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PSICOBIOGRAFIA DI UNA DONNA SERIAL KILLER
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"Ciò che mi colpisce di più è che tante cose terribili vengono commesse da persone che non paiono affatto terribili". Il Giardino di cemento, Jan McEwan, 1978.

Introduzione

L'omicida seriale non è una figura specifica dei nostri tempi, ma documentata fin da tempi remoti.
Già nell'antica Roma, personaggi di grande rilievo storico-politico, quali Tiberio, Caligola, e Nerone (I sec. DC), furono autori di omicidi in serie (Nerone avvelenò l'imperatore Claudio e Britannico, il fratellastro, e fece uccidere la madre, Agrippina, e la zia per impossessarsi dei suoi beni; Tiberio, omosessuale e pedofilo, che da una rupe di Capri, luogo della sua residenza, gettava in mare dei fanciulli dopo aver avuto con loro dei rapporti sessuali; Caligola, fece uccidere 50 persone perché erano ammassate all'uscita di un circo). La diversità rispetto al passato consiste essenzialmente nel fatto che, negli ultimi decenni, lo sviluppo dei mezzi di informazione di massa ha consentito una maggiore pubblicizzazione degli avvenimenti di cronaca, e, fra questi, appunto, degli omicidi seriali. Accanto a ciò, non va dimenticato che le moderne tecniche investigative e le affinate procedure della medicina legale hanno permesso di ascrivere alla mano di uno
stesso assassino delitti che, in epoche passate, proprio a causa di metodiche di indagine meno raffinate, sono
stati magari archiviati come episodi singoli.
Se gli Stati Uniti rappresentano lo sfondo geografico della maggior parte degli omicidi seriali (il 60% degli omicidi seriali è infatti qui avvenuto), per quanto riguarda l'Europa, sono i paesi settentrionali ad essere maggiormente rappresentati (l'Italia è al terzo posto come numero di assassini seriali operanti sul territorio, dopo Stati Uniti ed Inghilterra); anche nei paesi dell'area mediterranea, come l'Italia stessa, le regioni settentrionali costituiscono più frequentemente il teatro di questo genere di delitti. La spiegazione data a tal riguardo è che esisterebbe una relazione inversamente proporzionale tra delitto passionale e delitto seriale (De Luca, 2001). In altri termini, nelle nazioni più industrializzate, il maggior grado di isolamento e di
alienazione, lo stress, la competizione sfrenata rendono l'individuo maggiormente vulnerabile; tale vulnerabilità può scatenare dei comportamenti abnormi in individui che, per una costellazione di fattori sia intraindividuali che familiari e sociali, sono portatori di un disagio più evidente che restringe le proprie capacità di risposta adattiva (coping). Nell'Europa meridionale, vi è una infatti tendenza più marcata ad agire nell'immediato le proprie "passioni", piuttosto che comprimerle, e pertanto vengono presumibilmente agiti dei comportamenti "esplosivi", che sono però `discreti', nel senso matematico del termine, ossia che hanno un inizio ben preciso ed una fine altrettanto puntuale e che perciò raramente conducono l'individuo verso il
compimento di azioni mostruose.

Dal 1850 ad oggi, in Italia sono stati individuati 43 assassini seriali: di questi, il 56% sono nati al Nord (il primato spetta alla Lombardia con 8 serial killers), il 16% al Centro (il primato è del Lazio con 5 assassini seriali) e altrettanti al Sud (la Campania vanta 4 serial killers), mentre il 7% nelle isole. La percentuale residua è costituita di assassini che hanno agito in Italia ma di nazionalità straniera.

Secondo Francesco Bruno (1995), in Italia, negli ultimi 20 anni, sarebbero almeno 25 gli assassini seriali in attività; secondo Zurli (1998), sarebbero più di 50 i "predatori" in azione. In queste statistiche non rientra ovviamente il cosiddetto numero oscuro, cioè quella quota di casi non registrati dalle agenzie di controllo, e che, quindi, non sono rappresentati nelle statistiche ufficiali, perché non sono stati denunciati dalla vittima, non vengono scoperti o vi è un indiziato che non viene condannato (De Luca, 2001).
L'omicidio è un reato che, per la sua grande risonanza sociale, provoca una forte convergenza delle varie forze investigative, e ha, pertanto, il numero oscuro più basso rispetto a quello di altri reati; non va, inoltre, dimenticato, che questo numero si abbassa ulteriormente nel caso dell'omicidio seriale, perché l'assassino, svolgendo la sua azione in un arco di tempo prolungato, incorre in una maggiore probabilità di fare errori.

DONNE CHE UCCIDONO

Anche gli albori della carriera criminale delle donne risalgono a tempi antichi: negli annali tacitiani, ad esempio, si racconta che Agrippina meditasse su quale veleno propinare ai suoi amici. In tempi un pò più recenti, basta fare riferimento alla contessa ungherese Bathory che, nel 1600, uccise più di 600 ragazze per poter fare dei bagni di sangue, considerati una vera e propria cura di bellezza per la pelle. Secondo Ingrassia (1993), la criminalità femminile, quando si manifesta, assume forme atroci e crudeli più di quanto non accada per quella maschile (Ingrassia, ibidem).

