IL CORAGGIO DI NEGOZIARE E L’EQUIVOCO DELL’ONORE
(Ektor Georgiakis)

Gli animali non fanno guerre. Predano, in genere altre specie,  per sopravvivere. All’interno della specie, confliggono per l’altro sesso, per il territorio, per la leadership sul branco, per difendere la prole. Questi conflitti sono tuttavia per solito simbolici, a volte al “primo sangue”a volte senza neppure contatto fisico. Appena risulta chiaro che uno dei due avversari non è più debole, ma più forte o alla pari, il combattimento si spegne e i due si allontanano. Il mondo animale non dispone di capacità superiori, dunque non può negoziare. Vince il più forte, ma il debole non deve necessariamente essere eliminato: si ritira.

La specie umana ha inventato l’omicidio individuale per motivi diversi dalla sopravvivenza. La specie umana è l’unica specie che pratica  la guerra cruenta (una sorta di omicidio di massa). Come antidoti all’omicidio e alla guerra, la specie umana ha inventato l’arbitrato, la giustizia, e la negoziazione. L’arbitrato è un sistema di prevenzione, usato a livello privato ma a volte anche nei conflitti fra Stati. I contendenti sottopongono la disputa ad un terzo soggetto (singolo o collettivo) per evitare il ricorso alla violenza. La giustizia è un metodo “riparatorio” intracomunitario: vi si ricorre dopo che un diritto è stato violato, e funziona solo nei conflitti contro singoli soggetti. I tentativi finora sperimentati di una giustizia fra Stati si sono rivelati inadeguati. La negoziazione o trattativa  è un sistema sia preventivo che successivo, usato a livello interindividuale e interstatale. I soggetti in conflitto, prima o dopo aver fatto ricorso alla violenza, nella consapevolezza di una parità di forze o di un danno inaccettabile che la parte più debole può infliggere alla più forte, negoziano concessioni e rinunce reciproche. La civilizzazione umana si vanta di avere storicamente sostituito il ricorso all’omicidio individuale o di massa, col ricorso a modelli di arbitrato, giustizia o negoziazione. 

Quando uno dei contendenti  è talmente forte da poter annientare l’altro, l’umano ed il ferino si omologano. Il più forte prende il sopravvento sul più debole. La specie umana ha la colpa di avere reso l’omicidio ed il genocidio modalità abituali di gestione del conflitto.  Nelle diverse civilizzazioni pre-umanistiche  erano frequenti i casi di annientamento oltre che di un singolo “colpevole” o competitore , anche della sua famiglia, tribù, o popolo. L’omicidio o lo sterminio di massa avevano come unica alternativa la riduzione in schiavitù. La sola via di scampo all’omicidio, nel caso di un totale squilibrio fra forte e debole, era la totale sottomissione del secondo al primo, e la rinuncia ad ogni tipo di conflitto, competizione o “reato”.

In forme simboliche o mistificate, la logica dell’annientamento del più debole ad opera del molto più forte vige ancora oggi. Basta vedere come finisce un soggetto debole che intenta una causa giudiziale contro uno molto più forte. O come viene distrutta una piccola impresa che compete con una multinazionale. O come viene annientato -con guerre economiche, dazi ed embarghi - un piccolo Stato che contrasta una grande potenza. La scelta più diffusa resta ancora quella della rinuncia a conflitti, competizioni o reati.

Spesso tuttavia il rapporto di forza fra contendenti non è così squilibrato. Al fine di limitare spargimenti di sangue fra soggetti a forze equivalenti, la civilizzazione moderna ha dunque esteso le aree di ricorso all’arbitrato, alla giustizia, alla negoziazione. Nei rapporti privati, gli Stati hanno avocato a sé l’uso legittimo della forza, rendendo illegale il ricorso alla “giustizia” privata ma anche molte forme di arbitrato e negoziazione, come nei casi di reati penali. I familiari di una donna violentata non possono “giustiziare” l’aggressore; coloro che subiscono un furto non possono punire il ladro; il datore di lavoro scorretto non può essere aggredito dal lavoratore che ha subito il torto. I parenti del sequestrato non possono negoziare coi rapitori, i negozianti non possono ricorrere all’arbitrato del capo-mafia locale contro gli estorsori. Ciò malgrado, l’area di illegalità è molto diffusa o tollerata in tutti i Paesi civilizzati. Faide familiari, delitti d’onore, omicidi commessi contro rapinatori sono ancora molto diffusi e, in caso di giudizio, spesso costituiscono attenuanti. Ciò nonostante, solo pochi  considerano “eroico” chi uccide il violentatore, il competitore delinquente, il rapinatore, o il sequestratore. 

