MATRIX
UN/DUE/TRE |
Matrix un/due/tre è una saga brutta ma istruttiva. Nella sequela dei tre episodi di Matrix, i fratelli Wachowski mettono, più o meno consapevolmente, in scena la convinzione diffusa dell'analogia tra virtuale e reale: il virtuale è un dato di fatto e lo si può trasformare in fantasia visibile. Scordano però che la caratteristica dell'universo virtuale sta proprio nell'impossibilità di utilizzare le categorie del reale per parlarne. L'evocazione, presente ossessivamente nella pellicola, di un reale come "spazio deserto" viene presentata attraverso uomini-spettro, riserva energetica di oggetti pensanti, ma comunque simulacri riferentisi ad un'umanità perduta. Il dispositivo
è però rozzo, non provoca il turbamento che altre proiezioni sono
riuscite a suscitare: Blade Runner, tra i più conosciuti o Minority
Report, tra i più recenti. Il dispositivo è altresì banale: i personaggi
sono nella Matrice, cioè nella digitalizzazione delle cose, oppure
sono radicalmente al di fuori, cioè a Zion, la città di coloro che
resistono. Non c'è traccia di descrizione (a differenza dei films
citati) di cosa accade nella zona di confine tra i due mondi, reale
e virtuale. Il vero però equivoco
della saga Matrix sta nella confusione tra Simulazione e Illusione. Il mondo visto
come illusione radicale è un problema che si è posto a tutte le
grandi culture e che da esse è stato risolto con la Simbolizzazione.
Quello che i Wachowski (occidentali e postmoderni) hanno inventato
per sopportare la sofferenza di questa scoperta, è un reale simulato,
un universo virtuale da dove è espurgato tutto ciò che c'è di pericoloso,
di negativo, e che soppianta il reale, fino a diventarne la soluzione
finale. Appare, a questo
punto, l'analogia con il tempo di violenza e guerra in cui il film
è nato e che ha proiettato (in senso psicologico) sullo schermo
cinematografico. Matrix mette in scena la soluzione finale che l'Occidente
ha in mente per il futuro prossimo e agisce concretamente nella
odierna quotidianità. L'Occidente (a partire dall'11 settembre)
rinuncia a gestire il proprio desiderio di sopravvivenza e di identità
attraverso gli strumenti simbolici di dislocazione della violenza
e della guerra. Preferisce far fronte alla tragica scoperta che
la realtà non era proprio come l'aveva immaginata, cercando sconsideratamente
di produrre (alla stregua di un individuo psicotico) un "universo
virtuale" ripulito dalla negatività, omologato al modello capitalistico,
appianato delle alterità etniche e religiose. Questo malsana
intuizione, come i fatti testimoniano, appartiene all'ordine del
sogno, dell'utopia, della fantasia: ma in Matrix un/due/tre è dato
vederla realizzata supportando, simbolicamente e in modo assolutamente
trasparente, la follia dell'illusione occidentale. E' questo del
resto ciò che fa del film un "sintomo istruttivo": la
saga è infatti un oggetto stravagante, candido e perverso insieme.
Lo pseudo-Freud che parla alla fine del 2° episodio lo dice… "a
un certo punto, si è dovuto riprogrammare la Matrice per integrare
le anomalie nell'equazione… e voi, gli oppositori, ne fate parte".
Il sistema produce una negatività che è immediatamente integrata:
Matrix dà così l'immagine dell'onnipotenza monopolistica dell'Occidente
sulla situazione attuale. E del resto questo
il modo più efficace di mettere sotto chiave ogni vera alternativa.
Non c'è più nessun punto esterno su cui appoggiarsi per concepire
questo mondo, nessuna funzione antagonista, c'è solo adesione ipnotica.
Ma bisogna sapere
pure che più un sistema si avvicina alla perfezione, più si avvicina
alla irregolarità totale. E' una forma d'ironia oggettiva che fa
in modo che nessuna partita sia giocata fino in fondo. Il sistema, il
virtuale, la matrice, tutto questo tornerà alle pattumiere della
storia: d'altro canto (come sostiene Jean Baudrillard) il terrorismo
non è una potenza alternativa, è solo la metafora di quel capovolgimento
quasi suicida della potenza occidentale su sè stessa. Yria
Tsigouri, novembre 2003
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