altro che quello che si fa con esso" (Bruner, 1966, p31). Questo tipo di rappresentazione è molto importante nello sviluppo del pensiero del bambino, e non cessa mai di compiere la sua funzione.
Il secondo tipo di rappresentazione, quello iconico, dipende prevalentemente dalla percezione visiva e consente, attraverso un'immagine o uno schema spaziale, di organizzare l'esperienza.
Il terzo tipo di rappresentazione organizza la conoscenza attraverso vari sistemi simbolici, il più rilevante dei quali è quello verbale. Quest'ultimo è il sistema più evoluto di elaborazione e di conoscenza.
M. Tramonte (1999, p. 66) scorge una significativa analogia tra il terzo tipo di rappresentazione proposto da Bruner, e uno dei due livelli di rappresentazione nei quali Freud distingueva l'esperienza della Vorstellung, termine tedesco che indica la rappresentazione, e precisamente quello più vicino al sistema Cs: la rappresentazione della parola; come noto l'altro livello era costituito dalla rappresentazione della cosa, termine che per Freud era molto vicino a quello di traccia mnestica, con un essenziale differenza: "la rappresentazione ravviva la traccia mnestica, che in sé stessa non sarebbe altro che la trascrizione dell'evento" (Laplanche e Pontalis, 1967, p.507). Quest'ultimo livello di rappresentazione, a differenza dell'altro, è caratteristico del sistema Ics.
È importante soffermarsi ancora su questa differenza tra i due tipi di rappresentazioni in Freud, dal momento che Kaës (1976), trattando della costruzione dell'apparato psichico gruppale, la prenderà spesso in considerazione e risulterà importante per esaminare le rappresentazioni del gruppo in Internet.
Freud, inizialmente, non modifica l'accezione del termine Vorstellung introdotto da Leibniz, inteso quale il contenuto concreto di un atto di pensiero, ed in particolare come riproduzione di una percezione antecedente, ma ne fa un uso particolare. La particolarità risiede nel fatto che la rappresentazione, investita dall'affetto, si rivitalizza e riceve direzione. In questo senso Kaës considera la rappresentazione come un reticolo, nel quale circola l'affetto investito. Freud opponeva la rappresentazione all'affetto, dato che nei processi psichici questi due elementi subiscono un destino diverso.
Nella nevrosi ossessiva l'ammontare di affetto è disgiunto dalla rappresentazione patogena all'evento traumatico, e spostato a un'altra rappresentazione; la rappresentazione viene rimossa, l'affetto viene represso.
Per Laplanche e Pontalis (1967) la rappresentazione della cosa nel bambino è considerata come l'equivalente dell'oggetto perduto, che in assenza di quest'ultimo viene investita di affetto, allucinandolo.
Seguiamo ancora Kaës quando sostiene che, sotto il dominio del principio di piacere, i meccanismi dello spostamento e della condensazione tendono ad istituire una conformità tra l'oggetto e la sua immagine surrogante; una tale operazione costituisce per il bambino "il più arcaico meccanismo dell'Io in corso di strutturazione" (Kaës, 1976, p.25).
Come accennato precedentemente, la rappresentazione della parola distingue il sistema Pcs-Cs, retto dal processo secondario. Questo tipo di rappresentazione è introdotto da Freud nel 1895 in "Progetto di una psicologia", in cui sosteneva che l'immagine mnestica, associandosi all'immagine verbale, assume una modalità qualitativa tipica della coscienza; questo fenomeno ci consente di comprendere il passaggio tra il processo e i contenuti inconsci (modalità simmetrica, identità di percezione, principio di piacere) e i processi e i contenuti consci (modalità asimmetrica, identità dei pensieri tra loro, principio di realtà).
Si può dire in conclusione che, affinché ci sia una presa di coscienza, è necessario che l'oggetto sia nominabile tramite la rappresentazione della parola.
La funzione di queste due rappresentazioni ricorda, anche se da prospettive diverse, le funzioni alfa e beta, che W.R. Bion usava riguardo al pensiero.
Una differenza tra funzione alfa e la capacità verbale, è che quest'ultima costituisce solo un fattore alfa, della quale altri fattori sono: l'attenzione, l'annotazione, l'identificazione proiettiva.
La rappresentazione costituisce in sintesi questa articolazione, è un luogo di passaggio, di comunicazione, che permette di esprimere l'indicibile: "la rappresentazione è sorretta dal fantasma che la rende dinamica, ma in essa sono presenti anche le difese che il soggetto mette in opera contro l'irruzione del fantasma" (Kaës, 1977, p.27). Secondo Kaës, la rappresentazione svolge un lavoro di compromesso tra il fantasma e la resistenza ad esso. La rappresentazione del gruppo svolge delle funzioni sia a livello psichico, sia a livello sociale, anzi le funzioni psichiche non sono dissociabili da quelle sociali. Una rappresentazione del gruppo condivisa dai suoi membri, costituisce un punto di riferimento che assicura comuni identificazioni, svolge un ruolo assimilabile a quello della leadership; la rappresentazione, condivisa a livello intragruppale, delimita i confini del gruppo stesso e perciò interviene nelle relazioni intergruppali, permettendo una comunicazione e degli scambi. Inoltre fornisce una meta al flusso dei pensieri, articolandoli; la rappresentazione è così "una funzione identificatoria, una sistematizzazione dell'ordine dei pensieri e delle concezioni dell'universo, una funzione socializzante a causa degli scambi di differenza e delle mutue identificazioni che essa rende possibili: essa rende efficace la difesa contro l'assenza dell'oggetto, ma anche la riparazione di quest'ultimo quando sia stato danneggiato fantasmaticamente o realmente" (ibidem, p.98).
La rappresentazione non esprime il vissuto, non essendo quest'ultimo coincidente con ciò che il soggetto si rappresenta; rappresentazione e vissuto sono in relazione tra loro ma non sovrapponibili, in quanto la rappresentazione subisce delle trasformazioni tramite i processi che governano anche il sogno: lo spostamento, la condensazione e il lavoro simbolico; attraverso questa trasformazione la rappresentazione riesce ad affiorare alla coscienza, ed i modelli socioculturali facilitano il passaggio delle formazioni inconsce fornendo loro degli ancoraggi sociali. 