In Italia, la prima donna assassina seriale di cui si ha conoscenza è Hieronima Spara, che agì a Roma intorno al 1660, divenendo per molte mogli annoiate addestratrice nell'arte dell'avvelenamento; quando fu arrestata, dopo essere stata sottoposta a tortura, fu impiccata insieme ad altre 12 donne. Dopo di lei, un'altra serial killer fu Tofania di Adamo, nata in Sicilia nella seconda metà del 1600, che si era specializzata nella fabbricazione di veleni, e che quindi era richiesta come "consulente avvelenatrice". Inventò anche un veleno chiamato, in suo onore, "acqua tofana", a base di arsenico, che vendeva liberamente come elisir dai poteri miracolosi. Uccise molti uomini, e lei stessa dichiarò di aver provocato la morte di circa 600 persone.
Secondo l'Fbi, la percentuale di donne autrici di omicidi seriali si aggira intorno al 5-10%; alcuni Autori, fra i quali Ruben De Luca (1998), ritengono che questa percentuale sia una sottostima di quella reale, che si attesterebbe intorno al 16%. De Luca ha individuato 228 donne serial killers (di queste, 109 avrebbero agito negli USA1), il 65% delle quali ha agito individualmente, contro il 14% delle donne la cui azione si è svolta all'interno di una coppia e il 21% di quelle che hanno agito in gruppo (De Luca, ibidem).
In generale possiamo dire che, secondo le statistiche più recenti, il crimine femminile risulta da 6 a 8 volte inferiore rispetto a quello maschile, e ciò, essendo una tendenza generalizzata, risulta essere indipendente dalla località geografica di riferimento. La criminologia si è occupata della minore incidenza statistica del crimine femminile, e ha tentato di rispondervi attraverso una pluralità di spiegazioni e interpretazioni che sono ancora lontane dell'essere esaurienti ed esaustive del fenomeno (Zurli, 1997). In alcuni casi è stata data una spiegazione di tipo `sociale', nel senso che nella perpetrazione di attività criminali
il ruolo femminile sarebbe ipotizzabile a livello di concorso in un'azione criminosa, o di istigazione a delinquere, e dunque resterebbe celato, quasi protetto, da un ruolo maschile più attivo nello svolgimento concreto della condotta criminale (Zurli, ibidem). Il criminologo Pollack (1978) parla, appunto, di "mascheramento dei crimini femminili", grazie al verificarsi di un comportamento complice (siavolontario, sia involontario) da parte di un uomo. Una `spiegazione' sociologica di questo sorta di protettività nei confronti della donna è da vedersi nel ribaltamento dell'atteggiamento verso la donna stessa: nel Medio
Evo avveniva una vera e propria demonizzazione della donna, bastava che una donna usasse delle erbe per curarsi ed era automaticamente bollata come "strega" emessa al rogo; nell'era moderna, si ha difficoltà, potremmo dire nei termini di una resistenza culturale e sociale, ad accettare il fatto che una donna possa essere autrice di un'azione delittuosa (Zurli, ibidem).
Agisce, in sostanza, una sorta di difficoltà ad accettare che la donna possa agire un ruolo deviante attraverso la messa in atto di comportamenti criminali. Tale resistenza potrebbe anche essere legata al ruolo materno della donna. Sembrerebbe, infatti, una contraddizione in termini pensare che la donna, capace di dare vita ad un altro essere, sacrificando una parte di sé nel farlo, sia capace di macchiarsi di crimini violenti.
Secondo Lombroso (1835-1909), la differenza quantitativa tra criminalità maschile e femminile sarebbe da ascriversi ad uno `sbocco' diverso, nell'uomo e nella donna, delle difficoltà ambientali e personologiche: l'atto criminoso nell'uomo, la prostituzione nella donna, condotta parimenti disadattata ma non perseguibile penalmente, o, se perseguibile, priva di qualsiasi potere criminogeno.
Le interpretazioni psicologiche della disparità statistica della condotta criminale fra uomo e donna si fondano sulla nevroticizzazione delle problematiche ambientali e personali nella donna (nevrosi come esito dell'interiorizzazione del problema), laddove nell'uomo si verificherebbe con maggiore probabilità un vero e proprio passaggio all'atto, un comportamento alloplastico, ovvero le tensioni psichiche generano ilcomportamento anomalo (esteriorizzazione del problema), e, nei casi estremi, l'azione criminosa.
De Luca (2001) dà del fenomeno un'interpretazione più propriamente statistica, mettendo in evidenza che le percentuali internazionali prodotte per l'omicidio seriale sono esclusivamente rivolte al fenomeno maschile, e pertanto il dato che riguarda la donna è ancora sottostimato.
Il movimento femminista nega vi siano serial killers donne, e ciò viene argomentato sulla bese della teoria che gli assassini seriali sono il prodotto della società patriarcale; "..solo gli uomini sono dei cacciatori compulsivi guidati dal bisogno di uccidere, un desiderio sessuale che li spinge ad uccidere" (Cameron, Frazer, in De Luca, 2001).
Segrave (1992) ritiene che per parlare di `assassino seriale' sia necesssaria la presenza di una forte componente sadica nell'atto di uccidere; tale aspetto, assente nell'omicidio femminile, non permetterebbe di classificarlo come omicidio seriale, mentre sarebbe più appropriato considerarlo "omicidio multiplo"(Segrave, ibidem).

