copertina I,1, 5 agosto 1938

Documento imperdibile, soprattutto per quanto riguarda l'elenco dei "baroni" e delle banche e delle imprese finanziatrici, oggi riciclate nella beneficienza e nei bla bla sulla "finanza etica".

Educare all'odio (Fonte)
Valentina Pisanty

"Difesa della Razza", la rivista più nota del razzismo fascista, uscita con cadenza quindicinale dall’agosto 1938 al giugno 1943 sotto gli auspici del Ministero della Cultura Popolare. Nata con l’intento di dare una legittimazione scientifica al razzismo e all’antisemitismo, "La difesa della razza" rappresenta un caso particolarmente vistoso delle aberrazioni che possono scaturire dall’intreccio tra "educazione" e persuasione.

 

 

1. La rivista
Della parabola editoriale di questa rivista si sa piuttosto poco, poiché – a quanto ci risulta – "La difesa della razza" non è ancora stata fatta oggetto di studi storici approfonditi. Non esiste una ricostruzione complessiva che riveli i meccanismi redazionali della rivista, i suoi rapporti con il potere, i conflitti tra i vari collaboratori, il ruolo dei finanziatori (tra cui figurano i nomi di grandi industrie, banche e compagnie assicurative), l’effetto che la rivista ebbe sull’opinione pubblica, e così via. Questa lacuna storiografica è sorprendente, se si pensa che la rivista giocò un ruolo rilevante nella definizione del "problema razziale" in Italia e nella diffusione della propaganda razzista negli anni cruciali della persecuzione antiebraica.

Sul perché non vi siano ricerche specifiche sulla "Difesa della razza" si potrebbe avanzare qualche ipotesi. Una possibile spiegazione è quella indicata da Mauro Raspanti1, secondo il quale gli italiani non hanno ancora fatto veramente i conti con l’aspetto più scomodo del proprio passato fascista, e cioè con il razzismo e l’antisemitismo. Sia che il razzismo fascista venga condannato con formule esorcistiche ("esecrabile", "infame" ecc.), sia che venga neutralizzato con interpretazioni consolatorie (il razzismo "all’italiana", "blando" ecc.), finora la tendenza è stata di sorvolare piuttosto sbrigativamente su questo capitolo ingombrante della storia italiana.

Sfogliando le pagine della "Difesa della razza", si rimane sconcertati di fronte alla parata di stereotipi razzisti (ce n'è veramente per tutti: ebrei, africani, slavi, "bastardi" – nel senso di "meticci" -, ma anche donne, malati di mente, handicappati e "asociali"), supportati da spiegazioni pseudo-antropologiche circa la presunta scientificità del concetto di "razza", e dell’idea correlata che sia possibile fissare una gerarchia delle "razze" e delle "sottorazze". Chi ha memoria diretta del Ventennio non si stupirà di vedere come, nella "Difesa della razza", gli ebrei venissero sistematicamente dileggiati e definiti come "gli eterni parassiti" ai quali imputare turpitudini di ogni genere, dall’uccisione rituale dei bambini alla degenerazione dell’arte (v. Chagall) e della scienza (v. Einstein). Ma forse per chi è nato dopo, e non ha molta familiarità con le strategie persuasive tipiche della propaganda di regime, la lettura del dossier potrà risultare abbastanza istruttiva, se non altro per affinare le proprie capacità di riconoscere le radici ideologiche delle forme più attuali (e retoricamente più subdole) del discorso razzista.