La questione è più ambigua nei casi di conflitti fra Stati. La Modernità ha avuto il beneficio di rendere meno pesanti le differenze di peso fra Stati, per via dell’onnipresenza dei mass media, del reticolo di interessi commerciali, economici e politici fra nazioni, e della tecnologia.  La pervasività dei media, unità alla maggiore sensibilità della razza umana, rende oggi meno facile  e frequente (anche se non impossibile)  il genocidio. Il reticolo di interessi fra Stati è la conseguenza della crescente globalizzazione e diventa un fattore di maggiore forza anche dei Paesi più deboli. Infine la tecnologia è un forte riduttore delle differenze di forza. Avere reso portatile la bomba atomica,  e di facile eperibilità gli esplosivi, le armi pesanti e le armi chimiche o biologiche ha messo in grado ogni insignificante piccolo gruppo di uomini di costituire una seria minaccia per uno Stato forte.

Tutte le guerre della prima metà XX secolo, anche quando si sono concluse con vincitori ed vinti (come la I e II guerra mondiale), non si sono tradotte nell’annientamento degli Stati sconfitti.  E tutte le guerre della seconda metà del secolo non hanno nemmeno avuto un vincitore chiaro e definitivo. Il XX secolo è stato il secolo dei grandi bagni di sangue. Ma tutt’al più sono stati eliminati i regimi, mai i popoli. L’Olocausto è stato il tentativo più vistoso di annientamento di un popolo, per fortuna interrotto. Tutte le contese del XX secolo, per quanto sanguinose, si sono concluse con un negoziato fra gli avversari. La trattativa seguente ad un aspro conflitto economico e bellico non ha mai azzerato le richieste della parte sconfitta o più debole. Intanto perché la coscienza moderna rifiuta il genocidio e la schiavitù, ma anche perché uno Stato sconfitto resta pur sempre un mercato economicamente sfruttabile. La non totale umiliazione dell’Italia e della Germania da parte dei vincitori della II guerra mondiale, anzi l’averli aiutati nella ripresa, non solo ha reso agli Alleati un’immagine ancora oggi positiva, ma ha loro offerto mercati enormi che hanno contribuito alla crescita della ricchezza e del potere dei vincitori.

L’assenza di un sistema globale di giustizia, fa del terreno planetario una giungla dei rapporti fra Stati, dove vige la regola del più forte, sia pure mediante sistemi vincolati dalla coscienza popolare, dagli intrecci di interessi e dalla tecnologia dell’opposizione. Nei rapporti fra Stati continuano ad essere legali tutti quei comportamenti che a livello intrastatale sono considerati illegali: dallo spionaggio all’omicidio individuale, dal ricatto al sequestro, dal  monopolio alla strage. Poiché tuttavia la civilizzazione  moderna e post-moderna sono fondate sull’Illuminismo razionalista, pochi accetterebbero l’idea che tutto ciò sia fatto per meri interessi di singoli, gruppi o Stati. Come mai chi uccide il violentatore della sorella, da pochi è considerato un eroe e dalla maggioranza un criminale (sia pure con attenuanti), mentre l’esercito che “risponde” con le armi all’offesa verso uno Stato è considerato “eroico”? La risposta sta nell’ideologia dell’onore, che, azzerata nei rapporti individuali, è peculiare nei rapporti fra Stati. 