Relazione tra rappresentazione e proiezione
Nella formazione della personalità, nella ricerca della propria identità (Jervis, 1988)  la rappresentazione è una struttura di funzionamento, mentre si è visto che per la psicoanalisi la proiezione è soprattutto un meccanismo di difesa; il soggetto espelle da sé sia qualità spiacevoli che rifiuta, sia desideri che non riconosce in sé stesso: l'oggetto espulso viene ritrovato dal soggetto all'esterno sotto forma di una rappresentazione, che è soggetta ad investimento dalla stessa quantità di affetto che aveva causato la proiezione dell'oggetto; il conflitto viene così spostato all'esterno. Questa rappresentazione, della parte di sé che il soggetto ha proiettato, viene a istituire la realtà del soggetto stesso, questo meccanismo, secondo Kaës, dà vita alla cultura, costituita da un intreccio di rappresentazioni collettive, organizzate dalla comunicazione, dallo scambio, dalla trasformazione e dall'identificazione. Si può notare come rappresentazione e proiezione intervengano su piani differenti: le rappresentazioni integrano le proiezioni in un sistema adattivo stabile, la proiezione si manifesta in una rappresentazione.


Illusione gruppale

Il vissuto di illusione gruppale, rilevato da D. Anzieu, rappresenta un mezzo, una via quasi obbligata per trovare e consolidare un'identità gruppale e comunitaria.
Descrivendo i partecipanti di un gruppo largo Anzieu sottolinea come questi si sentano "sommersi nell'anonimato collettivo, troppo numerosi per allacciare relazioni interindividuali che permettano loro di sentirsi esistere" (1976).
Anche in Internet si ripropone il tema dell'appartenenza e della partecipazione. L'interattività dei collegamenti telematici, la possibilità di avere il mondo on-line forse allo stato attuale non sono sufficienti ancora per creare un appartenenza con quel mondo e interagire con esso.
Occorrono degli spazi più limitati, più personali, spazi non solo per essere e basta, bensì per essere qualcuno per qualcun'altro. I gruppi larghi , più di altre manifestazioni di gruppo, segnalano la presenza di vissuti illusori facendo emergere chiaramente il contrasto tra una situazione idealizzata, come quella del gruppo piccolo, ed una denigrata, come si riscontra nella condizione di gruppo largo composto di più gruppi piccoli. Questi vissuti risentono del diverso modo in cui si determina la regressione nel gruppo.
Mentre, infatti, nel piccolo gruppo si crea una condizione di protezione di tipo materno (il gruppo è la madre sostitutiva), nel gruppo largo i partecipanti sperimentano la perdita della protezione materna, contribuendo alla determinazione di quel fantasma di smembramento che si sostiene sulla vastità dello spazio gruppale. A questo riguardo, prosegue Anzieu: "Se i partecipanti sono lasciati liberi di sedersi dove vogliono, si nota la tendenza della maggioranza di costoro a stringersi assieme" (1976).
Si tenta di entrare in contatto (visivo, verbale, gestuale) con i propri vicini immediati costituendo una pelle comune con loro (Turquet, 1975), riproponendo in modi e contesti differenti quel comportamento di attaccamento del piccolo d'uomo verso la madre o la figura significativa della primissima infanzia descritto da J. Bowlby (1976), in un ambito gruppale.
