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Anno 501 la conquista continua (indice)


PARTE QUARTA.
AMNESIE OCCIDENTALI.


Capitolo 11.
IL TERZO MONDO.

1. LOTTA DI CLASSE E CONQUISTA.

L'aspetto fondamentale dei 500 anni della Conquista non viene compreso se si contrappone l'Europa ­ intesa come un blocco monolitico ­ alle aree assoggettate del Sud. Come sottolineò Adam Smith, gli interessi degli artefici della politica non coincidono con quelli della popolazione nel suo insieme; la lotta di classe interna ai vari paesi è un elemento inscindibile della Conquista. Infatti, riemerge continuamente dalla storia dei 500 anni che “anche le società europee furono colonizzate e saccheggiate”, sebbene le comunità “meglio organizzate”, con “istituzioni per la gestione dell'economia e l'autogoverno” e con tradizioni di resistenza, sono state in grado di conservare i loro diritti fondamentali e persino di ampliarli tramite una continua lotta. (1)

La fine dell'alleanza dei ricchi e l'inizio della Nuova Era Imperiale hanno portato ad un intensificarsi dei conflitti di classe. Corollario dell'internazionalizzazione dell'economia è il rafforzarsi di alcuni aspetti del Terzo Mondo presenti nei nostri paesi, come la costante tendenza verso una società a due livelli nella quale vasti settori di popolazione sono superflui ai fini dell'arricchimento dei privilegiati. Ancor più di prima, la "plebaglia" deve ora essere controllata fisicamente ed ideologicamente, privata della possibilità di organizzarsi e di avere scambi culturali e politici, precondizioni queste per lo sviluppo di un pensiero creativo e di un azione sociale. “I giornali prendendoci uno alla volta sono riusciti a convincerci di quanto la situazione sia "eccellente" ” ­ commentava lo scrittore Wobbly T-Bone Slim ­ “Non abbiamo alcuna opportunità di consultare i nostri vicini per capire se la stampa dica, o meno, la verità”. (2)

La stragrande maggioranza della gente considera il sistema economico “profondamente iniquo”, guarda alla guerra del Vietnam non come un "errore" ma come un'azione “fondamentalmente sbagliata e immorale”, ed alla vigilia del bombardamento Usa contro l'Iraq era a favore di una soluzione diplomatica e non militare, e così via. Ma questi sono pensieri privati e finché non esisterà un modo sistematico per "consultarci con i nostri vicini", essi non daranno vita alla temuta minaccia costituita dalla democrazia e dalla libertà. Quali che siano i pensieri individuali, tutti insieme marciamo inquadrati. Nessun candidato presidenziale, per esempio, direbbe: "Ho contestato la guerra in Vietnam per principio e rendo onore a coloro che hanno rifiutato di obbedire all'ordine di combattere una guerra che era 'fondamentalmente sbagliata e immorale'."

In ogni sistema di governo, il problema fondamentale e quello di assicurarsi l'obbedienza della popolazione. Per questo facciamo affidamento su istituzioni ideologiche dirette e composte dai manager della cultura. L'unica eccezione a questa regola sarebbe una società caratterizzata da un'equa distribuzione delle risorse e da una partecipazione popolare nel processo decisionale; cioè, una società democratica con forme sociali libertarie. Ma la democrazia vera è un ideale remoto, considerata come un pericolo da scongiurare e non un valore da raggiungere: come riassunse il problema Walter Lippmann gli “estranei ignoranti ed intriganti” devono essere ricondotti al loro status di semplici spettatori. L'attuale missione della cultura e di far si che qualsiasi idea di poter controllare il proprio destino sia scacciata dalle menti della plebaglia. L'individuo deve essere un passivo fruitore di propaganda isolato dagli altri, indifeso davanti a due forze esterne ed ostili: il governo ed il capitale privato, con il loro sacro diritto di decidere i caratteri fondamentali della vita sociale. La seconda di queste forze, inoltre, deve rimanere nell’ombra: i suoi diritti e poteri devono essere non solo incontestabili, ma invisibili, parte dell’ordine naturale delle cose. E in questa direzione abbiamo già compiuto discreti progressi.