2. Cenni sulla storia editoriale della "Difesa della razza"
Le circostanze della nascita della "Difesa della razza" ci sono note grazie a una lettera che il giovane antropologo Guido Landra, uno dei redattori della rivista, inviò a Mussolini il 27 settembre 1940 per eccepire al proprio allontanamento dal Ministero della Cultura Popolare2. Nella sua missiva, Landra ricorda come, nel febbraio del 1938, dopo avere letto alcuni suoi appunti sul razzismo, Mussolini lo convocò – tramite il ministro Alfieri – e lo incaricò di costituire un comitato per lo studio e per l’organizzazione della campagna razziale. Il 24 giugno Mussolini ricevette personalmente Landra, illustrandogli dettagliatamente la propria posizione circa la questione razziale, e ordinandogli di creare un Ufficio Studi sulla razza con l’obiettivo di mettere a punto entro pochi mesi "i punti fondamentali per iniziare la campagna razziale in Italia".

Landra si mise all’opera e, attenendosi pedissequamente alle direttive fornitegli da Mussolini durante il loro colloquio, redasse un decalogo destinato a diventare il famoso "Manifesto della razza" (o Carta della Razza). Il 14 luglio 1938 il testo fu pubblicato anonimo, con qualche minima correzione, sul "Giornale d’Italia". Solo successivamente, Landra fu incaricato di mettere insieme un comitato di dieci "studiosi" (scienziati ideologicamente allineati con il regime), i quali accettarono di figurare come firmatari del Manifesto della razza, successivamente ripubblicato nel primo numero della "Difesa della razza" (uscito il 5 agosto 1938).

Il gruppo dei firmatari non era però del tutto compatto, poiché al suo interno circolavano teorie razziste contrastanti. In particolare, Nicola Pende e Sabato Visco sostenevano un "nazional-razzismo" teso a combinare la nozione biologica di razza con quella culturale-spirituale di nazione (o di stirpe), laddove gli altri firmatari aderivano a un razzismo puramente biologico che escludeva l’importanza dei fattori storico-culturali. Come vedremo in uno dei prossimi numeri del nostro dossier, dedicato per l’appunto alle definizioni fasciste di razza, l’estremizzazione del razzismo biologico creava qualche imbarazzo a coloro che tentavano di dimostrare la presunta purezza della razza italiana su basi strettamente genetiche. Nel corso degli anni, la posizione ufficiale del regime oscillò tra i diversi approcci, suscitando lotte intestine tra i teorici del razzismo in competizione per ottenere l’approvazione e i favori di Mussolini.

Ad ogni modo, fu attorno al nucleo degli assertori del razzismo biologico che si costituì il comitato di redazione della "Difesa della razza". A Telesio Interlandi, direttore del quotidiano fascista "Il Tevere", venne affidata la direzione della rivista, e – dal quarto numero in poi – Interlandi fu affiancato dal giovane segretario di redazione Giorgio Almirante, già suo collaboratore ai tempi del "Tevere". Tutti i redattori (Landra, Cipriani, Franzì, Ricci, Businco), facevano parte del gruppo dei firmatari del Manifesto razzista, ripubblicato a pag. 1 del primo numero.

È difficile stabilire quanto fosse grande l’effettiva influenza della "Difesa della razza" sull’opinione pubblica. Un fascicolo conservato nell’Archivio di Stato di Roma3 (Ministero della Cultura Popolare) ci informa che la tiratura della rivista passò dalle 140-150.000 copie dei primi numeri alle 19-20.000 copie del periodo luglio-novembre 1940 (delle quali circa 9.000 distribuite come omaggi o per abbonamenti); questo dato suggerisce che – smaltito l’entusiasmo iniziale – "La difesa della razza" cadde un po’ nel dimenticatoio. Si sa, inoltre, che Giuseppe Bottai firmò una circolare ministeriale in cui ne sollecitava l’acquisto e la lettura a tutte le scuole del Regno: ma questi pochi dati sono insufficienti per stabilire se le tesi estremistiche della rivista suscitassero l’approvazione, l’indifferenza o la diffidenza dei lettori. Né si può fare eccessivo affidamento sull’autenticità delle missive dei lettori (raccolte nella sezione "Questionario" all’interno di ciascun numero della rivista), dalle quali emergerebbe che spesso i destinatari della rivista erano ancora più zelanti dei redattori nel denunciare gli effetti del cosiddetto "imbastardimento della razza italiana".