Proprio la frustrazione di questo bisogno di attaccamento fa lamentare i membri per il freddo fisico e morale che regna nel gruppo largo e per la mancanza di contatto.
Internet ripropone quello stesso smarrimento e dispersione, anche in questo caso infatti si è manifestata la necessità di stringersi assieme di identificarsi in una comunità, in un insieme che avesse un contenitore in grado di contenerlo.
Scrive Anzieu: "ciascuno può essere percepito in maniera distinta da ciascuno altro, l'Io tende a ricostituirsi, a livello dell'immagine speculare, in una identificazione narcisistica agli altri" (1976).
È importante, a questo punto, comprendere perché l'illusione gruppale si esprima particolarmente nel passaggio dal gruppo piccolo al gruppo allargato (composto di tanti gruppi più piccoli).
Quest'ultima configurazione gruppale consente, infatti, a vari piccoli gruppi di ritrovarsi insieme e confrontarsi, accentuando le caratteristiche di perfezione del proprio gruppo in opposizione alle mancanze e imperfezioni degli altri gruppi.
Il piccolo gruppo lascia meno buchi, meno spazio vuoto che, nel gruppo allargato, è sentito come incolmabile. Il gruppo è come assalito da una sorta di agorafobia collettiva che induce a stringersi e trovare dei confini.
Se questi confini vengono delimitati, costituendo per esempio un gruppo più piccolo (madre buona), la nuova entità gruppale è investita di una vera e propria idealizzazione. La stessa idealizzazione che è presente in tutti quegli ambiti culturali alternativi, nei quali si identificano coloro che non accettano o non riescono ad accettare i valori e i modelli delle culture di massa. Dal gelido ed immenso Internet, sono emerse le comunità virtuali, forme di collettività mediatiche, che per stringere assieme i propri membri, per riempire lo spazio vuoto, si sono servite di tutti quei sistemi di comunicazione che da alcuni anni la Rete rende disponibile ai suoi utenti.
Delle piccole isole stanno quindi emergendo dall'oceano virtuale: la grande rete è diventata una fucina di controcultura per tutti coloro che anarchici, visionari, antagonisti, si prefiggono di sostituire nuovi e rivoluzionari modelli di pensiero e comportamento a quelli dominanti.
La storia recente mostra come ogni novità, apportata su vasta scala sociale determini delle reazioni ambivalenti, contrastate e contrastanti. Inizialmente, i piccoli gruppi di avanguardisti della comunicazione come ogni piccolo gruppo desta sospetto in quella (grande) parte della società che difende lo status quo. Osserva a tal proposito Anzieu, che la reazione della società a questi ".gruppi culturalmente alternativi" è connotata da "un atteggiamento dissidente (...) li indica con un vocabolario peggiorativo (sette, clan, ghetti, bande, gang), (...) li sospetta di cospirazione e li perseguita" (1976).
 Il piccolo gruppo diventa il luogo di trasgressione e del vietato; per questo motivo i membri idealizzano tutti quegli elementi di coesione e di unione, anzi la discriminazione della massa e della società rimarcano e consolidano paradossalmente l'identità del gruppo, che riconosce nella distinzione da quello che non si è, un confine che delimita quello che si è.
Il proprio gruppo viene perciò immaginato come il luogo favoloso dove tutti i desideri possono essere soddisfatti, dove si è protetti e difesi, funziona nell'ordine dell'illusione.  