CARATTERISTICHE PRINCIPALI DEGLI OMICIDI SERIALI FEMMINILI

Sono state rilevate delle caratteristiche piuttosto ricorrenti negli omicidi seriali femminili. In primo luogo, possiamo fare riferimento alla suddivisione di Ressler et al., (1998), in comportamenti criminali organizzati e disorganizzati. Il crimine organizzato è pianificato, condotto con `perizia' da un individuo intellettivamente molto competente, che non lascia nulla al caso, modificando spesso il proprio modus operandi al fine di disorientare le indagini.; la vittima è scelta con cura, così come l'arma e il luogo del delitto. Generalmente si tratta di individui capaci di intendere e di volere, pur presentando evidenti disturbi di personalità e di carattere sadico e sessuale. Esempio di questo tipo di omicidi sono, tra gli altri, i crimini compiuti da Marco Bergamo (il mostro di Bolzano), Giancarlo Giudice (il mostro di Torino), Gianfranco Stevanin (il mostro di Terrazzo), Donato Bilancia, Ferdinand Gamper (il mostro di Merano, xenofobo), Milena Quaglini (la serial killer di Pavia), Leonarda Cianciulli (la saponificatrice di Correggio).
L'azione disorganizzata è invece l'esito di un raptus di violenza improvvisa, spontanea e irrefrenabile, attuata da un individuo dall'intelligenza media e socialmente immaturo. Generalmente possiamo parlare di individui mentalmente malati. Va anche precisato che il raptus dello schizofrenico è improvviso fino ad un certo punto, nel senso che è preceduto da una serie di segnali, di sintomi sempre più acuti che non sono stati tamponati attraverso un aiuto farmacologico e psichiatrico. Roberto Succo, che uccide i genitori a 19 anni, e poi altre 3 persone, ed è sospettato di aver commesso una serie di omicidi avvenuti negli ultimi anni nelle Alpi francesi; Maurizio Giugliano, il "lupo dell'Agro Romano", che uccide in modo particolarmente efferato 7 donne in 7 mesi nel 1983 e poi uccide anche un compagno di cella in quanto rifiutato di offrirgli una sigaretta; Luigi Chiatti, che uccide in modo organizzato la sua prima vittima, Simone Allegretti, e in modo disorganizzato la seconda, Lorenzo Paolucci. La criminalità femminile è essenzialmente di tipo organizzato (Zurli, ibidem).
Per quanto riguarda il movente, la donna uccide principalmente per ottenere un guadagno economico (circa il 50% dei casi), ma anche per vendetta, divertimento e piacere sessuale (De Pasquali, 2001). Secondo la classificazione di Holmes e De Burger (1998), i delitti per guadagno economico, divertimento e piacere sessuale rientrano nella categoria del serial killer "edonista".
E', inoltre, raro che le donne infieriscano sui cadaveri con pratiche di overkilling, ovvero con un surplus di atti violenti sul cadavere (del tipo mutilazioni, violenze sessuali). L'overkilling, sebbene poco frequente nel comportamento omicidiario femminile, è invece presente nel caso che a breve esporremo (Leonarda Cianciulli). Per citare un esempio, Nita Vale in Oregon negli anni '80, somministrava prima un anestetico, poi portava le proprie vittime in una stanza di tortura da lei appositamente attrezzata, dove infliggeva torture e mutilazioni. Infine, era solita conservare dei "feticci" prelevati dai cadaveri (Billings, in De Luca, 2001). Possiamo, anzi, affermare che le caratteristiche degli assassinii femminili vanno assimilando in misura crescente comportamenti particolarmente efferati che fino a qualche tempo fa erano attuati quasi esclusivamente da mani maschili (Hickey, 1991). Il crescente inserimento sociale della donna avrebbe, cioè, innescato un processo di "avvicinamento" tra i sessi, un progressivo livellamento delle differenze di genere che si concretizzerebbe, appunto, anche nell'espressione di comportamenti abnormi.
In linea generale, si può comunque affermare che sono rari i casi in cui la donna usi metodiche di omicidio che richiedono un contatto corporeo più o meno ravvicinato con la vittima: l'arma "preferita" dalle donne è infatti il veleno, che consente il mantenimento di una sorta di distacco, nel senso che la morte della vittima sopraggiunge da sé, non è richiesto nessun intervento da parte dell'assassina al di fuori della fase della somministrazione del veleno. Fra i veleni più usati, troviamo l'arsenico, il cianuro, composti del fosforo, acidi. In questa categoria rientrano le assassine-infermiere, che grazie alle proprie conoscenze in medicina, sono state in grado di provocare delle morti apparentemente per cause naturali (ad esempio, iniettando overdose di insulina, o iniezioni di potassio, provocanti l'arresto cardiaco della vittima). Un altro metodo abbastanza usato dalle donne è lo strangolamento, il soffocamento, l'annegamento; in terzo luogo, le armi da fuoco.
Per quanto riguarda la tipologia della vittima, la donna che uccide sceglie la vittima generalmente fra i propri conoscenti, e, differentemente dall'uomo, il movente sessuale è piuttosto raro. Generalmente da parte della donna non è molto frequente l'uccisione di uomini, per la difficoltà di contrastare un'eventuale reazione fisica; al contrario, Milena Quaglini per vendetta personale riesce ad uccidere proprio 3 uomini, (il datore di lavoro che pretendeva prestazioni sessuali, e due partners che le usavano violenza), eludendo qualsiasi reazione fisica da parte loro grazie al fatto che agisce di sorpresa (nel sonno, col veleno). In Ungheria, in un periodo che va dal 1914 al 1929, ben 14 donne del villaggio di Nagyrev, spente da una sorta di androfobia, uccidono col veleno mariti, genitori, parenti e vicini, quasi esclusivamente di sesso maschile.
L'uomo è la vittima elettiva nei casi di omicidio seriale motivato da erotomania, ossia uno stato permanente
di eccitazione sessuale, localizzato soprattutto a livello psichico, ma non presente nella casistica delle
assassine seriali italiane; all'estero, possiamo citare Vera Renczi (Romania, 1900), che uccide i suoi due mariti e i suoi numerosi amanti, oltre al figlio, perché non sopportava il pensiero che finissero fra le braccia di altre donne (chiude le vittime dentro bare di zinco e le sistema allineate in cantina, dove la sera ha l'abitudine di andarsi a sedere per guardarle) (De Luca, 2001). Le vittime scelte dalle donne sono generalmente appartenenti all'entourage di vita quotidiana: mariti, amanti, parenti, bambini, figli; si tratta quindi di delitti in un certo qual modo situazionali, legati a precisi contesti, e sono rare, differentemente dagli omicidi commessi da uomini, modalità predatorie di azione, come appostamenti, inseguimenti, studio delle abitudini di vita. Fra le vittime di donne, quando l'assassina svolge un lavoro di tipo sanitario, troviamo frequentemente i loro pazienti,: questo tipo di donna serial killer è detta Angelo della Morte, che attacca i pazienti di cui si occupa (anche bambini) per affermare il suo Io onnipotente che gestisce la vita e la morte dell'essere umano.
La percentuale di donne che uccide individualmente è la maggiore (65%), seguita dalle donne che uccidono in gruppo (21%), e da quelle in coppia (14%)2. Le donne che uccidono da sole hanno una personalità violenta e bisognosa di sottomettere gli altri; generalmente, la loro vita immaginativa è ricca in quanto compensa la povertà di stimolazioni ricevute dall'esterno; si tratta infatti di soggetti nati e vissuti in famiglie multiproblematiche. Attraverso l'omicidio, questi soggetti trasferiscono le proprie fantasie sul piano di realtà, ma dopo un periodo di intervallo emotivo, susseguente il delitto, si accorgono che la realtà non è cambiata e che necessitano di compiere un'altra azione delittuosa per trarre piacere. Questa ricerca innesca un circolo vizioso analogo all'assuefazione da sostanze caratterizzante il tossicodipendente: si parla, infatti, di sindrome di assuefazione omicidiaria seriale (De Luca, 2001).
Le donne che, invece, agiscono in coppia sono generalmente persone fragili che cercano un partner sicuro e protettivo, che però poi finisce con il dimostrarsi sadico e manipolante (De Pasquali, 2001), con una personalità antisociale, e capace di coinvolgere la donna in una vera e propria "folie a deux" (Wilson, Seaman, 1990) o disturbo psicotico condiviso. Queste donne, probabilmente, non sarebbero diventate assassine se l'incontro con il partner non fosse avvenuto.
In media, gli omicidi seriali commessi dalle donne si verificano in un corso di 8 anni, il doppio del tempo medio maschile; su questo incide il fatto che le donne, eseguendo omicidi maggiormente pianificati rispetto a quelli commessi dagli uomini, sono più difficili da scoprire e catturare rispetto ad essi (De Luca, 2001).
Mentre i maschi sono più o meno equamente distribuiti fra stanziali e mobili, la donna è preferenzialmente stanziale, cioè tende ad uccidere attirando le vittime nello stesso luogo (tecnica del ragno). Una maggiore mobilità è tipica delle donne che uccidono in gruppo o in coppia (De Luca, ibidem).