Uno Stato che subisce un’offesa  grave -o che ritiene di averla subita- reagisce aggredendo un altro Stato che ha portato l’offesa o che ha appoggiato chi l’ha fatta. Esattamente come nel privato, il singolo che subisce un’offesa grave va e uccide il colpevole, magari coi parenti ed i vicini di casa.. Solo che nel caso dello Stato questa risposta è considerata virile, eroica, dignitosa, ed i militari che vengono inviati a sancire “l’orgoglio” nazionale sono definiti “martiri”. In verità simili reazioni sono un mero retaggio barbarico, la cui crudeltà è evidente nella non distinzione fra colpevoli e innocenti, e la cui futilità è dimostrata dall’inevitabile negoziazione che conclude il conflitto. In cosa risiede l’eroismo di chi usa le armi, per aggredire o anche per difendersi da un aggressore? Eroico è semmai chi riesce, senza gesti sanguinari, a negoziare una soluzione del conflitto, anche a costo di essere ucciso. E la dignità di un popolo risiede nella sua capacità di gestire in modo simbolico –cioè negoziando-  tutti i conflitti, sia interni che esterni.

Il caso del triste 11 settembre è emblematico di questa concezione primitiva dell’onore. Va premesso che non è ancora chiarito se l’attentato alle Twin Towers sia stata una crudele strage operata  dal solo estremismo islamico, o non piuttosto l’ennesimo complotto perpetrato da oscuri gruppi di potere statunitensi. Lo stesso dubbio già autorevolmente affacciato nella vicenda dell’attacco giapponese a Perl Harbour. Va anche premesso che è oggetto di dibattito se la strage dell’11 settembre vada considerata un attacco proditorio dell’estremismo islamico all’Occidente, o invece una risposta criminale ai numerosi torti che da decenni l’Occidente perpetra verso l’Islam.

Partiamo dalla tesi che la strage sia stata un attacco criminale del terrorismo islamico contro un Occidente pacifico e innocente. Esattamente come nel caso di una strage familiare perpetrata senza fondati motivi. La reazione degli Usa prima e di molta parte dell’Occidente poi è stata basata sulla vendetta, la ritorsione, la faida. Prima col bombardamento a tappeto dell’Afghanistan, poi con la guerra all’Iraq, gli Usa come Stato offeso hanno prodotto un bagno di sangue –anche di molti innocenti. Ma tale strage reattiva non è stata chiamata come doveva, e cioè vendetta biblica o medievale (in ogni caso barbarica e pre-moderna) oppure difesa ed espansione degli interessi coloniali, bensì difesa dell’orgoglio e dell’integrità nazionale, e, più ancora, dell’intero Occidente. Il ricorso esplicito o implicito al concetto di “onore” è fatto di continuo dai sostenitori dell’occupazione angloamericana, e della permanenza delle sfortunate truppe italiane, in Iraq. Accettare una strage, anche meramente criminale, come un motivo di riflessione e una spinta alla ricerca della giustizia o del negoziato è considerato “disonorevole” dagli Stati, non diversamente che dalla cultura mafiosa.  Attaccare con armi potentissime due interi popoli “straccioni”, è considerato atto di coraggio, e morire in questi attacchi viene definito “martirio”. E’ difficile considerare coraggiosa una reazione armata. Come è difficile considerare coraggioso un attentato contro civili. Ci vuole meno coraggio nel farsi giustizia da sé, che nel pragmatico negoziare.

La “guerra” fra Occidente ed estremismo islamico finirà, come tutte le guerre del XX secolo, con un negoziato. Tutti i morti, tutte le distruzioni, tutto il dolore provocati da questa guerra barbarica del “taglione”, saranno stati l’inutile sacrificio sull’altare della retorica dell’onore. Il vero atto di eroismo e di orgoglio oggi sarebbe quello di negoziare, con l’estremismo islamico, sulla base di un reciproco riconoscimento del diritto ad esistere ed essere diversi, sulla stesso pianeta. Aldilà delle forme, è noto cosa chiedono gli estremisti islamici. Alcune delle loro richieste, come la soppressione dello Stato di Israele,  non possono essere accettate, ma altre potrebbero esserlo: per esempio l’abbandono di ogni base militare straniera dal suolo islamico.

Il coraggio di negoziare è la capacità di un’umanità matura, uscita dagli arcaismi di concetti come vendetta, punizione, ritorsione, onore. Negoziare è gestire il conflitto in modo simbolico, prima che scorra il sangue…come fanno gli animali, solo con più intelligenza.

 

Nessuno può uccidere nessuno. Mai. Nemmeno per difendersi.