Gruppalità
Gli scettici di Internet, hanno sempre dubitato della possibilità di trovare gruppi veramente uniti in un ambiente in cui la comunicazione è mediata dal computer. Nonostante la natura fragile ed effimera di molti forum, nel cyberspazio sembra esistere un senso di appartenenza al gruppo forte e costante.
Negli stati uniti J. Korenman e N. Wyatt (1994) hanno studiato alcune variabili gruppali in rete, osservando le modalità di partecipazione e gli atteggiamenti dei partecipanti alla mailing list WMST-L.
Si tratta di una mailing list accademica senza la figura del moderatore, destinata a persone impegnate nello studio di problematiche femminili, che coinvolge insegnanti, ricercatori, bibliotecari, amministratori di corsi di studio e un'ampia gamma di persone interessate all'argomento.
Dal 1991, anno di apertura della lista, il numero degli iscritti e dei messaggi è aumentato costantemente. Nell'agosto 1991, per esempio, 28 persone hanno inviato 51 messaggi e già nel gennaio 1993 sono stati inviati 365 messaggi da 193 persone diverse; da questi dati statistici emerge la vasta partecipazione alla lista.
Su molte liste si assiste a discussioni animate tenute da poche persone che occupano il centro della scena, mentre gli altri stanno a guardare (o si nascondono: lurker ) facendo solo pochi commenti.
Korenman e Wyatt hanno indagato il legame che, a giudizio di ogni partecipante, teneva insieme il gruppo e quanto fosse sviluppato il senso di gruppalità. Alla domanda su quale caratteristica del gruppo fosse più apprezzata e utile, la risposta più frequente è stata fare informazione, mentre altri hanno riferito di percepire un senso di appartenenza o di avere la possibilità di discutere esperienze personali.
In base all'analisi dei contenuti dei messaggi, questa mailing list appariva tranquilla e senza grosse discordie al suo interno, anche se esistevano discussioni e punti di vista differenti sugli argomenti più delicati. Sembra che i membri del gruppo abbiano trovato un ambiente idoneo e gradito per affrontare tematiche anche molto personali, richiamandosi a quel senso di gruppalità a volte così effimero, ma a volte molto reale.
È possibile che tra compagni di gruppo on-line si creino legami molto forti, a volte anche più profondi di quelli che si instaurano all'interno dei gruppi nella vita reale.
Tom Mandel,  descrisse così la sua esperienza in un gruppo virtuale poco prima di morire:
Vorrei iniziare ringraziando tutti voi, personalmente e collettivamente, per la magnifica esperienza vissuta negli ultimi dieci anni trascorsi su Well . Nel bene o nel male - abbiamo vissuto tutto insieme - il gruppo è stato un riferimento importante nella mia vita, specialmente in questi sei mesi cui ho ricevuto molto conforto. Sono triste, molto triste, non so dire quanto sono triste e addolorato di non poter rimanere più a lungo a discutere e parlare con voi.
Le persone imparano ad amare il gruppo telematico e vi si affidano, pur conservando sentimenti ambivalenti e qualche volta facendo un passo indietro per riconsiderare la stranezza dell'esperienza.
Definire un gruppo è già difficile quando il termine non è accompagnato da aggettivi elusivi come virtuale. Una definizione piuttosto concisa, caratterizza il gruppo come un insieme di più persone che interagiscono tra loro e si influenzano a vicenda. Questa definizione sembra chiara e soddisfacente se si evita di pensare a situazioni come più persone nello stesso ascensore, in un teatro o nello stesso vagone della metropolitana.
La presenza delle caratteristiche appena indicate, perfettamente riscontrabile all'interno di qualsiasi gruppo sociale, è molto meno ovvia tra le persone di un ascensore, a meno che la cabina non si fermi improvvisamente tra un piano e l'altro e tutti impallidiscano preoccupati. L'interazione tra persone che si trovano a stretto contatto fisico varia notevolmente in base alle circostanze: una piccola modifica nell'ambiente è in grado di trasformare in un attimo un insieme di persone in qualcosa che si avvicina molto alla definizione tradizionale di gruppo.
Come i gruppi della vita reale, anche i gruppi virtuali possono essere molto vari e diversi tra loro. Alcuni sono formati principalmente da persone che si conoscono e che si servono della rete semplicemente come mezzo per tenersi in contatto e per scambiarsi idee tra un incontro e l'altro. Altri gruppi virtuali raccolgono via Internet persone che hanno interessi comuni, ma che non si conoscono nella vita reale. Esistono infine quei gruppi virtuali i cui membri non hanno alcuna prospettiva di incontrarsi nella vita reale, sebbene condividano interessi e idee. Sono questi i gruppi in cui il senso di appartenenza, la gruppalità, può emergere soltanto attraverso le dinamiche della comunicazione on-line, ammesso che emerga.
Nella terminologia delle scienze sociali non è infrequente incontrare definizioni non perfettamente chiare, ma interazione e influsso sono due termini molto utili per comprendere la natura dei gruppi on-line e confrontarli con i gruppi reali. Le persone che interagiscono in Internet si influenzano a vicenda, a volte anche in modo pesante. Le modalità con cui si presentano questi processi sono diverse da quelle della vita reale, ragione per cui non deve sorprendere il fatto di riscontrare sentimenti di ambivalenza riguardo il significato di appartenere a un gruppo virtuale. Sappiamo da decenni di ricerca scientifica che la presenza di altre persone influisce sul comportamento umano, anche quando si tratta di sconosciuti che non si incontreranno mai più.