Resta comunque il fatto che "La difesa della razza" fu uno dei principali organi dell’antisemitismo e del razzismo fascista, le cui conseguenze sul piano pratico non tardarono a farsi avvertire: già nel novembre del 1939 vennero pubblicate le deliberazioni del Consiglio dei Ministri per escludere gli ebrei dalla vita pubblica e dalla scuola, e per espellere gli ebrei stranieri dal territorio italiano.

2 Mauro Raspanti, op. cit.
3 Catalogo della mostra La menzogna della razza, Bologna: Grafis, 1994: p. 231

3. Il "Manifesto del razzismo italiano"
Il Manifesto della razza fu stilato da Guido Landra su indicazioni di Mussolini, e successivamente firmato da un comitato di dieci "studiosi razzisti".

Ecco l'elenco dei firmatari:
Lino Businco
, assistente di Patologia generale all’Università di Roma;
Lidio Cipriani, professore di Antropologia all’università di Firenze;
Arturo Donaggio, direttore della clinica neuropsichiatrica dell’Università di Bologna, presidente della Società italiana di psichiatria;
Leone Franzì, assistente nella clinica pediatrica dell’Università di Milano;
Guido Landra, assistente di Antropologia all’università di Roma;
Luigi Pende, direttore dell’Istituto di Patologia speciale medica dell’Università di Roma;
Marcello Ricci, assistente di Zoologia all’Università di Roma;
Franco Savorgnan, ordinario di Demografia all’Università di Roma, presidente dell’Istituto centrale di Statistica;
Sabato Visco, direttore dell’Istituto di Fisiologia generale all’Università di Roma
Edoardo Zavattari, direttore dell’Istituto di Zoologia all’Università di Roma

"1) LE RAZZE UMANE ESISTONO. La esistenza delle razze umane non è già una astrazione del nostro spirito, ma corrisponde a una realtà fenomenica, materiale, percepibile con i nostri sensi. Questa realtà è rappresentata da masse, quasi sempre imponenti di milioni di uomini simili per caratteri fisici e psicologici che furono ereditati e che continuano ad ereditarsi. Dire che esistono le razze umane non vuol dire a priori che esistono razze umane superiori o inferiori, ma soltanto che esistono razze umane differenti

2) ESISTONO GRANDI RAZZE E PICCOLE RAZZE. Non bisogna soltanto ammettere che esistano i gruppi sistematici maggiori, che comunemente sono chiamati razze e che sono individualizzati solo da alcuni caratteri, ma bisogna anche ammettere che esistano gruppi sistematici minori (come per es. i nordici, i mediterranei, ecc.) individualizzati da un maggior numero di caratteri comuni. Questi gruppi costituiscono dal punto di vista biologico le vere razze, la esistenza delle quali è una verità evidente

3) IL CONCETTO DI RAZZA È CONCETTO PURAMENTE BIOLOGICO. Esso quindi è basato su altre considerazioni che non i concetti di popolo e di nazione, fondati essenzialmente su considerazioni storiche, linguistiche, religiose. Però alla base delle differenze di popolo e di nazione stanno delle differenze di razza. Se gli Italiani sono differenti dai Francesi, dai Tedeschi, dai Turchi, dai Greci, ecc., non è solo perché essi hanno una lingua diversa e una storia diversa, ma perché la costituzione razziale di questi popoli è diversa. Sono state proporzioni diverse di razze differenti, che da tempo molto antico costituiscono i diversi popoli, sia che una razza abbia il dominio assoluto sulle altre, sia che tutte risultino fuse armonicamente, sia, infine, che persistano ancora inassimilate una alle altre le diverse razze