LE "CAUSE" DEL COMPORTAMENTO OMICIDIARIO SERIALE


Il chiedersi cosa sia all'origine del comportamento omicidiario, ed in più seriale, nel nostro caso, il cercare una causa che permetta di spiegarlo, è legato al ruolo rassicurante che teorie e spiegazioni svolgono nella vita degli esseri umani: sapere qual è la causa di un evento, ci fa sentire in grado di prevederlo, attenuandosi così in qualche modo le nostre ansie sul futuro (Ponti, Fornari, 1995). "Ciò che viene spiegato appare meno angoscioso di ciò che non si comprende" (Ponti, Fornari, ibidem). Eppure, l'essere dell'individuo si manifesta con una estrema libertà di forme, e proprio le capacità elaborative individuali fanno sì che lo stesso evento traumatico possa far scattare in un individuo quella molla che si esprimerà attraverso l'azione violenta, disumanizzata, mentre in un altro potrà diventare occasione di sofferenza umanizzante.
Se all'epoca di Cesare Lombroso (1835, 1909), la causa del delinquere era ravvisabile in un'atavica alterazione organica del cervello che rendeva l'individuo che ne era portatore un "predestinato" al delitto, la spiegazione successiva maggiormente accreditata che si dà del crimine risiede in una sorta di determinismo sociologico: la società è la causa della delinquenza. La povertà, l'emarginazione erano messe in relazione lineare (causa-effetto) con l'effettuazione di delitti.
Oggi le scienze umane, nello spiegare il comportamento individuale, utilizzano il concetto di "causalità circolare": l'uomo fa parte di un sistema, e ogni soggetto del sistema influenza la condotta degli altri, che a sua volta riverbera su ogni soggetto. In altri termini, ogni parte è contemporaneamente causa ed effetto. In questa ottica, il serial killer è il prodotto della famiglia di provenienza e del sistema di pensiero genitoriale, che incide sulla sua progettualità, e a questi elementi si unisce la personalità individuale ed eventuali caratteristiche psicopatologiche (De Luca, 2001). Preferiamo oggi parlare di fattori più che di cause il comportamento omicidiario seriale può essere visto come la risultante di tre fattori:

1. IL FATTORE SOCIO-AMBIENTALE
2. IL FATTORE INDIVIDUALE MODELLO S.I.R.
3. IL FATTORE RELAZIONALE


Di volta in volta, vi è, tra questi tre fattori, uno che ha un ruolo primario nel comportamento omicidiario, e uno con un ruolo secondario; il terzo fattore, quello non menzionato, è il meno importante nel generare il comportamento (De Luca, ibidem).
La nostra attenzione si incentrerà prevalentemente su uno di questi fattori, quello socio-ambientale, ovvero ci riferiremo in modo più particolareggiato alla storia di vita dell'assassino seriale.

IL FATTORE SOCIO-AMBIENTALE: QUADRO BIOGRAFICO DELL'ASSASSINO SERIALE

Il serial killer non è un mostro, anche se spesso se ne parla in questi termini, ma è un essere umano che risponde in maniera patologica ad alcuni eventi che segnano il corso della sua vita. Forse, più che definirlo mostro, sarebbe maggiormente appropriato definirlo un individuo le cui azioni assumono carattere di mostruosità, nel senso etimologico del termine, ossia azioni incredibili, al di fuori del comune, che possono essere, nel nostro caso, particolarmente nefande, mentre in altri, prodigiose.
La caratteristica ricorrente nella vita dei serial killers è infatti la presenza di avvenimenti traumatici occorsi nel periodo infantile ed adolescenziale. Va comunque precisato che se, da un lato, tutti i serial killers condividono delle esperienze dolorose e traumatiche, dall'altro, non tutti i bambini traumatizzati o cresciuti in condizioni particolarmente difficili diventano serial killers.
Sia gli uomini che le donne serial killers sono cresciuti in "famiglie multiproblematiche"; secondo la definizione, una famiglia multiproblematica è "...ogni gruppo familiare composto da due o più persone in cui più del 50% dei membri ha sperimentato in un arco di tempo indicato dei problemi di pertinenza di un servizio sociale e/o sociosanitario o legale" (Mazer, in Malagoli Togliatti et al., 1987).
De Luca (2001), analizzando l'ambiente di vita degli assassini seriali compresi nel suo campione (n = 234), individua una serie di situazioni caratterizzanti il clima familiare :

1. FIGLIO ILLEGITTIMO si tratta di bambini che nascono fuori del matrimonio, generalmente figli di prostitute; spesso dati in affidamento a parenti, o istituzionalizzati, o, nei casi peggiori, abbandonati per strada. La sistemazione è inoltre spesso precaria, in quanto vi è un continuo cambiamento di abitazione e delle persone "affidatarie". Sussistono problemi di identificazione sessuale, specie nei maschi, vista l'assenza del modello paterno. In Italia, Andrea Matteucci è figlio di una prostituta la quale lo affida per cinque anni alla sorella, poi lo mette in istituto; quando esce, verso i 14 anni, assiste ai rapporti sessuali che sua madre ha con i clienti (ucciderà, infatti, tre prostitute e un omosessuale per "ripulire" il mondo). Anche Luigi Chiatti è lasciato dalla madre in brefotrofio.

2. PADRE VIOLENTO E/O ABUSIVO si tratta di padri che si mostrano violenti sia fisicamente che
psicologicamente verso i propri figli e, spesso, anche verso la moglie. Molte volte l'aggressività è scatenata o rafforzata da un concomitante problema di alcolismo, che sblocca dai freni inibitori e conduce all'esplosione della scarica violenta. Il padre di Milena Quaglini era, appunto, un alcolista che al ritorno a casa era solito picchiare sia lei, sia la sorella: Milena ucciderà ben tre uomini che si mostrarono violenti nei suoi confronti. Il padre di Donato Bilancia lo umilia psicologicamente a 12 anni, mostrando agli altri quanto sia piccolo il pene del figlio.

3. MADRE VIOLENTA E/O DOMINANTE si tratta di una donna forte che sposa un uomo complementare, quindi debole e sottomesso. Questa inversione di ruoli incide negativamente sull'identità sessuale di un bambino, particolarmente se di sesso maschile, il quale necessita di potersi identificare con il genitore dello stesso sesso che manifesti un ruolo adeguato a quel sesso.
Generalmente, i figli maschi disprezzano questo padre debole che non riesce a farsi rispettare ed odiano
la madre che non manifesta tenerezza e protezione. In altri casi, il bambino finisce con l'idolatrare la madre dominante, sviluppando una forma morbosa di attaccamento.

4. FAMIGLIA SPEZZATA nucleo familiare che improvvisamente si trova a dover affrontare la mancanza di uno dei genitori, per morte, o per divorzio, o per abbandono del tetto coniugale. Le conseguenze sono l'affidamento del bambino/i in brefotrofio, o la ricostituzione di una nuova coppia; spesso è la madre ad affiancarsi un nuovo compagno, che si mostra in seguito violento verso il figlio/i acquisiti.

5. FAMIGLIA IPERRELIGIOSA generalmente si tratta di genitori che appartengono a particolari sette religiose e che pretendono dai figli, a causa del proprio fanatismo religioso, assoluta osservanza delle regole della propria dottrina, a discapito dell'espressione dei bisogni e dei desideri personali. Ciò può incidere negativamente sullo sviluppo di un bambino.

6. GENITORI SCARSAMENTE AFFETTUOSI si tratta di genitori che, pur provvedendo al meglio per quello che riguarda le necessità materiali del figlio, non forniscono quel giusto grado di affetto e tenerezza necessario ad uno sviluppo armonico della personalità individuale. Spesso questi genitori sono persone egocentriche, molto concentrate sul proprio rapporto di coppia e sulla propria realizzazione professionale. Marco Bergamo cresce in un ambiente familiare proprio di questo tipo: il clima di affettività e comunicazione è quasi del tutto assente.

