Le rivolte nel nord-africa sono ancora in atto, per cui è
presto per dare interpretazioni o risposte a tutti i dubbi: però
le domande possiamo almeno farle, per iniziare a pensarci sopra.
1) Nessuno sapeva niente?
Noi uomini della strada abbiamo creduto ai mass media che, sia pure
con qualche critica, davano Algeria, Libia, Egitto e Tunisia come
Paese stabili. Oggi scopriamo che milioni di persone, senza aiuti
e per tramite di Facebook, fanno una rivolta in 4 ad anche più
Paesi del nordafrica. Gli Usa dispongono della CIA, hanno armi di
controllo sul web e sui telefoni chiamate Echelon e Carnivore, hanno
ambasciate e spioni avunque. Cosa scrivevano per Wikileaks gli ambasciatori
ed i consoli Usa dei Paesi del nordafrica, mentre quelli di Roma
erano intenti a riferire sulle escorts di Berlusconi?
In altri tempi, dopo un fatto del genere, il Presidente Usa avrebbe
tagliato la testa al capo della CIA e cambiato tutte le ambasciate
dell'area. Invece niente.
Anche noi italiani abbiamo ambasciate e spioni in tutto il nordafrica.
In più abbiamo contatti economici piuttosto fitti, con tutti
quei Paesi (Craxi scelse la Tunisia per scappare). Anche da noi,
in altri tempi, si sarebbe aperto almeno un dibattito sulle agenzie
di "intelligence" (chissà perchè si chiama
così!). Invece niente. Le rivolte nel Maghreb hanno colto
di sorpresa Usa, Europa, Nato e Italia, oppure c'è qualcosa
che non ci dicono?
2) Tutti hanno capito al volo ?
L'Italia è un Paese nel quale mass media, politici e studiosi
non hanno capito appieno nessun avvenimento politico significativo.
Sul Risorgimento le interpretazioni sono varie. Ancora oggi molti
dicono che occorre approfondire gli anni di piombo. Quasi nessuno
dei fatti di sangue di matrice politica ha avuto una spiegazione
esaustiva: dall'attentato di Piazza Fontana a Ustica. Eppure, tre
giorni dopo l'avvìo delle "piazze" in Tunisia,
Egitto, Algeria, eccetera, tutti i gazzettieri avevano già
capito chi erano i buoni e chi i cattivi. Obama, capo di uno Stato
che ha represso nel sangue ogni rivolta interna (da Berkeley a Waco)
ed ha appoggiato tutti i più sanguinari tagliagole del sudamerica,
del medio ed estremo oriente, dopo 3 giorni inneggiava ai rivoltosi.
Tutta la televisione italiana, pubblica e privata, in simultanea,
faceva un tifo da stadio per i rivoltosi, dichiarandosi certa che
fossero "i buoni". Un'Europa che non ha mai mosso un dito
per i rivoltosi dell'Irlanda, i ribelli ceceni, gli autonomisti
corsi e baschi, si è scoperta in 3 giorni a santificare i
ribelli maghrebini. Un'Italia che annovera nel suo passato repressioni
feroci delle piazze (ci siamo dimenticati Tambroni, Reggio Calabria,
Genova?) e che si è scandalizzata perchè 4 leghisti
idioti sono arrivati in Piazza San Marco con un carroarmato di cartone,
in 3 giorni è diventata sostenitrice di tutti i movimenti
di liberazione maghrebini.
3) Immigrati in fuga da cosa?
Dopo pochi giorni dalle rivolte, Ben Ali e Mubarak se ne sono andati.
I rivoltosi dunque hanno vinto. Parte un'emigrazione di egiziani
e tunisini che impietosiscono tutti. Nessuno si chiede chi siano
questi immigrati. Riesce difficile credere che siano gli ex-rivoltosi
vittoriosi, perchè non pare ragionevole che un cittadino
rischi una rivolta, per emigrare in barca subito dopo avere vinto.
Sembra più ragionevole pensare che i fuggitivi siano fedeli
del regime perdente, cioè complici di quelli che la stampa
ha descritto come dittatori spietati e ladri. Se così è,
come si spiega tutto l'entusiasmo per l'accoglienza mostrato dai
mass media italiani (entusiasmo peraltro non condiviso dall'Europa)?
4) Rivolta o rivoluzione?
La rivoluzione si basa su un progetto, un partito, una leadership
alternativa al regime che è al potere. Una rivoluzione propone
qualcosa di diverso rispetto a quello che c'è. Come minimo,
una rivoluzione chiede nuove elezioni immediate. Una rivolta è
un movimento "contro". Chiede l'abbattimento di un regime.
Una rivolta può avere tutte le ragioni, ma si caratterizza
per non avere idee chiare sul dopo. Questo non toglie niente ai
maghrebini che si sono sollevati per avere più libertà,
più democrazia, più diritti e più soldi. Chiunque
non sia al potere non può che gioire. Tuttavia è legittimo
anche avere dubbi, perplessità, timori non tanto su cosa
abbia causato queste rivolte, ma su come possano andare a finire.
Gli ottimisti sperano che si possa andare presto alle elezioni,
che emergano partiti "democratici", e che vincano leaders
non teocratici ma laici, non estremisti ma socialdemocratici, non
amici dell'Iran ma filo-occidentali. E' lecito tuttavia domandarsi
come mai non si sente nemmeno parlare di elezioni nè in Tunisia,
nè in Egitto. Come faranno dei popoli evidentemente privi
di una borghesia media o piccola, che tradizionalmente costituisce
l'ossatura di un regime democratico, a far emergere partiti socialdemocratici.
Dove sono quei leaders "laici e moderati" che potranno
far uscire il Maghreb dalla crisi, creando per le popolazioni condizioni
migliori.
5) L'estremismo islamico è sparito (o sta solo aspettando)?
Tutti si affrettano a rassicurare sull'inesistenza, nei popoli del
Maghreb, dell'estremismo islamico. Quando fu cacciato lo scià
di Persia, quanti immaginavano che sarebbero arrivati Khomeini e
Achmadinejad ? Chi sapeva che nel 1990 le elezioni algerine potessero
essere vinte da estremisti islamici? Chi immaginava che, dopo Hussein,
l'Iraq sarebbe stato invaso dal terrorismo?
Se voi foste uno dei leaders dell'Islam estremista, cosa fareste,
avendo tutto il nordafrica in uno stato precario?
6) Chi ci guadagna?
La situazione è confusa, ma un buon metodo per capirci qualcosa
può essere il vecchio "chi ci guadagna". La speranza
è che a guadagnarci siano i propoli maghrebini. La prima
certezza è che l'Italia e L'Europa vanno verso un periodo
di grande instabilità, il che offre un grande vantaggio al
loro primo competitore: gli Usa. La seconda certezza è che
l'opinione pubblica italiana ed europea hanno una fonte di distrazione
dai problemi interni ed una giustificazione ai rincari della benzina
e del costo della vita in generale. La terza certezza è che
l'estremismo islamico ha nuove praterie di penetrazione.
Ektor Georgiakis, marzo 2011
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