Spazio gruppale
 
Così come l'acqua passa dallo stato liquido a quello solido, attraverso il congelamento, o allo stato gassoso, attraverso la vaporizzazione, con la possibilità di tornare allo stato iniziale; anche entrare in Internet implica una trasformazione di stato: da quello analogico a quello digitale, si opera una perdita dei confini del Sé reale. Entrare a far parte di questo villaggio globale implica, una illusione gruppale; essa sposta la preservazione dall'individuo al gruppo: alla minaccia al narcisismo individuale, essa risponde instaurando un narcisismo gruppale. "L'illusione gruppale (.) è la reazione a un'angoscia e a uno smarrimento totali, ma anche una condizione iniziale di nascita e di sviluppo" (Anzieu 1976, pp. 312-317). I fenomeni dello Stato gruppale nascente abitualmente vengono sperimentati dalla persona che partecipa ad un gruppo come una certa perdita dei confini del Sé.
"Questo senso di perdita è accompagnato da un sentimento relativo ad un cambiamento nel proprio modo abituale di pensare e porsi in rapporto con la realtà circostante" (Palmieri, 1988). Come se le sensazioni e le attese non fossero più localizzate, ma fossero invece diffuse in uno spazio comune e condiviso.
Come indica C. Neri ".la condizione determinata da una blanda intossicazione alcolica è avvicinabile alla perdita dei confini propria dello Stato gruppale nascente" (Neri, 1995, p. 47)  e a questo punto all'entrata nel cyberspazio: la mente produce con facilità immagini, emozioni, vissuti corporei che il soggetto vive come riferibili non tanto a sé, ma al contesto in cui è immerso.
Il vissuto di cambiamento nel proprio modo abituale di essere e porsi in rapporto si manifesta, ad esempio, anche con l'avvertire che il tempo perde la dimensione dell'abituale quotidianità. Lo spazio sembra acquisire connotazioni nuove e non precedentemente conosciute.
Per la costruzione di un spazio gruppale, in questo caso cyberspazio, mi rifaccio alla definizione data da H. Arendt (1963), egli si riferisce non a un pezzo di terra, ma allo spazio che c'è tra individui che formano un gruppo, cioè individui legati uno all'altro (ma al tempo stesso separati e protetti) da molte cose che hanno in comune. Lo spazio in comune dei membri del gruppo è dunque strettamente legato al sentimento di appartenenza e ad una differenziazione tra ciò che è il gruppo e ciò che non è il gruppo. Questo aspetto della definizione di spazio è chiarito da alcune formulazioni di J. M. Lotman (1978). Secondo quest'autore l'area culturale e sociale di un gruppo è distinta dall'esterno da una sorta di confine. L'interno è sperimentato, dagli appartenenti al gruppo, essenzialmente come strutturato; l'esterno essenzialmente come non strutturato. L'idea di Lotman può essere schematicamente rappresentata:
in cui lo spazio comune, l'area di appartenenza è IN. IN, dal punto di vista del membro del gruppo, tende a identificarsi con il concetto di ordine ed è in polarità con EST, in non-gruppo, il caos. Appartenere a IN significa esistere, esserne espulsi significa non esistere: finire nel non reale, nell'indeterminato.
È interessante notare come, nel caso di gruppi esistenti nel cyberspazio, finire nel non reale, cioè uscire dal cybergruppo secondo lo schema di Lotman, significa ritornare nel mondo reale.
Nella realizzazione del confine del gruppo un ruolo importante viene giocato dal trasferimento al gruppo, da parte dei membri, della loro funzione di pelle mentale. Neri (1995) parla di alcune esperienze sensoriali che favoriscono il trasferimento dagli individui al gruppo della funzione di delimitazione e la creazione dello Spazio comune del gruppo, la presenza fisica delle persone sedute in cerchio che delimitano uno spazio; la percezione che alcune sensazioni seguono ritmi di gruppo, piuttosto che ritmi individuali; come se il gruppo in toto li regolasse oppure non riuscisse a regolarli; l'avvertire che i pensieri e le emozioni possono circolare in un contesto più vasto di quello che i membri assegnano ai propri vissuti, quando pensano da soli.
Secondo D. Anzieu (1981), un gruppo è un involucro che tiene insieme degli individui. Finché questo involucro non si è costituito, si tratta di un aggregato umano, ma non di un gruppo. "Un involucro che racchiude i pensieri, le parole e le azioni, permette al gruppo di costituire uno spazio interno (che procura un sentimento di libertà e che garantisce il mantenimento degli scambi all'interno del gruppo) e una sua temporalità (che comprende un passato da cui il gruppo fa derivare la propria origine e un avvenire in cui progetta di perseguire le sue mete) " (Anzieu, 1981).
 