7. FAMIGLIA POVERA E/O TRAUMI INFANTILI i traumi di cui parliamo sono prevalentemente di natura sessuale; se la famiglia vive in una situazione di forte indigenza, è probabilmente presente una condizione di vita promiscua, che fa sì che familiari di diverse generazioni condividano gli stessi spazi angusti, cosa che aumenta la probabilità di rapporti incestuosi. La maggior parte dei serial killers ha vissuto precoci traumi sessuali da parte di parenti o estranei, mentre sono in minor numero quelli che provengono da famiglie povere.

8. FAMIGLIA NORMALE generalmente, sono rari i serial killers che provengono da famiglie cosiddette normali, cioè affettuose, stabili e serene. Questo quadro familiare riguarderebbe maggiormente gli assassini seriali che agiscono in coppia o in gruppo, laddove vi è un altro elemento che proviene da una famiglia multiproblematica e che esercita la sua influenza negativa sull'altro/i. Va precisato che nella realtà possono presentarsi quadri che non sono così netti e delineati, bensì misti o che si susseguono nel tempo.
Come gli uomini, anche le donne serial killers sono cresciute in famiglie multiproblematiche; tutte hanno subito abusi infantili, come molestie sessuali, spesso sviluppando una sessualità molto forte. Vivono in povertà e spesso si prostituiscono o hanno una vita di relazione instabile (De Pasquali, 2001). Vedremo più avanti, come anche il caso di cui ci occuperemo, quello di Leonarda Cianciulli, sia ben inquadrabile all'interno di alcuni di questi contesti familiari.

Newton (1992) ha individuato tutta una serie di aspetti che, se presenti nel corso dell'infanzia e dell'adolescenza di un individuo, possono essere considerati come segni premonitori di un futuro comportamento omicidiario seriale (questi elementi sono condivisi da tutti coloro che si occupano di serial killers):

a. Isolamento sociale: secondo l'FBI, il 71% dei serial killers sostiene di aver provato una forte sensazione di solitudine durante l'infanzia, spesso causata da un clima familiare abusante e violento che porta il bambino a rifuggire da qualsiasi forma di contatto affettivo anche esternamente alla famiglia. La mancanza di amicizie e di stimoli esterni viene compensata da una vita fantastica molto sviluppata, che però assume connotazione negativa, nel senso che il contenuto di queste fantasie è piuttosto vicino a veri e propri incubi, e si tratta spesso di immagini sessualizzate che turbano il bambino ma al contempo lo eccitano. Man mano, egli si allontana sempre più dalla realtà, rifugiandosi nel proprio mondo fantasmatico, anche se a volte sembra integrarsi nel rapporto con i pari. Spesso l'isolamento è conseguente a difetti fisici più o meno evidenti, che complessano il bambino, perennemente bersagliato e deriso dai coetanei.

b. Difficoltà di apprendimento: non corrisponde ad un quoziente intellettivo basso, perché la maggior parte dei serial killers hanno un QI medio o medio-alto. Le difficoltà nell'apprendimento sono piuttosto legate alle difficoltà familiare, alla mancanza di un clima sereno, e al senso di inquietudine interiore che ostacolano la concentrazione e l'applicazione negli studi. In altri casi, può essere conseguenza di veri e proprio danni fisici e mentali.

c. Sintomi di danno neurologico: malattie e ferite possono portare all'improvvisa manifestazione di un comportamento aggressivo. Ad esempio, Stevanin manifesta cambiamenti nel comportamento sessuale e diventa violento dopo un grave incidente, in seguito al quale riporta diverse fratture alla teca cranica, seguito poi da una meningite, con conseguente lesione bilaterale frontale. I maschi sarebbero più esposti, rispetto alle femmine, a questi tipi di danno in quanto la loro maturazione scheletrica generale è più tardiva rispetto a quella femminile, e pertanto la fontanella neonatale non si chiude prima dei 2 anni di età. Danni in precise regioni (come la regione settale, in zona ipotalamica) possono produrre allucinazioni o stati oniroidi, simili, cioè al sogno, dove l'individuo non riesce più a distinguere fra sogno e realtà.

d. Comportamento irregolare: bisogno compulsivo di mentire e cosciente atteggiamento ipocondriaco per attirare l'attenzione dei grandi. Dopo la menzogna, il bambino non prova alcun rimorso, anzi ne è sedotto perché sente di poter esercitare un controllo sugli adulti. Secondo l'FBI, il 71% dei serial killers mentiva cronicamente durante l'infanzia, e la percentuale sale al 75% durante l'adolescenza.

e. Problemi con le autorità e di autocontrollo: si tratta di bambini che non tollerano la minima frustrazione, reagendo violentemente, e che si ribellano all'autorità. In uno studio di Ressler et al. (1988), il 67% degli assassini seriali ammette di aver avuto un comportamento ribelle durante l'infanzia, il 58% di aver distrutto cose appartenenti ad altri, il 48% di aver avuto attacchi improvvisi di rabbia e il 36% di essere scappato di case diverse volte (Ressler et al., ibidem).

f. Attività sessuale precoce o bizzarra: in molti casi, il futuro serial killer è un bambino in cui la sfera sessuale si manifesta, suo malgrado, precocemente: spesso oggetto di abusi sessuali sia familiari che extra-familiari, sviluppa una forte attrazione-repulsione verso il sesso che diventa il suo pensiero fisso ed ossessionante. Frequente è il successivo uso di materiale pornografico: in particolare, gli assassini seriali/stupratori fanno un largo uso della pornografia.

g. Ossessione per il fuoco, il sangue, la morte: sebbene tutti i bambini siano affascinati dal fuoco, nel futuro serial killer si trattata di vera e propria piromania, che sfocia nell'azione di appiccare degli incendi dolosi. Il bambino, e l'adolescente, che incendia le cose soddisfa contemporaneamente due pulsioni: quella distruttiva e quella sessuale. La distruzione delle cose è una sorta di rimedio contro il proprio senso di inadeguatezza; il fuoco, inoltre, è, come sostiene Fenichel, un elemento di piacere sessuale sadico, dove la forza del fuoco rappresenta la prepotenza del desiderio sessuale (Fenichel, 1951). Anche il sangue esercita un'attrazione notevole sul futuro assassino seriale, fino ai casi estremi in cui, una volta adulto, la vista del sangue istilla il desiderio di immergervisi (Contessa Bathory) o di berlo, fino ai casi di vero e proprio vampirismo (John Haigh, Fritz Hartmann....). Il gusto per la morte, infine, origina da un contatto precoce con essa, quando il bambino non ha ancora gli strumenti per elaborarla: essa finisce con il diventare un'ossessione, una vera e propria attitudine necromanica.