4) LA POPOLAZIONE DELL'ITALIA ATTUALE È NELLA MAGGIORANZA DI ORIGINE ARIANA E LA SUA CIVILTÀ ARIANA. Questa popolazione a civiltà ariana abita da diversi millenni la nostra penisola; ben poco è rimasto della civiltà delle genti preariane. L'origine degli Italiani attuali parte essenzialmente da elementi di quelle stesse razze che costituiscono e costituirono il tessuto perennemente vivo dell'Europa

5) È UNA LEGGENDA L'APPORTO DI MASSE INGENTI DI UOMINI IN TEMPI STORICI. Dopo l'invasione dei Longobardi non ci sono stati in Italia altri notevoli movimenti di popoli capaci di influenzare la fisionomia razziale della nazione. Da ciò deriva che, mentre per altre nazioni europee la composizione razziale è variata notevolmente in tempi anche moderni, per l'Italia, nelle sue grandi linee, la composizione razziale di oggi è la stessa di quella che era mille anni fa: i quarantaquattro milioni d'Italiani di oggi rimontano quindi nella assoluta maggioranza a famiglie che abitano l'Italia da almeno un millennio

6) ESISTE ORMAI UNA PURA "RAZZA ITALIANA". Questo enunciato non è basato sulla confusione del concetto biologico di razza con il concetto storico-linguistico di popolo e di nazione ma sulla purissima parentela di sangue che unisce gli Italiani di oggi alle generazioni che da millenni popolano l'Italia. Questa antica purezza di sangue è il più grande titolo di nobiltà della Nazione italiana

7) È TEMPO CHE GLI ITALIANI SI PROCLAMINO FRANCAMENTE RAZZISTI. Tutta l'opera che finora ha fatto il Regime in Italia è in fondo del razzismo. Frequentissimo è stato sempre nei discorsi del Capo il richiamo ai concetti di razza. La questione del razzismo in Italia deve essere trattata da un punto di vista puramente biologico, senza intenzioni filosofiche o religiose. La concezione del razzismo in Italia deve essere essenzialmente italiana e l'indirizzo ariano-nordico. Questo non vuole dire però introdurre in Italia le teorie del razzismo tedesco come sono o affermare che gli Italiani e gli Scandinavi sono la stessa cosa. Ma vuole soltanto additare agli Italiani un modello fisico e soprattutto psicologico di razza umana che per i suoi caratteri puramente europei si stacca completamente da tutte le razze extra-europee, questo vuol dire elevare l'italiano ad un ideale di superiore coscienza di se stesso e di maggiore responsabilità

8) È NECESSARIO FARE UNA NETTA DISTINZIONE FRA I MEDITERRANEI D'EUROPA (OCCIDENTALI) DA UNA PARTE E GLI ORIENTALI E GLI AFRICANI DALL'ALTRA. Sono perciò da considerarsi pericolose le teorie che sostengono l'origine africana di alcuni popoli europei e comprendono in una comune razza mediterranea anche le popolazioni semitiche e camitiche stabilendo relazioni e simpatie ideologiche assolutamente inammissibili

9) GLI EBREI NON APPARTENGONO ALLA RAZZA ITALIANA. Dei semiti che nel corso dei secoli sono approdati sul sacro suolo della nostra Patria nulla in generale è rimasto. Anche l'occupazione araba della Sicilia nulla ha lasciato all'infuori del ricordo di qualche nome; e del resto il processo di assimilazione fu sempre rapidissimo in Italia. Gli ebrei rappresentano l'unica popolazione che non si è mai assimilata in Italia perché essa è costituita da elementi razziali non europei, diversi in modo assoluto dagli elementi che hanno dato origine agli Italiani

10) I CARATTERI FISICI E PSICOLOGICI PURAMENTE EUROPEI DEGLI ITALIANI NON DEVONO ESSERE ALTERATI IN NESSUN MODO. L'unione è ammissibile solo nell'ambito delle razze europee, nel quale caso non si deve parlare di vero e proprio ibridismo, dato che queste razze appartengono ad un ceppo comune e differiscono solo per alcuni caratteri, mentre sono uguali per moltissimi altri. Il carattere puramente europeo degli Italiani viene alterato dall'incrocio con qualsiasi razza extra-europea e portatrice di una civiltà diversa dalla millenaria civiltà degli ariani."