La retorica della campagna elettorale del 1992 illustra bene questo processo. I repubblicani ci hanno richiamato alla fede nell'imprenditoria privata, accusando "l'altro partito" di essere lo strumento di ingegneri sociali responsabili dei disastri del comunismo e dello stato assistenziale (praticamente indistinguibili l'uno dall'altro). I democratici hanno risposto che il loro unico obiettivo e il miglioramento dell'efficienza del settore privato, lasciando incontestati i suoi diritti dittatoriali su gran parte della vita e della sfera politica. I candidati, come sempre, hanno chiesto alla gente "votate per me", e io faro questo-e-quello per voi. Pochi credono loro ma, ed è questo che conta, un differente processo sembra impossibile: ad esempio che nei sindacati, nelle organizzazioni politiche e nelle altre strutture popolari la gente possa formulare i propri progetti e proporre candidati per rappresentarli.

Ancora più impensabile è che il grande pubblico abbia voce in capitolo sugli investimenti, la produzione, il carattere del lavoro ed altri aspetti fondamentali della vita. Le condizioni minime per il funzionamento della democrazia sono state rimosse assai più di quanto si possa immaginare; una grande vittoria del sistema dottrinario.

All'estremo totalitario dello spettro politico, i presunti "conservatori" tentano di distrarre la plebaglia con fanatismi nazionalistici e religiosi, valori familiari ed altri strumenti tipici del mestiere. Lo spettacolo ha suscitato all'estero commenti stupefatti. Osservando la convenzione repubblicana del 1992, dall'adunata pre-illuministica del primo giorno sul tema Dio e Patria, alla piattaforma di partito realizzata da estremisti evangelici e notando che il candidato democratico “ha menzionato Dio sei volte nel suo discorso di accettazione” e “ha citato le Sacre Scritture”, il settimanale britannico Economist si è meravigliato di una società, unica nel mondo industrializzato, “che ancora non è pronta ad accettare uomini politici apertamente laici”. Altri sono rimasti colpiti dall'importanza data ad un dibattito pubblico tra il vicepresidente ed un eccentrico personaggio televisivo. Questi sono i segni del successo delle politiche tese a svuotare le forme della democrazia, per eliminare qualsiasi minaccia al potere reale.

La retorica della destra contemporanea non può non ricordarci precedenti attacchi al "liberalismo", messo sotto accusa per i suoi appelli “all'eguaglianza delle donne”, e per aver negato l'antica verità secondo la quale per la donna “il mondo è suo marito, la sua famiglia, i suoi figli e la sua casa” (Adolf Hitler). Oppure l'avvertimento di quest'ultimo che è “un peccato contro l'Onnipotente costringere centinaia di migliaia delle sue creature più dotate ad affondare nella palude proletaria mentre africani ed ottentotti sono educati nelle professioni liberali” ­ anche se alle volte la versione attuale di queste posizioni è più cifrata. Il ricorso ai valori di "antiche civiltà" ed al fervore nazionalistico-religioso e del resto tipico delle politiche di tipo fascista per mobilitare un popolo sotto pressione. L'incitamento "all'entusiasmo" religioso, in particolare, ha una lunga storia in quelli che E.P. Thompson definisce “i processi psichici della controrivoluzione” impiegati per reprimere le masse con la creazione di un “millenarismo disperato”, la fede, senza speranze terrene, in un altro mondo visto che questo può offrire ben poco. (4)

I sondaggi d'opinione rivelano però anche altre tendenze. Uno di questi, realizzato dalla Gallup nel giugno del 1992, notò che il 75% della popolazione non si aspetta un miglioramento delle condizioni di vita per la prossima generazione di americani ­ un risultato non sorprendente, dato che i salari reali sono andati calando sempre più da vent'anni a questa parte, accentuando la loro caduta sotto il "conservatorismo" reaganiano, che è riuscito a estendere la sua ombra minacciosa anche sui laureati ed i diplomati. Gli orientamenti dell'opinione pubblica sono illustrati anche dall'attuale popolarità degli ex presidenti: Carter è in testa (74%) seguito dal praticamente sconosciuto Ford (68%), con Reagan al 58%, leggermente prima di Nixon (54%). L'antipatia per Reagan è particolarmente diffusa tra i lavoratori ed i "democratici reaganiani" i quali, secondo un sondaggio, gli darebbero “la percentuale più sfavorevole [63%] tra i funzionari pubblici”. In realtà la popolarità di Reagan è sempre stata in gran parte un'invenzione dei media; il "grande comunicatore" venne rapidamente messo da parte quando la farsa non reggeva più. (5)