h. Crudeltà verso gli animali e/o altre persone: nel campione di Ressler et al. (1988), il 36% degli assassini seriali ha agito crudelmente verso gli animali durante l'infanzia, mentre la percentuale sale durante l'adolescenza (46%). Le violenze sugli animali rappresentano una sorta di "banco di prova" delle efferatezze che saranno poi compiute sulle persone; dalle statistiche americane emergerebbe che le stragi di persone compiute da serial killers sono quasi sempre precedute da stragi di animali. In altri casi, le violenze vengono commesse su altri bambini o ragazzi, fino al caso estremo dell'omicidio.

i. Furto, accaparramento e ingordigia: l'appropriazione di cose, la bramosia di possesso rappresentano delle "soluzioni" al vuoto emotivo del bambino. Spesso il furto costituisce l'inizio della carriera criminale del futuro assassino seriale (talvolta legato anche a forme di parafilia, come il feticismo). Questa necessità di accumulo si ripercuote spesso anche sull'alimentazione, specialmente nei casi delle assassine seriali: la maggioranza delle donne inserite nella casistica di De Luca (2001) sono in sovrappeso, se non obese.

j. Comportamento autodistruttivo: il ricorrere ad automutilazioni può, nei casi migliori, rispondere ad un bisogno di attenzione, in quelli peggiori ad un impulso sadomasochistico e ad un precoce desiderio di morte. La "sindrome di automutilazione" può durare per decenni; in essa, si alternano momenti in cui il soggetto si procura tagli e ferite, ed altri in cui manifesta altri disordini (disturbi del comportamento alimentare, cleptomania, abuso di alcool e altre sostanze).

k. Precoce abuso di stupefacenti: spesso è legato all'emulazione di uno dei genitori, generalmente il padre, fruitore di sostanze. Sia varie droghe, sia l'alcool liberano l'individuo da qualsiasi freno inibitorio, facilitando l'acting out. Ricorrono all'uso di sostanze soprattutto quei serial killers che iniziano la loro "carriera" ancora adolescenti (De Luca, 2001).
De Pasquali (2001) mette in luce che il 58% dei soggetti inclusi nel campione italiano soffre di disturbi psichiatrici. E' doveroso sottolineare che non sempre la malattia mentale può essere considerata causa direttadegli omicidi; bisogna considerare sempre anche la personalità premorbosa originaria, così come altri fattori di ordine familiare, ambientale, sociologico (Ingrassia, 1998).