Capacità metabolica
Un primo aspetto della funzione terapeutica del pensiero di gruppo è la capacità di metabolizzare l'ansia e l'angoscia, che l'individuo può non essere in grado di elaborare. In altri termini, il gruppo ha la capacità di disintossicare la mente dell'individuo da eccessive tensioni che vi si possono essere accumulate e che la occupano. Per esprimere in modo diverso questa idea, si può dire che il pensiero di gruppo ha una funzione analoga a quella della funzione alfa dell'individuo. Bion propone un'immagine che chiarisce come opera la funzione alfa. Si dice comunemente che, se una persona durante la notte ha un incubo, questo dipende da un'indigestione di cibo, un'indigestione somatica; si può però pensare anche che l'incubo sia effetto di un'indigestione mentale. Durante il corso della giornata, la persona ha accumulato una serie di vissuti e sperimentato situazioni emotive che l'hanno coinvolta e che non è riuscita a metabolizzare. L'effetto di questo accumulo è l'incubo. Bion differenzia infatti l'incubo dal sogno: l'incubo ha una qualità evacuatoria e allucinatoria. L'angoscia che l'accompagna è il segno che l'apparato psichico è stato sopraffatto, non è riuscito a digerire certi vissuti. Il sogno, invece, è il risultato dell'opera della funzione alfa, cioè della trasformazione operata dalla funzione alfa sulle esperienze e sui vissuti emotivi che si sono accumulati. La funzione terapeutica del pensiero di gruppo si manifesta, prima di tutto, come capacità di elaborare l'angoscia. Ognuno di noi si è trovato a volte, la sera molto stanco e abbattuto, con la testa incapace di pensare. Se l'ambiente è accogliente, se c'è una situazione di gruppo conviviale, questo contribuisce a farci sentire meglio, anche se magari l'attività che si svolge nella riunione del gruppo è intensa e di per sé faticosa. A questa funzione metabolica del pensiero di gruppo si riferisce Francesco Corrao (1981), che la definisce funzione gamma (funzione gruppo). La funzione gamma è analoga alla funzione alfa. L'intitolazione alla lettera greca gamma corrisponde all'idea che chi attiva questa funzione non è un individuo ma un gruppo. La funzione gamma in definitiva è la capacità del pensiero di gruppo di "metabolizzare" elementi sensoriali, tensioni e frammenti di emozioni che sono presenti nel campo. 

