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Come si valuta un politico o un governo? di Mircea Meti



I dibattiti televisivi pro o contro i governi sono beceri, isterici e irrazionali. Gli oppositori segnalano che il PIL aumenta solo dello 0,8% invece che dell'1%. I governativi si vantano di avere finanziato per x milioni di euro il tal comparto problematico. Il culmine dell'idiozia si registra quando una parte ricorda che quando governava l'altra le cose andavano peggio. Siccome negli ultimi 25 anni hanno governato tutti, si crea una ripetizione infinita su chi ha lasciato il Paese nelle peggiori condizioni. Il fatto è che nessuno fa uno sforzo per usare criteri ragionevoli di valutazione politica. Proviamo qui.

Il primo criterio di valutazione è che le parole sono retorica, e sono i risultati concreti quelli che contano. Non importa quello che un politico dice, ma solo quanto riesce a incidere sulle condizioni di vita della maggioranza della popolazione. I "predicatori" non hanno titolo per stare in un governo democratico, ma solo in uno totalitario. Importa poco anche se i politici operano "onestamente". I cittadini di una democrazia accetterebbero volentieri un politico che ruba o favorisce figli e nipoti, ma riesce a migliorare concretamente le loro condizioni di vita. Importa ancora meno quello che un politico fa nel privato. Un politico avviato alla santità, ma che non migliora in niente la vita dei cittadini, è solo un prodotto della retorica. Un politico che dimezza la disoccupazione, raddoppia l'occupazione, favorisce l'aumento sensibile del PIL, riduce vistosamente le diseguaglianze, fa funzionare la giustizia e garantisce la pace e la sicurezza, può anche essere puttaniere o ninfomane, gay, fedifrago o tossicodipendente, di qualsiasi religione o colore della pelle.

Il secondo criterio di valutazione è la soluzione dei problemi. Un governo ha il solo compito di migliorare la vita del popolo negli aspetti che esso (popolo) considera negativi. Un governo deve dunque saper cambiare alcuni indicatori dal livello in cui li trova al suo insediamento, ad un livello giudicato soddisfacente dal popolo, dopo 5 anni. Se la legislatura è fissata in 5 anni significa che il governo deve offrire cambiamenti degli indicatori intorno al 20% ogni anno . Siccome in certi casi si può puntare ad un effetto "massa critica", le variazioni del primo e del secondo anno possono essere inferiori. Tuttavia i cambiamenti dello 0, o anche del 2-3% l'anno non si possono considerare tali. Un governo non deve dare segnali o fare piccoli passi, deve dare evidenze di una veloce (in 5 anni) soluzione dei problemi. Meno ancora vale l'affermazione per cui il governo "ha stanziato ben x milioni per un certo problema". Un governo non è un bancomat. Lo stanziamento di fondi è la premessa per la soluzione dei problemi, ma non vale nulla se non è accompagnato da una legislazione efficace, una riorganizzazione burocratica e azioni mirate. Il governo non deve dare prova di "buona volontà" (come un alunno delle elementari): deve fornire risultati.

Il terzo criterio di valutazione è il consenso della maggioranza. Dicendo popolo intendiamo la larga maggioranza della popolazione. Il fatto che oggi i governi si basano sul consenso del 20-30% (solo il 60% vota, e nessun partito prende più del 30% dei votanti) va bene per la democrazia formale, niente affatto per quella sostanziale. Un governo che non si basa sul consenso non solo formale ma sostanziale, di almeno il 60% della popolazione è un governo destinato a fallire.
Se l'obiezione a questa affermazione è che nessuna democrazia oggi ha il consenso sostanziale di almeno il 60% della popolazione, allora significa che questa democrazia è diventata inutile e va cambiata radicalmente.

Il quarto criterio è la considerazione della maggioranza. Un governo che promuove azioni positive verso esigue minoranze (segmenti di popolazione sotto l'1%) è sicuramente lodevole, ma non avrà mai la "promozione" della maggioranza. Un governo che considera "populista" ogni istanza della maggioranza, non è democratico ma oligarchico o peggio, totalitario. Un governo (o un politico) può anche condurre battaglie di principio care alle minoranze, ma deve anche convincere la maggioranza ottenendone il consenso attraverso un lavoro culturale.

Il quinto criterio è il rispetto dell'opposizione. L'opposizione non può dirsi tale solo se critica il governo perchè qualche ministro ruba, o perchè qualche sottosegretario passa le serate coi trans. Per opposizione intendiamo una parte della popolazione che propone modi alternativi a quelli del governo, per migliorare sensibilmente la vita della maggioranza. La democrazia è un sistema dialettico per il quale governo e opposizione hanno un ruolo ugualmente decisivo, nella ricerca dei risultati migliori, attraverso la critica, il controllo, il dialogo, il conflitto, la mediazione. L'opposizione non è solo un ostacolo al governo, ma un fattore indispensabile alla democrazia. Tutti i regimi che tendono a svalutare, comprimere, eliminare l'opposizione sono tendenzialmente totalitari. Come lo sono i regimi che richiamano all'unità, intendendo con questo termine il silenzio dell'opposizione. L'opposizione non è la minoranza, ma la possibile futura alternativa al governo.

Nessuno può uccidere nessuno. Mai. Nemmeno per difendersi.