4. Teorie e pratica
Nel suo editoriale, uscito a pagina 1 del primo numero della "Difesa della Razza" (5 agosto 1938), Telesio Interlandi enuncia gli intenti ideologici della nuova rivista: divulgare la dottrina del razzismo biologico, fondato sul valore del sangue (anche se viene fatta qualche concessione al "nazional-razzismo", che esalta il "genio" della razza), polemizzare con "le forze che si oppongono al razzismo italiano" (evidentemente identificate con l’ebraismo), e indicare come si possano distruggere tali forze occulte.

"Questa rivista nasce al momento giusto. La prima fase della polemica razzista è chiusa, la scienza si è pronunciata, il Regime ha proclamato l’urgenza del problema. Si può fare qualcosa di utile chiarendo agli Italiani non i termini di una dottrina, che ha trovato ormai la sua più semplice ed efficace formulazione, ma la sua irrevocabile necessità e la sua vasta portata. Con la conquista dell’Impero, con l’assunzione, cioè, di sempre maggiori responsabilità storiche, l’Italia deve dare al problema razziale la preminenza che gli spetta sia dal punto di vista strettamente biologico, sia da quello del costume. L’Italia di ieri, rimorchiata da forze estranee al suo particolare genio verso compiti estranei alla sua vocazione, poteva ignorare il razzismo e giudicarlo anacronistico; non potrebbe l’Italia fascista rifiutarsi di considerare e di affermare se stessa come potente e sicura unità razziale nel momento in cui numerose genti diverse sono passate sotto il suo dominio ed esigono una ferrea sistemazione gerarchica nel quadro dell’Impero; mentre un razzismo antichissimo ed aggressivo, il più feroce e delirante razzismo teologico, l’ebraismo, minaccia apertamente la società umana e tenta di asservirla ai suoi inammissibili fini, con la complicità di popoli e di partiti miseramente corrotti. L’intima logica del Fascismo porta all’esaltazione del concetto di razza; e, più che del concetto, dei valori concreti della razza, valori biologici ed etnici, sangue e genio, coi quali si costruisce in concreto l’avvenire del popolo italiano, nella immensa impresa che Mussolini conduce: restituire all’Italia il suo volto, la sua forza e la sua missione nel mondo.

Questa rivista, pur avendo stretta unità di concezione e di ispirazione, si divide in sezioni, quanti sono i settori nei quali il razzismo italiano condurrà la sua opera: scienza, documentazione, polemica. Noi divulgheremo qui, con l’aiuto di camerati studiosi delle varie discipline attinenti al problema, i concetti fondamentali su cui si fonda la dottrina del razzismo italiano; e dimostreremo che la scienza è con noi; perché noi siamo con la vita, e la scienza non è che la sistemazione di concetti e di nozioni nascenti dal perenne fluire della vita dell’uomo. Anche la scienza ha la sua morale, ed è una morale umana.

Noi faremo della documentazione; la quale ci darà modo di dimostrare quali sono le forze che si oppongono all’affermazione d’un razzismo italiano, perché si oppongono, da chi sono mosse, che cosa valgono, come possono esser distrutte e come saranno distrutte.

E faremo, infine, della polemica. Vale a dire combatteremo contro le menzogne, le insinuazioni, le deformazioni, le falsità, le stupidità che accompagneranno questa affermazione fascista dell’orgoglio razziale, questa liberazione dell’Italia dai caratteri remissivi che le furono imposti, questa superba restituzione del suo vero volto per tanto tempo ignorato. La polemica sarà il sale nel pane della scienza, quindicinalmente spezzato.