Un pensiero che opera fuori dell'individuo
L'ipotesi, avanzata da Corrao, che il pensiero di gruppo possieda una capacità metabolica si collega utilmente con alcune ipotesi avanzate da Searles. Prima ancora di riferire le ipotesi di Searles sono però utili alcune parole che contribuiscono a dare un'opportuna collocazione ai sui studi. Searles si è occupato fondamentalmente di due temi: il trattamento di pazienti molto gravi e il problema del rapporto tra l'individuo e l'ambiente, inteso come ambiente umano e non umano. In riferimento ai reparti ospedalieri psichiatrici e alle équipe che vi lavorano, Searles ha affermato che la terapia per i pazienti gravi richiede che determinate funzioni mentali vengano inizialmente attivate fuori dell'individuo (nell'équipe) e che solo successivamente l'individuo se ne possa appropriare. È questo il punto che vorrei porre in "collegamento con la capacità" metabolica del pensiero di gruppo. Citerò direttamente il testo di Searles. Egli scrive (1965, pag. 315-317): "Il modo più chiaro e più semplice di descrivere il tipo di situazione sociale che il paziente dell'Io frammentato tende a creare nel reparto è, a mio avviso, considerare tale situazione sociale un processo per mezzo del quale la differenziazione e successivamente l'integrazione dei diversi frammenti dell'Io debbono avere luogo in larga misura all'esterno del paziente stesso, nelle persone che lo circondano, prima che possano avvenire dentro di lui". Il "paziente grave" che riesce a utilizzare l'équipe per attivare processi mentali di cui è carente, probabilmente vive se stesso come tutt'uno con l'équipe. La fantasia di fusione con l'équipe gli permette di fruire dell'attività di elaborazione di quest'ultima, senza sentire di avere a che fare con un oggetto altro, con qualcosa di diverso da sé. L'équipe è infatti una parte della sua mente. Ritengo che il processo descritto da Searles si verifichi non solo nelle équipe ospedaliere, ma anche nei piccoli gruppi a finalità analitica e che ne fruiscano soltanto i pazienti, ma tutti i pazienti che prendono parte ad un'analisi di gruppo.
 

Uno spazio per il pensiero
Un altro aspetto del rapporto terapeutico che si stabilisce tra individui e gruppo corrisponde alla possibilità che il pensiero di gruppo offra una sorta di supporto spaziale ai pensieri dell'individuo. In altri termini, ci si riferisce alla possibilità che l'individuo possa utilizzare la struttura poliedrica del gruppo come uno "spazio particolare" che si offre ai suoi pensieri. In questo caso, non vi è la necessità di una fantasia di fusione con il gruppo, ma il pensiero dell'individuo cammina, di pari passo con il pensiero di gruppo.  

Cos'è un Blog?
Un blog è uno spazio sul web dove poter raccontare storie, esperienze e pensieri, una sorta di diario di bordo che ognuno di noi può "tenere" e condividere con gli altri. L'importante è poter scrivere senza complicazioni tecniche e senza intermediazioni.
Non esistono tematiche prefissate, ognuno scrive liberamente su qualsiasi argomento. Esistono blog di informazione giornalistica, di approfondimento, di pettegolezzi o anche più semplicemente di racconti quotidiani delle proprie esperienze di viaggi, sport, letture, poesie, musica ed altri interessi che scatenano la nostra passione.
Nessuno davvero sa quanti sono oggi, i blogger in Italia: alcuni parlano di poche migliaia. Ma basta dare un'occhiata ai siti personali oltre che alle aree che vengono definite "blog" per capire che sono molte di più le persone che - come si dice - "tengono" un diario sul web. Alcuni famosissimi altri assolutamente sconosciuti. Ad unirli tutti, il desiderio di lasciar traccia di sé e delle proprie idee. Una necessità, quest'ultima, che diventa imprescindibile quando non esistono altri modi per raccontare all'esterno quanto accade intorno a noi. Ecco quindi il diario del giovane iracheno che racconta da Bagdad la guerra sotto casa, o il medico cinese che tiene traccia del progredire della Sars o - più semplicemente - la professionista che usa il suo blog come "rete" per pescare online i pensieri dei suoi amici sparsi per il mondo. Alla fine si potranno contare i blog più seguiti e quelli più aggiornati, ma l'importante è poter comunicare in un nuovo spazio senza limiti.  