LEONARDA CIANCIULLI: LA SAPONIFICATRICE DI CORREGGIO

Nacque a Montella di Avellino nel 1893, da Emilia Di Nolfi e da Mariano Cianciulli, commerciante salernitano sposato in seconde nozze. Leonarda non fu mai amata dalla madre, che la rifiutava in quanto segno tangibile della violenza fisica perpetrata a suo danno da quello che sarebbe diventato suo marito, Mariano Cianciulli, appunto. Nardina venne quindi al mondo in seguito ad uno stupro, a cui seguì, poi, una sorta di matrimonio `riparatore', assolutamente non dettato da alcun sentimento affettuoso fra i due. E' abbastanza intuitivo, dunque, immaginare che all'interno di questa famiglia non sussistessero le migliori condizioni perché la piccola Leonarda potesse vivere un'infanzia serena. Da subito, dunque, Nardina interiorizzò questo distacco materno nei suoi confronti e si accorse di non provare amore verso la mamma, né verso le sue sorelle, nate dal precedente matrimonio della madre. Leonarda era brutta e malaticcia, e all'interno dell'ambiente familiare veniva emarginata ed isolata. La stessa Leonarda così si descrive nel suo memoriale: "Ero una bambina debole e malaticcia, soffrivo di epilessia, ma i miei mi trattavano come un peso, non avevano per me nessuna delle attenzioni che portavano agli altri figli. La mamma mi odiava, perché non aveva desiderato la mia nascita. Ero una bambina infelice e desideravo morire. Cercai due volte di impiccarmi; una volta arrivarono in tempo a salvarmi e l'altra si spezzò la fune. La mamma mi fece capire che le dispiaceva di rivedermi viva. Una volta ingoiai due stecche del suo busto, sempre con l'intenzione di morire, e mangiai dei cocci di vetro: non accadde nulla". I tentativi di suicidio nei bambini acquisiscono caratteristiche sempre meno violente man mano che essi si avvicinano all'adolescenza: cioè quanto più è piccolo il bambino, tanto più sceglierà un modo cruento per uccidersi (si pone comunque il problema di poter parlare di "scelta" consapevole quando un bambino non ha i requisiti mentali e decisionali atti al compimento di un'azione intenzionale e volontaria). Nel caso di Leonarda, la morte rappresentava al contempo la fuga da quella situazione familiare così triste e fredda, la richiesta di amore, di attenzione, di
considerazione, e, probabilmente, anche il desiderio di vendetta, il desiderio di infliggere a quella madre così lontana affettivamente la giusta quota di sofferenza e di rimorso.
La miseria, le ristrettezze economiche che affliggevano la famiglia Cianciulli non erano nulla in confronto alla solitudine affettiva, al rifiuto materno, alla malattia, all'infelicità; Leonarda voleva soltanto essere amata, perdersi negli abbracci materni, giocare con le sue sorelle, conoscere la tenerezza, vivere come tutti i bambini desiderano e meritano. Il bisogno di sicurezza e di protezione tipico del bambino, che è assicurato da un buon legame di attaccamento, e che rappresenta la necessità fondamentale dell'infanzia (Ammaniti, 1995), le fu dunque negato. Le rassicuranti esperienze di attaccamento verso una figura affettivamente primaria sono importanti per qualsiasi bambino, non solo perché saziano la sua fame di amore materno (Bowlby, 1969), ma anche perché rappresentano il substrato su cui egli costruirà la propria competenza sociale, influenzando direttamente il modo in cui vivrà le relazioni future. In un secondo momento dello sviluppo, infatti, la sicurezza personale dell'individuo, piuttosto che essere legata esclusivamente alla presenza fisica della figura di accudimento, diventa sempre più una caratteristica interna dell'individuo, venendo interiorizzata sul piano rappresentativo in un modello interno che funzionerà come uno schema non cosciente capace di orientare il comportamento interpersonale in maniera coerente con le prime esperienze relazionali (Bowlby, 1969, 1973). In altri termini, il bambino ha bisogno della presenza affettuosa e sollecita della madre ­ o di una figura primaria di accudimento ­ per poter affrontare uno sviluppo armonioso sia dal punto di vista affettivo, sia cognitivo, sia relazionale. Amore, attenzione, cure, tutto ciò fu negato all'infanzia di Leonarda, lasciando una traccia indelebile dentro di lei, e segnando le sue scelte, quindi il suo destino.
Secondo Leibl (1950), una bambina cresciuta in un ambiente di freddezza e eccessiva severità, reprimerà ogni impulso di fiducia e di affetto, e cercherà nella bugia il mezzo naturale di autodifesa e come tentativo di salvare la propria vanità; da adulte, alcune di queste bambine, saranno particolarmente suggestionabili, e si abbandoneranno ai loro sentimenti senza freni con conseguenti azioni illecite, immorali e spesso delittuose. In esse, inoltre, si riscontra una frequente tendenza al suicidio, che testimonia l'assenza di slancio e di gioia vitale (Leibl, ibidem). In altri casi, dinanzi alla disarmonia dell'ambiente familiare, vi sono bambine che sviluppano una reazione di estrema disobbedienza e durezza, e che sono attuano comportamenti devianti, come furto e lesioni personali (Leibl, ibidem).
Nel corso dell'infanzia, la piccola Nardina ingannava la sua solitudine passando il tempo a parlare con le cose, con gli animali, con amici immaginari: veniva definita una bambina "strana" sia per questo comportamento bizzarro, sia perché soffriva di attacchi epilettici e di incubi notturni. Anche durante la notte, dunque, la bambina non era serena, aveva incubi che la terrorizzavano e, presumibilmente, ciò aveva un collegamento diretto con la relazione con la madre. Secondo Ingrassia (1998), infatti, una relazione disarmonica tra madre e bambina suscita, nell'inconscio di quest'ultima, l'immagine della matrigna crudele, per cui viene tormentata da sogni angosciosi e nelle sue fantasticherie si incontrano spesso immagini crudeli e sanguinose, episodi di aggressione frammisti a episodi di tortura, di violenza e di morte (Ingrassia, ibidem).
Nel sogni d'angoscia, sperimentati dal 30% dei bambini (Casou, Feldman, in Marcelli, 1998), il bambino sogna qualcosa che lo atterrisce, e si sveglia urlando e piangendo, richiedendo la rassicurazioni da parte dei genitori: possiamo immaginare quale sia stato il comportamento dei genitori di Leonarda, in special modo della madre, dinanzi alle sue urla atterrite nel cuore della notte. Anche le crisi epilettiche3, di cui Nardina soffriva, avrebbero richiesto una particolare attenzione da parte della famiglia: il sostegno dato dai genitori al bambino malato è fondamentale per aiutarlo a superare la paura, il senso della diversità, e per affrontare il percorso di guarigione. Anche questo mancò a Leonarda. La disperazione e le crisi di rabbia di Nardina erano più che giustificate. Si sentì da sempre una "diversa". E lo fu per sempre. In aggiunta a ciò, l'infanzia della Cianciulli fu ulteriormente segnata da un altro evento traumatizzante: un giorno Leonarda assistette casualmente ad un omicidio, nel corso di una sparatoria in una piazza del suo paese. Ne rimase sconvolta. Il suo primo incontro con la morte non avrebbe potuto avvenire in un modo peggiore.
Fu durante l'adolescenza che, finalmente, Nardina trovò la sua porzione di serenità: nonostante l'aspetto tarchiato (era grassa e alta appena un metro e 50) e l'aria mascolina, riuscì a dar adito al suo carattere gioviale e socievole; sulle coetanee era capace di far presa, raccontando le sue precoci avventure sessuali col sesso opposto, che, come lei dirà, rappresentavano l'unico momento piacevole nella sua vita triste e grigia. Si parla di una ipersessualità della Cianciulli, ma non vi sono prove a riguardo, tranne le numerose successive gravidanze.
Nel 1910, quando Leonarda aveva17 anni, morì il padre, che era diventato amministratore dei beni di una casa principesca. Questo fu un evento che non lasciò tracce nell'animo della giovane Cianciulli.
Quando Leonarda ha 20 anni, accadde un evento che condizionerà tragicamente la sua vita futura, così come quella delle donne che diventeranno poi le sue vittime. Una zingara le fece la seguente predizione: "Ti mariterai, avrai figliolanza, ma tutti moriranno i figli tuoi". In seguito a questo episodio, Leonarda rifiutò di sposare un cugino, perché riteneva di essere vittima di una "fattura". Dobbiamo considerare che il pensiero magico, la superstizione, erano elementi che caratterizzavano fortemente il mondo femminile dell'epoca, specie nei piccoli centri, e specie nel Sud dell'Italia. Erano le donne, infatti, a detenere l'arte della magia: la "fattucchiera" era l'esperta, colei che infliggeva fatture su richiesta ed era in grado di togliere il malocchio attraverso un rito che passava di madre in figlia durante la notte di Natale. Vedremo tra poco con quanto prepotenza queste credenze superstiziose entreranno nella vita di Leonarda, condizionando le sue scelte e manifestandosi all'interno di un vero e proprio rito magico `psicotico'.