L’istituto demoscopico Harris ha costantemente registrato negli ultimi venticinque anni il grado di alienazione della gente dalle istituzioni: la punta massima di distacco, del 66%, e stata raggiunta nell'ultima rilevazione, quella relativa al 1991. Come ha notato il presidente della Harris, Humphrey Taylor, 1'83% della popolazione ritiene che “i ricchi diventano sempre più ricchi ed i poveri sempre più poveri” e che “il sistema economico è profondamente iniquo”. Le preoccupazioni di gran parte dei cittadini non possono trovare risposta all'interno del sistema politico nel quale è già difficile parlare o discutere di certe idee. Il giornalista che riporta questi dati vede solo davanti a sé delle persone irate contro “i loro politici ben pagati”, le quali chiedono “più potere per i cittadini” e non “per il governo”. Non ci è permesso pensare che il governo possa appartenere al popolo o fare i suoi interessi, o che il popolo possa tentare di cambiare un sistema economico considerato dall'83% dei cittadini come "profondamente iniquo". (6)

Un altro sondaggio ha rivelato che “la fede in Dio è l'elemento più importante nella vita degli americani”. Il 40% degli intervistati “ha dichiarato di considerare più importante di ogni altra cosa il proprio rapporto con Dio”; il 29% ha scelto una “buona salute” e il 21% un “matrimonio felice”, il 5% preferisce un lavoro soddisfacente e il 2% di avere il rispetto della gente. Che questo mondo possa offrire ciò che sarebbe proprio di un'esperienza pienamente umana non è preso neppure in considerazione. Questi sono risultati che si potrebbero avere in una società contadina disgregata. Pare che le risposte più pessimistiche ed un certo millenarismo religioso siano particolarmente prevalenti tra i neri; e questo non è sorprendente se consideriamo, come ha scritto il New England Journal of Medicine, che “i neri, maschi, di Harlem hanno meno probabilita di raggiungere i 65 anni degli uomini del Bangladesh”. (7)

Risulta inoltre completamente cancellato dall'orizzonte qualsiasi senso di solidarietà e di comunità. La riforma scolastica è disegnata solo per coloro i cui genitori possono pagare, o sono decisi a "farsi strada". L'idea che ci possa essere un interesse della società per il futuro dei bambini ­ senza parlare degli altri ­ non sembra più legittima. Dobbiamo “render chiaro quale sia il prezzo da pagare quando si ha un figlio illegittimo” facendolo “capire loro al momento giusto ­ cioè alla nascita del bambino”; l'adolescente che smette di studiare deve capire che il suo bambino non riceverà mai la nostra assistenza (Michael Kaus). Nella nascente “cultura della crudeltà”, scrive Ruth Coniff, “sia il contribuente della classe media, sia il politico che i ricchi sono tutti vittime” dei poveri immeritevoli, che devono essere messi in riga e puniti per la loro depravazione, anche nelle future generazioni.

