Il mito del "naturale" (Adamus)

Torna di moda il mito romantico del "naturale". La Chiesa ci si è buttata sopra a capofitto, e al suo seguito, si richiamano al "naturale" tutti i pensatori della conservazione. Il termine "naturale" viene in genere assegnato alle credenze consolidate da una o due generazioni, in opposizione al "contro natura", "artificiale", "falso" che vengono affiancati a tutte le innovazioni ventilate. L'argomento "naturale" non è nuovo, e nella storia è stato usato spesso per giustificare i diritti di successione e nobiliari, la divisione in classi, l'esistenza di strati sociali affamati, la supremazia di alcune razze su altre, il sesso praticato fra sessi diversi e dopo una certa età, il primato della comunità sull'individuo e il primato di quest'ultimo sulla prima. E' il mito del "buon selvaggio" rousseauiano, in realtà membro di orde omicide. O del bambino "naturalmente innocente", che Freud ha descritto come un "perverso polimorfo".

Oggi il mito è invocato per difendere la nascita e la morte da ogni ipotesi di prevenzione, programmazione o manipolazione; e per sostenere la famiglia monogamica, eterosessuale, biparentale e con prole. Più blandamente (per ora) il "naturale" viene invocato per stigmatizzare la chirurgia estetica, le pratiche del tatuaggio e del piercing, il fumo, e la pinguedine.

Ci sono almeno due argomenti che consentono di definire il "naturale" come mito finalizzato a difendere e sostenere la conservazione di un certo stato di cose.

Il primo è che definire qualcosa come "naturale" non equivale affatto assegnare ad essa un valore positivo. Ciò che è "naturale" può essere anche dannoso, pericoloso, ingiusto. Sono "naturali" i virus, come gli uragani, i terremoti e le siccità. Sono "naturali" gli istinti omicidi dell'uomo, ed i morsi velenosi dei serpenti. Tutta la storia dell'Uomo può essere letta come il tentativo di domare, piegare, plasmare, controllare la natura con la cultura. Affermare di qualcosa che è "naturale" significa ipso facto metterla fra ciò che è da esaminare attentamente, e poi forse piegare a favore dell'Uomo, cioè della sua cultura. Assegnare al "naturale" un valore positivo assoluto è una mera finzione dialettica.

Il secondo è che tutto ciò che fa l'uomo per alimentarsi, riprodursi e vivere deriva dalla sua natura trasformata dalla sua cultura. Possiamo sapere cosa fa l'uomo del tutto sottomesso alla natura, studiando i testi dell'antichità (quando il peso della cultura era minore), oppure le popolazioni che ancora oggi vivono isolate, o anche gli indizi dell'archeologia e della paleontologia. Concetti come matrimonio, famiglia parentale, tabù dell'incesto, integrazione dell'handicap, cura della salute, allungamento della vita, agricoltura e allevamento, artigianato, derivano solo dalla cultura dell'uomo: non dalla natura. La Bibbia, la più splendida testimonianza della storia prima della storia, che segna l'inizio della cultura occidentale, è l'esempio più eloquente di quanto fossero abituali, in un'epoca certo più "naturale" della nostra, le stragi e gli omicidi, le trasgressioni sessuali, gli infanticidi e i fatricidi, la poligamia. L'eutanasia non sembra citata, forse perchè sostituita dalla morte in giovane età, dal suidicio o dall'omicidio tout court. L'omosessualità, la pedofilìa e l'incesto sono oggi "contro la cultura", ma è impossibile definire queste pratiche come "contro natura", visto che accompagnano la storia dell'umanità dagli albori (con chi ha procreato Caino?).

Conclusioni

Nascita, vita, morte, sesso, lavoro, convivenza civile condotti secondo "natura", se sono mai esistiti, sarebbero inaccettabili per la nostra cultura odierna. Naturale è tutto ciò che avviene senza che la volontà umana intervenga; culturale è tutto ciò che la volontà umana regola, definisce e trasforma. Regoliamo per convenzione la data della nascita di un essere umano, e regoliamo per convenzione il momento della morte.