Ci assiste, in questa impresa, la volontà mussoliniana di "tirare diritto"; la solidarietà del Partito, che già sviluppa una risoluta azione attraverso la sua potente e precisa organizzazione centrale e periferica; e l’orgoglio di razza, che è "chiara onnipresente coscienza di razza".


5. L'orrore della mescolanza
Nel suo articolo intitolato Razzismo (Anno I, numero 1: pp. 12-13), di cui riportiamo solo il primo e l’ultimo paragrafo, l’antropologo Lidio Cipriani esorta gli italiani ad aderire entusiasticamente al razzismo biologico per giungere finalmente a "utilizzare a scopi sociali quanto di meglio sappiamo sulle differenze innate delle razze italiane". Lungi dall’essere una dottrina astrattamente teorica, il razzismo postulato da Cipriani aveva dei risvolti pratici immediati. A questo proposito, riportiamo le immagini – tratte dal numero II, 2 – pp. 24-25 – in cui vengono raffigurate, con stile caricaturale, le deliberazioni prese dal consiglio dei ministri per escludere gli ebrei dalla vita pubblica e dalla scuola, e per espellere gli ebrei stranieri dal territorio italiano.

II,2, 20 nov.1939, pp. 24-25. Ingrandisci l'immagine

"Razzismo"
"La decisa presa di posizione degli studiosi fascisti a riguardo dei problemi di razza è stata salutata, non vi è dubbio, con sincero entusiasmo da tutti gli italiani. Era tempo, difatti, che anche da noi si prendessero a scrutare con superiori propositi le qualità insite per motivi biologici nella nostra gente e si promovesse un movimento per convincere la generalità dei cittadini degli eccelsi motivi per cui è doveroso tramandare codeste qualità inalterate o se possibile migliorate; che ognuno, inoltre, fin nei più bassi ceti, venisse edotto di cosa rappresenti quale entità biologica, per indurlo nelle più svariate circostanze a comportarsi senza ledere la dignità di razza: di quella grande razza a cui non per caso "tanto deve la civiltà di tutti i continenti".
[…]
L’idea di razza fondata in prevalenza sui dati psichici, secondo quanto fecero Buffon, Linneo e Kant, ricevè attenzione notevole da scrittori di vario genere, fra cui storici e perfino romanzieri. Le polemiche sorsero vivaci e talvolta brillanti, ma siccome attinsero malamente dall’etnologia e dalla storia, fecero passare a poco a poco le discussioni dal campo biologico a quello soltanto culturale. I veri biologi nel frattempo tacquero. Senza accorgersene si giunse così ad una accettazione elastica della parola eredità, applicata per spiegare nei popoli la trasmissione di costumi e magari di idee spicciole: si confuse, insomma, tra eredità biologica e eredità sociale. Di conseguenza, il razzismo iniziale fu perso di vista e dimenticato. Occorre ritornarvi coi lumi propri della scienza odierna e finalmente utilizzare a scopi sociali quanto di meglio sappiamo sulle differenze innate delle razze umane."


Lidio Cipriani, Incaricato di Antropologia
Nella R. Università di Firenze, Direttore del Museo nazionale di Antropologia, e di Etnologia di Firenze

***

L’articolo di Guido Landra, di cui riportiamo l’ultimo paragrafo, attribuisce le differenze dei "caratteri razziali" alla composizione dei gruppi sanguigni. Per i razzisti biologici la (presunta) purezza del sangue delle "razze ariane" va protetta dalle contaminazioni di un "immondo ibridismo" (come si evince dalle immagini e dalle didascalie tratte da un altro articolo di Landra – pp. 16-17 del primo numero).

