Occidente contro Islam e  Buddismo:
uno scontro che non possiamo vincere
(Mircea Meti)

Il processo di "guerra al terrorismo" che sembra iniziato dopo l'11 settembre viene da lontano, ma non può vedere come futuro che la sconfitta dell'Occidente. La guerra al terrorismo è l'ultimo atto di un "cupio dissolvi" che è tipico di ogni epoca decadente, ma che è anche nel dna della cultura occidentale. La mitologia greca e biblica sono attraversate dalla morte e dall'omicidio, dalla guerra come dalla violenza più di quanto non appaia nelle mitologie delle civilizzazioni islamica e buddista. L'Occidente è fondato sulla cultura del "contro", del nemico, dell'estraneo da conquistare o combattere. Alessandro Magno arrivò a conquistare l'India, ma non si sono mai visti avamposti dell'Impero Celeste in Europa. La Chiesa ha cristianizzato, con le armi, l' intero sudamerica, ma non abbiamo casi di islamizzazione armata dell'Europa o di altri continenti. Le invasioni successive dell'Impero Ottomano non hanno mai preso la forma dell'assimilazione: gli arabi hanno occupato molte aree dell'Europa, ma senza la pretesa di convertirci. Non abbiamo notizia di Sante Inquisizioni o "auto da fé" dell'Islam.

L'Occidente ha inventato e lanciato la prima bomba atomica e sempre l'Occidente ha inventato ed usato i primi strumenti di distruzione di massa. Per avere mezzo secolo di pace l'Occidente ha dovuto creare un equilibrio del terrore atomico, ancora oggi  per nulla dissipato. Ora l'Occidente si appresta ad affrontare un altro mezzo secolo di guerra permanente al terrorismo. La bandiera della cristianizzazione, dietro le quali marciavano le armate spagnole e portoghesi, è stata sostituita prima dalla bandiera del "libero commercio" (su cui si è costruito l'Impero britannico, che è arrivato fino ad una sanguinosa guerra per imporre l'oppio alla Cina) ed oggi dalla bandiera della democrazia, dietro la quale marciano le armate anglo-americane.

La vita per l'Occidente sembra inscindibilmente legata al dominio violento ed alla morte dell'altro. In qualche modo sembra addirittura che la violenza e la morte dell'altro siano ciò che dà valore alla vita. La sola eccezione nella storia dell'Occidente è data da Cristo e dai martiri, la cui vita e la cui morte sono stati un messaggio antagonista. Che la vita assume valore dalla vita o, in casi estremi con la morte di sé, e non dell'altro. Cristo e i protocristani non hanno scelto né il terrorismo, né la difesa armata, né la guerra "preventiva". Hanno mostrato, col coraggio della propria morte che la violenza e la morte dell'altro non sono mai una opzione accettabile. L'eccezione paleocristiana è durata uno o due secoli. Prima e dopo  l'Occidente si è fondato sulla "legge del taglione", sulle guerre di conquista "manu militari", sulla assimilazione forzosa dell'Altro o sulla sua distruzione violenta.

Il motivo principale -non il solo, come vedremo- per cui lo scontro di civilizzazioni fra Occidente e Islam prima e Occidente e area "zen"   dopo, vedrà la nostra sconfitta è proprio nell'attribuzione di senso alla vita. La nostra  civilizzazione, che trova un senso alla vita nella morte dell'Altro, ha bisogno di un nemico ed è destinata alla guerra, ma può condurla solo difendendo la vita dei propri membri. La civilizzazione islamica dà un senso alla vita tanto maggiore attraverso il martirio. Anche se un martirio lontano da quello protocristiano, in quanto basato sulla logica violenta (vetero-testamentaria) del taglione: un morto per uno o più morti.  Gli islamici pronti a morire per Allah sono migliaia. La propria morte, che per gli occidentali è una sconfitta, per l'Islam è una vittoria. La nostra vita trae valore dal dominio e dalla morte dell'altro, e ne perde con la morte. Chi muore di morte violenta può essere rispettato o compatito, ma non avrà mai tanti onori come chi fa morire i nemici di morte violenta o li soggioga. L'olocausto ha creato stupore, oltre che per la crudeltà ed inumanità dei nazisti, anche per la passività e sottomissione degli ebrei. Accettare la morte, senza cercare di fare altrettanti -e magari anche di più- morti fra i nemici è inconcepibile per l'Occidente. Con l’ eccezione di Cristo e dei martiri cristiani, usati solo come bandiera da un Occidente mai uscito dalle barbariche mitologie dell'onore, della violenza e della guerra. Quando -non fra molto- si spiegherà appieno lo scontro fra Occidente e Islam, la civilizzazione che vuole vincere con l'eliminazione dell'Altro non potrà che essere tragicamente sconfitta dalla civilizzazione che sa vincere anche con la soppressione di sé. Se Bin Laden e Saddam Hussein non vengono uccisi, vincono. Se vengono  uccisi, vincono.