Quando la società Caterpillar reclutò dei crumiri per bloccare lo sciopero indetto dalla United Auto Workers (Uaw), il sindacato rimase "allibito" nel vedere i disoccupati attraversare le linee del picchetto senza alcun rimorso, e nel constatare che gli operai in lotta trovarono ben poco "sostegno morale" da parte della loro comunità. Il sindacato, che aveva “migliorato il tenore di vita per l'intera popolazione della zona”, non aveva “capito fino a che punto la simpatia dell’opinione pubblica avesse abbandonato i lavoratori organizzati”, conclude una ricerca di tre giornalisti del Chicago Tribune ­ un'altra vittoria della più che decennale ed implacabile campagna da parte del settore privato che i dirigenti sindacali, per lungo tempo, si sono rifiutati di comprendere. Solamente nel 1978 il presidente della Uaw Doug Fraser arrivo a criticare “i dirigenti della comunità imprenditoriale” per aver “scelto di condurre una lotta di classe a senso unico in questo paese ­ una guerra contro i lavoratori, i disoccupati, i poveri, le minoranze, i giovanissimi e gli anziani, e persino molti membri delle classi medie della nostra società”, e per aver “rotto e scardinato il fragile, non scritto, accordo tra le parti, precedentemente rispettato nella fase di crescita economica e di progresso”. Era ormai troppo tardi, e la politica dell’abietto servitore dei ricchi che di li a poco sarebbe divenuto presidente avrebbe finito per distruggere gran parte di quel che era rimasto. (8)

La ricerca del Tribune vede la sconfitta del sindacato come “la fine di un'era, la fine della conquista che fu il vanto del movimento operaio americano nel XX secolo: una forte classe media operaia”. Quell'era, basata su un patto tra industria e sindacato in un'economia privata finanziata dallo stato, era in realtà finita venti anni prima, e la "lotta di classe a senso unico", da parte del solo padronato, era in corso da tempo. Un'altra componente dell'accordo era costituita dalla “monetarizzazione della rinuncia al potere politico” da parte dei dirigenti sindacali (David Milton), una situazione che duro finché i padroni la trovarono vantaggiosa. La cieca fede nella loro buona volontà e benevolenza non avrebbe potuto portare ad altro esito. Componente fondamentale della campagna condotta dallo stato e dal padronato è costituita dall'offensiva ideologica tesa a superare quella "crisi della democrazia", che sarebbe provocata dagli sforzi della "plebaglia" di entrare nell'arena politica riservata ai loro superiori. Il tentativo di minare la solidarietà con i lavoratori è uno degli aspetti più importanti dell'offensiva padronale. Nella sua ricerca sul modo in cui i media trattano i problemi del lavoro, Walter Puette fornisce ampie prove che al cinema, in televisione e nella stampa l'immagine data dei sindacati e stata generalmente “poco fedele ed estremamente negativa”. I sindacati sono descritti come corrotti, fuori dalla corrente maggioritaria del paese, difensori di “interessi particolaristici” che sono o irrisori o addirittura dannosi a quelli dei lavoratori e del grande pubblico, “anti-americani nei loro valori, strategie ed iscritti”. Questa rappresentazione “attraversa in lungo e largo la storia dei media”, ed “ha contribuito ad eliminare i valori e gli obiettivi del movimento sindacale americano dalla politica liberal”. Questo naturalmente è il progetto generale, ma alle volte è necessario uno sforzo particolare. (9)

La Caterpillar decise negli anni '80 che il suo contratto di lavoro con la Uaw era “una cosa del passato” e secondo il Tribune l'azienda lo avrebbe “modificato per sempre sotto la minaccia di impiegare dei disoccupati”. Quella tattica, usuale nell'800, fu ripristinata da Ronald Reagan nel 1981 per distruggere il sindacato dei controllori del traffico aereo (Patco), ed e stata poi applicata in molti altri casi per minare il movimento operaio e per imporre negli Usa modelli del Terzo Mondo. Nel 1990, la Caterpillar trasferì parte della produzione ad una piccola azienda per la lavorazione dell'acciaio che, utilizzando dei crumiri, aveva distrutto la rappresentanza locale del sindacato; “un colpo rapido e micidiale per i lavoratori, foriero” di quel che sarebbe avvenuto. Due anni dopo, infatti, arrivo il colpo di grazia. Per la prima volta in 60 anni, una grossa azienda Usa si sentì libera di usare l'estrema arma anti-operaia. Poco dopo il Congresso si incamminò per la stessa strada e negò ai lavoratori delle ferrovie il diritto di sciopero in seguito ad una serrata padronale che aveva bloccato i treni.