In certe culture l'essere umano era già nello sperma del maschio, che veniva dannato se lo disperdeva masturbandosi; per secoli il neonato ed anche il bambino non avevano diritto alcuno, come se il valore di persona fosse attribuibile solo dopo l'adolescenza.
Oggi discutiamo sul valore di persona degli embrioni e del feto fino al terzo mese di gravidanza: è una giusta esigenza culturale, ma cosa c'entra il "naturale" ?

Nel nostro passato e nel passato (spesso anche nel presente) di altre culture, troviamo il matrimonio poligamico; la famiglia matrilineare o monoparentale; i figli comunitari; l'omosessualità e la pedofilìa come pratiche educative; l'incesto e la violenza carnale come diritti dei maschi e dei padri. L'infedeltà coniugale via via considerata un merito, uno svago, una debolezza, un difetto, un peccato, un crimine. Ora discutiamo sulle convivenze fra amici e amanti, omosessuali e non. E' un problema della nostra cultura, ma cosa c'entra il "naturale" ?

Da sempre i genitori hanno cercato di influire sulla nascita, con pratiche anticoncezionali o abortive, cercando di selezionare i geni del coniuge (attraverso il colore degli occhi o della pelle, l'albero genealogico, il reddito), affidando il concepimento alle credenze magiche; ma anche con l'infanticidio dei figli perchè disabili, di un sesso sgradito, di dubbia paternità o solo in soprannumero. Il rapimento e la riduzione in schiavitù, e l'adozione forzata o la vendita di neonati e bambini (da Mosè alla guerra civile americana) sono stati considerati per secoli un diritto "naturale" del più forte. Oggi l'Occidente si interroga sulle possibilità di consentire nascite programmate e adozioni di coppie omosessuali: è una legittima esigenza culturale, ma cosa c'entra il "naturale" ?

Per tutto il Medio Evo si è discusso seriamente se la donna avesse "naturalmente" un'anima. Per circa tre secoli (dalla scoperta dell'america alla rivoluzione francese, ed oltre) si è discusso sulla esistenza di una naturale distinzione fra neri e animali. Il nazismo sosteneva che in natura esistevano razze inferiori e superiori.

Per secoli la morte è stata data o subita con la massima indifferenza, non solo come pena di stato, ma anche come sistema di regolazione delle dispute interpersonali, o come suicidio. Per secoli (come oggi in molte parti del pianeta) la morte è giunta prestissimo, per violenza, per denutrizione, per vecchiaia. La cura era ridotta ai minimi livelli e l'eutanasia, intesa come abbandono del morente a se stesso, era pratica normale. In certe culture il moribondo si allontana dalla comunità, per morire in solitudine (come avviene per molti animali). Oggi abbbiamo raggiunto la possibilità di mantenerci in uno stato artificiale virtualmente immortale. E' tecnicamente possibile tenere in funzioni minime un corpo per un tempo illimitato, se si può pagarne il costo. Quando muoriamo? chi lo decide?: è un ineludibile problema culturale, ma cosa c'entra il "naturale" ?

PostScriptum

A seconda delle convenienze dialettiche viene avvicinato al mito del "naturale", un'altra parola usata ambiguamente, come arma d'accusa o difesa: eugenetica. Il termine viene usato per la prima volta nella storia dagli scienziati americani, e poi adottato dai nazisti, per indicare un intervento dello Stato nei processi di programmazione e dunque selezione delle nascite e della razza.

La parola chiave non è intervento, perchè i padri e le madri sono sempre intervenuti nel processo di generazione, allo scopo di selezionare e migliorare la progenie: la difesa del "sangue" in molti ceti è in voga ancora oggi.
La parola chiave è Stato. Se un individuo persegue l'eugenetica per se stesso, e con metodi legali, siamo nella strada percorsa dallo sviluppo culturale democratico . Se è lo Stato a perseguire l'eugenetica con leggi più o meno considerate "etiche", siamo nell'ambito del totalitarismo.

Nessuno può uccidere nessuno. Mai. Nemmeno per difendersi.