L'altra civilizzazione in agguato per il predominio sul pianeta è quella dell'area zen. Potrà trovare conveniente allearsi con l'Islam, per impedire una vittoria dell'Occidente; o aspettare che i due nemici si fiacchino l'un l'altro per emergere come potenza detentrice della leadership mondiale. Anche contro questa civilizzazione, l'Occidente non può vincere. Perché la civiltà zen dà scarso valore alla vita individuale, attribuendone molto alla vita globale. Per la cultura orientale la singola vita umana è una fase del ciclo naturale, una lieve increspatura del tutto. La morte di sé è insignificante come quella dell'Altro. La vittoria dell'Occidente consiste nel dominare o uccidere l'Altro, sopravvivendo. La vittoria della civiltà zen, non ha alcun bisogno della sopravvivenza. Non a caso il Giappone ha “inventato” i kamikaze, il Vietnam i bonzi suicidi col fuoco, e la Cina il sistema della “trincea di morti” per combattere.

La questione del valore dato alla vita si intreccia con un'altra questione cruciale: quella del materialismo e dell'economicismo. Per l'Occidente il valore deriva dalle cose , la proprietà, il danaro. Per l'Oriente, islamico o buddista, il valore poggia sull'immateriale. Il potere, l'onore, la religione, la natura,  la famiglia o la tribù  sono valori che l'Oriente antepone a quelli materiali. Questa constatazione spiega perché gli interventi umanitari -solitamente legati a questioni materiali non possono sostituire gli interventi orientati a rispettare l'autonomia e la diversità. Non importa quante tonnellate di derrate alimentari o medicinali vengono trasferite dall'Occidente all'Oriente, per ridurre all'impotenza regimi autoritari o contenere il terrorismo. Decisiva sarebbe solo la restituzione della sovranità politico-religiosa, l'autonomia dalle interferenze occidentali, la riduzione della volontà di assimilazione all'Occidente.

Coloro che, in buona fede, obiettano che non è giusto abbandonare interi popoli alla tirannia e ad usanze barbariche, possiamo replicare che questa posizione si fonda su una concezione coloniale, imperialista e autoritaria, per quanto mascherata da intenzioni solidaristiche. Questa posizione infatti non tiene conto del fatto che:

1.         fino a mezzo secolo fa anche l'Occidente praticava e teorizzava regimi tirannici ed usanze barbariche: totalitarismo, schiavismo, apartheid, segregazionismo, maschilismo, pena di morte, uso della tortura, linciaggio,  faide tribali, sono pratiche respinte solo dagli Anni Settanta in Occidente e neppure ovunque;

2.         molti regimi tirannici e molti usi barbarici sono stati inventati, supportati ed esportati dall'Occidente, non solo durante i secoli ma tutt'oggi (la stragrande maggioranza dei regimi totalitari sussistono con l'appoggio attivo dell'Occidente; il lavoro minorile viene sfruttato da multinazionali occidentali; la schiavitù dei neri nei campi di cotone è stata sostituita da quella delle donne nere sul mercato del sesso);

3.         ogni popolo può emanciparsi e cambiare solo mediante le proprie forze, ed ogni "aiuto" privo di caratteri fortemente emancipatori non fa che ridurre il potenziale autoctono di liberazione;

4.         ogni "aiuto" materiale perde valore se non è accompagnato dal totale rispetto per l'autonomia e la diversità del soggetto aiutato;

5.         la democrazia occidentale non può essere considerata la fine della storia, a meno di non attribuire ad essa lo statuto di nuova religione;

6.         la diversità dei popoli e delle civilizzazioni prevede diverse scelte autonome circa i modelli politici e sociali di convivenza.

 

 

 

Nessuno può uccidere nessuno. Mai. Nemmeno per difendersi.