Il General Accounting Office (Ufficio del Bilancio del Congresso) trovo che le aziende si sentivano molto più libere nel minacciare “la sostituzione dei lavoratori con altri” disoccupati dopo che Reagan aveva dato loro l'esempio nel 1981. Dal 1985 al 1989, i datori di lavoro vi fecero ricorso in un terzo di tutti gli scioperi e, nel corso del '90, l'attuarono nel 17% delle astensioni dal lavoro. Una ricerca del 1992 dimostra che “quattro datori di lavoro su cinque sono disposti ad usare quell'arma”, riferiva il Wall Street Journal dopo lo sciopero alla Caterpillar, ed un terzo di loro era pronto a farne subito uso.

Il giornalista John Hoerr fa notare che il declino dei redditi dei lavoratori dai primi anni '70 in poi si è accompagnato ad un calo nel numero degli scioperi, attualmente al minimo storico dalla II guerra mondiale. Le organizzazioni operaie militanti durante la "grande depressione" realizzarono le prime ­ e le ultime ­ vittorie politiche del mondo del lavoro, ed in particolare il National Labor Relations Act - Wagner Act (Trattato Nazionale sui Rapporti di Lavoro) del 1935, che sancì una serie di diritti dei lavoratori, già da tempo riconosciuti nelle altre società industrializzate. Sebbene il diritto ad organizzarsi nei luoghi di lavoro venne ben presto limitato da alcune decisioni della Corte Suprema, solamente negli anni '80 il capitale americano si sentì abbastanza forte da tornare ai bei vecchi tempi, facendo di nuovo uscire gli Usa dagli standard internazionali. L’Ilo (International Labor Organization, Organizzazione Internazionale del Lavoro), appoggiando nel 1991 una protesta del sindacato Afl-Cio, sottolineò come il diritto di sciopero venga in realtà vanificato se i lavoratori rischiano di perdere il posto a favore di altri e consigliò il governo Usa di rivedere le sue politiche alla luce degli standard degli altri paesi ­ parole forti, per un'organizzazione che è tradizionalmente indebitata nei confronti dei suoi potenti sponsor americani. Tra gli stati industrializzati, gli Stati Uniti sono gli unici, escluso il Sudafrica, a tollerare tali antichi metodi antisindacali. (10)

“Paradosso del '92: economia debole, forti profitti”. Il titolo di questo articolo nella sezione economica del Times riassume le conseguenze della "lotta di classe a senso unico" combattuta dal padronato con rinnovata intensità da quando si è rotta l'alleanza dei benestanti. “L'America non naviga in buone acque, ma le aziende vanno a gonfie vele” ­ inizia l'articolo ­ ed i loro redditi “con l'espansione dei margini di profitto raggiungono nuovi massimi”. Un paradosso, inspiegabile ed irrisolvibile, che non può che approfondirsi per le strategie di quegli architetti della politica che operano senza ingerenze da parte degli "estranei intriganti", della stragrande maggioranza dei cittadini. (11)

Quello che comporta il "paradosso" per la popolazione in generale è dimostrato dalle numerose ricerche sulla distribuzione dei redditi, su i salari reali, la povertà, la fame, la mortalità infantile, ed altri indicatori sociali. Una ricerca resa nota dall'Economic Policy Institute nel 1992, in occasione per esperienza: dopo un decennio di reaganismo, “la maggior parte degli americani lavora più ore per salari inferiori e con assai meno sicurezza”, e “la stragrande maggioranza si trova sotto molti aspetti in una situazione peggiore” rispetto alla fine degli anni 70. Dal 1987, i salari reali sono calati anche per i laureati. “I livelli di povertà sono ai massimi storici”, e “i poveri del 1989 sono notevolmente più poveri di quelli del 1979”. La situazione, come testimonia il Census Bureau (Ufficio del Censimento) è peggiorata ulteriormente nel 1991. Secondo un rapporto del Congresso rilasciato alcuni giorno dopo, la fame sarebbe aumentata del 50% dalla metà degli anni '80 e affliggerebbe ora negli Usa circa 30 milioni di persone. Altre ricerche dimostrano che tra i minori di dodici anni un bambino su otto soffre la fame. Si tratta di un problema ricomparso nel 1982 dopo che i progetti governativi degli anni '60 erano riusciti a debellarla. Due ricercatori sostengono che a New York la proporzione di bambini cresciuti in povertà e più che raddoppiata raggiungendo così il 40%, e che “il numero di bambini americani affamati e aumentato del 26%” in seguito ai drastici tagli subiti dall'assistenza ai poveri durante "i fiorenti anni '80'" ­ “una delle migliori epoche d'oro che l'umanità abbia mai conosciuto”, proclamava un portavoce della cultura della crudeltà (Tom Wolfe). (12)