Da: "La razza e le differenze razziali"
"Il sangue"

"Il concetto che il sangue di una razza umana sia diverso da quello di un’altra è molto diffuso anche tra le persone poco colte: questa opinione è basata su dati di fatto strettamente scientifici, che furono intuiti dai popoli prima ancora di essere noti agli scienziati. Lo studio dei gruppi sanguigni ha mostrato come le diverse razze siano differenti l’una dalle altre per una diversa percentuale di gruppi sanguigni. La distribuzione geografica dei gruppi sanguigni in un’area determinata si accompagna ad una simile distribuzione degli altri caratteri razziali. I gruppi sanguigni degli Italiani di una regione è molto simile ai gruppi sanguigni dei tedeschi, degli Svedesi e dei Norvegesi, segno evidente del comune sangue nordico. Viceversa i gruppi sanguigni degli ebrei in tutti i paesi d’Europasi staccano nettamente da quelli delle diverse popolazioni nazionali.
Si comprende così come anche la psiche degli uomini di diversa razza sia profondamente differente, dato che effettivamente gli uomini di razza diversa sono degli esseri diversi per intima struttura, formatasi per millenario processo di differenziazione ed evoluzione, ma ormai ben fissa e caratteristica per ogni razza.
Appare quindi come sia poco esatta la comune opinione che gli uomini siano biologicamente tutti uguali tra loro."


Prof. Dott. Guido Landra, Assistente di Antropologia nella R. Università di Roma

***

6. L'italianità
La celebrazione dell’italianità (o della "romanità") è un motivo ricorrente in tutti i numeri della Difesa della razza. In questo articolo, lo zoologo Edoardo Zavattari elenca quelle che per lui sono le caratteristiche psicologiche della "razza italiana".

Da: "Ambiente naturale e caratteri biopsichici della razza italiana"

"La razza italiana ha perciò queste caratteristiche biopsichiche, che sono sue ed esclusivamente sue; caratteristiche che gli sono state impresse dai fattori naturali ambientali. L’ambiente ha modellato la psiche dell’italiano, e poiché questo ambiente è unico e nessun altro paese al mondo ne possiede di eguali, così anche la razza che vive in questa nostra terra ha una sua impronta psicologica che le è esclusiva; più ancora dei tratti somatici, più ancora delle strutture morfologiche, la razza italiana ha una sua assoluta individualità psichica e spirituale: quella che l’ambiente le ha offerto, quella che la natura, così varia, così profonda, così stupenda, le ha impresso, dandole così il dono della serenità, della giocondità, della laboriosità, dandole quella cerebralità spirituale che è il culto del bello, della scienza, della filosofia, il culto della forma e il culto del pensiero, il culto soprattutto della sua unicità, della sua grandezza e del suo destino, che fanno perciò del popolo italiano un’unità razziale compatta, omogenea e completa."


Prof. Edoardo Zavattari, Direttore dell’Istituto di Zoologia della R. Università di Roma

***

Il primo numero della Difesa della razza termina con un articolo (anonimo) in cui l’autore si dichiara sbalordito del fatto che a Berlino circolino ancora degli ebrei. Siamo nel 1938.

Da: "Controllo del movimento culturale ebraico in Germania"

"L’elenco telefonico può essere un interessante riferimento per rilevare i peculiari sviluppi di determinate città. Chi a Berlino fosse attirato da questa specie di esame ed aprisse a caso l’elenco ove inizia la serie dei recapiti preceduti dall’aggettivo "Judische" (ebraico) sarebbe certo stupito – direi quasi sbalordito – nel constatare la quantità di spazio assorbito da queste denominazioni; 6 o 7 colonne certamente – circoli ebrei, biblioteche, cinema, ristoranti, birrerie, teatri, stabilimenti di produzioe cinematografica, ospedali, etc.
Ho accennato alla sorpresa di tale constatazione e ciò perché si ritiene generalmente che gli ebrei siano tutti scomparsi fisicamente dalla Germania, o sia almeno scomparso tutto quanto li poteva ricordare."



7. Consigli per gli acquisti
(Inserzioni pubblicitarie tratte dalla "Difesa della razza")


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Nessuno può uccidere nessuno. Mai. Nemmeno per difendersi.