Un po' di storia
Nasce come un diario intimo, grafica essenziale, poche righe di html e ancor meno visitatori. Correva l'anno 1993 e i navigatori del web - appena "inventato" da Tim Berners-Lee a Ginevra - erano poche centinaia di migliaia in tutto il mondo, perlopiù negli Stati Uniti. Il nome non esisteva, arrivò anni dopo. Ma il "blog" era tutto lì: nelle poesie di alcuni appassionati, negli articoli di tanti, nei racconti minimalisti assai di chi usava la Rete per raccontare e raccontarsi. Poi, come sempre accade, qualcuno cercò di inquadrare quella passione, definendone innanzitutto il nome: weblog, che nasce dall'unione di web (Rete in inglese) e log (registro, sempre in inglese). Da qui la contrazione: "blog", appunto. Secondo alcuni il termine è stato inventato nel 1997, ma quello che conta, qui, è ricordare il boom dei "diari" online.  

Come creare un blog?
Su Tiscali Blog creare e personalizzare il proprio blog è semplice, veloce e gratuito! E' possibile scegliere il colore, l'impaginazione, il font e la skin (cioè un particolare tema) del proprio blog senza che sia necessaria alcuna conoscenza del codice HTML, ma solo utilizzando una intuitiva interfaccia web.
Inoltre, è possibile pubblicare un articolo sia sul proprio blog che su blog.tiscali.it oppure su entrambi, in modo da avere la libertà di scrivere anche su argomenti diversi da quello trattato sul proprio blog e di poter aumentare la visibilità dei propri articoli. 

Come è formato un Blog

  • Innanzi tutto in alto c'è il titolo e il sotto titolo. Questo titolo rappresenta già una chiave di lettura della personalità che il proprietario/a da alla sua immagine virtuale. La scelta del titolo del blog è veicolata dalla rappresentazione interna del momento e che la persona tenta di fermare con le parole, mostrandola primo a se stessa (rappresentazione/proiezione) e poi agli altri.
  • La barra al lato è caratterizzata dalla presenza dei "box". Ci sono due tipi di box che la persona può inserire nel suo blog. Il primo è libero, per cui la persona può sbizzarrirsi a scrivere ciò che vuole. Questi box, in genere contengono, poesie, citazioni di personaggi più o meno famosi, pensieri sia del proprietario/a del blog che di conoscenti, amici, personaggi famosi. Quello che questi box esprimono, con forme diverse, utilizzando la parola scritta, sono gli stati d'animo, il pensiero del momento, pezzi del proprio vissuto. L'importante è comunque tenere presente la funzione di rappresentazione, che attraverso il meccanismo di proiezione, scatenano questi tipi di box. Scrivere qualcosa in questo box, significa scrivere qualcosa che in primis verrà letto da se stessi (espellere da sé parti di sé) e che comunque, ma questo in secondo piano, sullo sfondo, verrà letto da chiunque visiterà il blog (uno spazio per il pensiero). Il secondo tipo di box, invece permette di dare una connotazione spaziale all'interno del vasto mondo di Internet, perché è qui che si può attraverso i link collegare il proprio sé virtuale con altri sé. Questo box permette di creare una situazione di piccolo gruppo all'interno del vasto mondo dei Blog e di Internet.
  • Altro elemento presente (ma non in tutti i blog) è il contatore delle visite. (Potremmo dire che questo contatore rappresenta una sorta di termometro narcisistico. Quanto ciò che io ho rappresentato di me piace agli altri?
  • Tutti questi elementi rappresentano nell'insieme la parte statica del proprio sé digitale. L'immagine che la persona vuole rappresentare proiettivamente è tutta lì.
  • Gli articoli e i commenti rappresentano la parte dinamica e la parte relazionale/gruppale del blog.

Il gruppo non esiste
La cosa fondamentale è che il gruppo in Internet non esiste "realmente", ma esistete e vive nella mente delle singole persone. Come rappresentazione fantasmatica di un Noi che non ha luogo, ne tempo, ma che segue le coordinate spazio-temporali della mente dei singoli individui che lo costituiscono. Nella mente delle persone questo gruppo viene connotato come reale, quando si parla di un membro del gruppo, si utilizza lo stesso linguaggio del mondo reale. "Hai sentito Tizio?" "E' venuto a trovarmi il nostro amico ieri" "Mi ha lasciato un bacio".

Conclusioni
Questo di Internet e nello specifico del Blog, può essere uno strumento che esiste, tutto da scoprire e ancora da studiare, che può essere usato anche con finalità psicopedagogiche, fuori nel mondo reale.

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