Le conseguenze emergono con forza nelle ricerche più analitiche; per esempio, al Boston City Hospital i ricercatori hanno scoperto che “il numero di bambini malnutriti e sotto peso è aumentato drammaticamente dopo i mesi più freddi dell'inverno”, quando i genitori si erano trovati davanti alla straziante scelta tra il riscaldamento e il cibo. Al reparto per i bambini malnutriti, si presentarono un numero maggiore di pazienti nei primi nove mesi del 1992 che in tutto l'anno precedente; la lista d'attesa raggiunse i due mesi, costringendo il personale a “ricorrere al sorteggio”. Alcuni pazienti soffrono di livelli di malnutrizione pari a quelli del Terzo Mondo e devono essere ricoverati, vittime delle “calamità sociali e finanziarie che hanno colpito le famiglie” e della “massiccia riduzione dei programmi di assistenza sociale”. (13) Per la strada, i disoccupati innalzano cartelli con su scritto “Disposto a lavorare in cambio di cibo”, uno spettacolo che ricorda i giorni bui della "grande depressione". Ma con una notevole differenza. Anche se l'attuale recessione è di gran lunga meno grave, oggi la speranza sembra essere del tutto scomparsa. Per la prima volta nella storia moderna delle società industriali, vi è la diffusa sensazione che le cose non miglioreranno, che non esiste via d'uscita.


Note:

1 Cap. I, III p. 17, 65.

2 T-Bone Slim, Juice, p. 68.

3 Economist, 22 agosto 1992.

4 Brady, Spirit, cap. VI. Schoenbaum, Hitler's Social Revolation, cap. VI. Thompson, Making, cap. 11.

5 Steven Greenhouse, "Income Data Show Years of Erosion for U.S. Workers", New York Times, 7 settembre. Adam Pertman, Boston Globe, 15 luglio. Garry Wills, The New York Review of Books, 24 settembre 1992. Sugli straordinari sforzi del governo e degli analisti di destra di occultare ed alterare i dati economici, vedi Paul Krugman, "The Right, the Rich, and the Facts", American Prospects, autunno 1992.

6 John Dillin, Cbristian Science Monitor, 14 luglio 1992.

7 Associated Press, Boston Globe, 4 aprile 1991. NEJ. of Med., gennaio 1990, citato in Melvin Konner, New York Times, 24 febbraio 1990.

8 Vedi cap. IV.3. Conniff, Progressiue, settembre 1992, recensione di Kaus, End of Equality. Stephen Franklin Peter Kendall e Colin McMahon "Caterpillar strikers face the bitter truth" pt. 3 di una serie, Chicago Tribune, 6, 7, 9 settembre 1992. Fraser citato in Moody, Injury, p. 147.

9 Milton, Politics, p. 155. Puette, Through Jaundiced Eyes.

10 Franklin et. al., op. cit.. Sulla serrata RR, vedi Alexander Cockburn, Los Angeles Times, 13 luglio. Robert Rose, The Wall Street Journal, 20 aprile 1992. Hoerr, American Prospect, estate 1992.

11 Floyd Norris, New York Times, 30 agosto 1992.

12 Peter Gosselin, Bostoe Globe, 7 settembre. Frank Swoboda, Washington Post Weekly, 14-20 settembre 1992. Shlomo Maital e Kim Morgan, Challenge, luglio 1992. Wolfe, Boston Globe, 18 febbraio 1990.

13 Diego Ribadeneira e Cheong Chow, Boston Globe, 8 settembre. Ribadeneira, Boston Globe, 25 settembre 1992.


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Nessuno può uccidere nessuno. Mai. Nemmeno per difendersi.