Più tardi, interrogando un'altra zingara, questa, leggendole la mano, le disse: "Vedo nella tua mano destra il carcere, nella sinistra il manicomio". Se i due episodi ricordati erano frutto della fantasia della Cianciulli o corrispondevano al vero non si sa, ma la profezia della prima zingara si avverò presto. Nel 1917, Leonarda, vincendo le sue paure superstiziose, decise di sposare un dipendente comunale conosciuto da poco, Raffaele Pansardi, sebbene la madre non fosse d'accordo e pretendesse che sua figlia sposasse il cugino; la maledisse persino il giorno del suo matrimonio, al quale, ovviamente, non partecipò. Morirà qualche tempo dopo, nel manicomio di Eboli (da precisare che la nonna materna era stata in quello di Battipaglia).
Pare che la prima notte di nozze si concluse in clamoroso insuccesso da parte del Pansardi; l'entusiasmo sessuale di Leonarda metteva a dura prova l'indole tiepida di suo marito. Ma, nonostante questo, ben presto arrivò la prima gravidanza, e, con essa, l'avverarsi della prima profezia della zingara.
Leonarda infatti rimase incinta ben 13 volte: tre furono parti prematuri, e dieci figli nacquero, ma morirono
in tenerissima età (De Pasquale, 2001, De Luca, 2001). "Quando mi vedevo in stato interessante, avevo quasi paura." La donna era sicura fosse colpa del malocchio lanciato dalla madre: infatti la sognava sempre prima di perdere un figlio. Per ovviare a questo, si rivolse a maghe, fattucchiere, spiritiste, per sconfiggere la maledizione materna; una volta una zingara le disse di buttarsi in un torrente gelato e farsi venire la polmonite per salvare uno dei suoi figli, ma la polmonite non venne, e il figlio non si salvò. Allora, decise di acquisire lei stessa i rudimenti dell'arte magica e diventò strega per amore dei suoi figli. Ad un certo momento, infatti, sembrò riuscire a sconfiggere il malocchio materno, perché ebbe altri 4 bambini, che superarono incolumi i prima anni di vita, e sopravvissero: Giuseppe, Bernardo, Biagio e Norma. Anche Bernardo, ad un certo momento, si ammalò gravemente, ma una zingara riuscì a guarirlo con infusioni d'erbe; questa prestazione costò molto a Leonarda in termini di denaro, tanto che dovette rubare denaro e oggetti dalla casa coniugale.
Ad un certo punto, un altro evento catastrofico cambiò il corso della vicenda, che dal 1930 in poi si svolgerà a Correggio, in provincia di Reggio Emilia: il terremoto in Alta Irpinia distrusse la casa dei Pansardi, a Laurana. La famiglia si trasferì dunque in provincia di Reggio Emilia; l'abitazione consisteva in una camera ammobiliata concessa dallo stato. Il marito, che in un primo tempo aveva avuto un impiego nell'Ufficio del Registro, perso poi il lavoro, passava il tempo a bere nelle osterie. La famiglia Pansardi non navigava di certo nell'oro, tutt'altro. Ma la gente di Correggio non si mostrò indifferente alla sua povertà: le donne del posto regalavano a Leonarda abiti per i suoi bambini, mobili, e spesso del cibo; nonostante questa situazione, Leonarda non si perse d'animo e prese in mano le sorti della sua famiglia, riuscendo in qualche mese a ribaltare la sua precaria situazione economica. Innanzitutto si dimostrò un'abile commerciante di abiti usati, ma la maggior fonte del suo guadagno fu quanto aveva appreso dell'arte della chiromanzia, della stregoneria: era in grado di leggere il futuro alle sue clienti e di togliere loro il malocchio. La sua simpatia, la sua comunicativa, la sua esperienza fecero di lei una "maga" molto ricercata e di grande successo. Sebbene la sua casa non fosse bella, essendo ammobiliata con mobili vecchi, l'atmosfera era sempre festosa: Leonarda era anche un'abile ricamatrice ed esperta nell'uncinetto, dunque il mobilio, le pareti, erano ricoperti di centrini e di stoffe colorate da ricami fantasiosi fatti con le sua mani. Le pentole sempre sul fuoco, i suoi figli accovacciati per terra a giocare, a cui si univano anche i figli delle clienti chefrequentavano la sua casa, davano all'ambiente quel calore e quell'allegria che tanto faceva presa sulle donne
di Correggio. Alle 17.00, la preparazione di amuleti e ogni altra attività magica si fermava, e Leonarda serviva tè e dolci rigorosamente preparati da lei. Tutto sembrava andare per il meglio: la famiglia, oltre ad essersi ben inserita nel tessuto sociale di Correggio (Leonarda si prodigava anche in opere pie: preparava pacchi di abiti e dolci da spedire ai carcerati), era ora benestante, e la donna ora poteva permettersi di comprare abiti per sé e per i figli, così come di farli studiare. Nel 1939, Giuseppe, il suo prediletto perché il primo che aveva infranto la maledizione materna, si iscrisse alla Facoltà di Lettere a Milano e la madre riuscì anche a trovargli impiego come istitutore presso il Collegio Nazionale di Correggio; Giuseppe e Biagio frequentavano il Ginnasio e Norma l'asilo in un istituto di suore. I suoi figli erano quasi un'ossessione per lei; racconta Gastone Tamagnini, ora preside in pensione, ma da studente compagno di giochi dei figli della Cianciulli: "Il vero cruccio di quella donna erano i figli. Non li abbandonava un solo istante, Dovevano essere sempre sotto il suo controllo. Ricordo bene una scena accaduta dietro il teatro di Corso Cavour, a pochi passi dalla loro abitazione. Eravamo con due dei suoi figli, quando di avvicinò e ci minacciò: "State attenti ai miei ragazzi, se non volete che vi metta le budella al collo!". Era una donna che non avrei voluto per madre". Probabilmente questa ossessione materna traeva origine proprio dalla mancanza di amore vissuta nel corso della propria infanzia: il prendere distanza da quel modello materno così freddo,disamorato, e crudele, aveva reso Leonarda una madre che, sì, indubbiamente amava i propri figli, ma in modo eccessivamente ansioso e vischioso. La protezione che voleva rivolgere loro non era solo quella fisica, materiale, perché Leonarda sentiva di dover proteggere i suoi figli soprattutto dal mondo sovrannaturale, sapendo che sulle loro teste pesava ancora lo spettro della maledizione della loro nonna.
Stanco dei continui rimbrotti che Leonarda gli rivolgeva, un giorno Raffaele Pansardi, sbattè la porta e se ne andò di casa. Per la Cianciulli fu una vera e propria liberazione; gli affari andavano a gonfie vele, erano arrivati anche i finanziamenti statali per i terremotati: in sostanza, la situazione era così florida che Leonarda poteva permettersi di traslocare in una casa più bella, in Via Cavour, e di assumere anche una domestica.
Una notte, dopo tanti anni, ebbe un incubo terribile: sognò nuovamente sua madre, che la minacciava con aria maligna e crudele. L'interpretazione di Leonarda fu univoca: la madre, dall'Aldilà, voleva strapparle un altro figlio! Siamo al momento dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, in Europa già si combatte e Giuseppe ha l'età giusta per essere chiamato alle armi. Leonarda sentì che era necessario fare di tutto per impedire che suo figlio andasse in guerra, e che inevitabilmente morisse. Cosa fare? La risposta arrivò in un altro sogno: la Madonna, con un bambino nero fra le braccia, dice a Leonarda che per evitare di perdere i suoi figli, lei dovrà sacrificare altrettante vittime umane. Ecco, è così che riprende in modo più violento una ideazione di tipo mistico, magico, che produrrà conseguenze nefaste nella vita di Leonarda ed in quella di
altre tre donne, le sue vittime. In qualche modo, potremmo pensare ad una sorta di vero e proprio delirio.
Scientificamente, sono riportati modi diversi di manifestare un delirio: in modo vago e confusionario, o in modo razionale e logico. Ebbene, il delirio di Leonarda rientra in quest'ultima categoria. Questa forma, tipica della paranoia, viene comunicata con chiarezza e precisione, con coerenza intrinseca dei ragionamenti esibiti, mentre sono solo le premesse ad essere erronee (Pancheri, Biondi, 1994). Leonarda non era fuori di sé, non era folle, al contrario, era assolutamente lucida e determinata nel voler proteggere i suoi figli: il suo amore di madre era talmente grande che poteva combattere anche contro il `destino'. Ma lo fece con armi `magiche', attraverso il sacrificio di vite.
Leonarda non esitò. Pensò subito a quale sarebbe stata la sua prima vittima: si trattava di una sua amica, Faustina Setti, una 73enne nubile che, nonostante gli anni, desiderava ancora ardentemente un compagno e che, per questa ragione, si recava spesso a casa della Cianciulli per avere qualche speranza. Leonarda le disse che da poco un uomo benestante che viveva a Pola, vicino Avellino, si era rivolto a lei perché in cerca di una compagna, e che lei gli aveva, appunto, parlato proprio della sua amica. Faustina Setti era raggiante. La proposta di rifarsi una vita era allettante. Accettò. Leonarda la invitò a vendere i suoi beni, la casa, la terra per presentarsi a questo ricco signore con una cospicua dote, ed inoltre, le raccomandò di non parlarne con nessuno, perché l'invidia della gente ­ il malocchio - avrebbe potuto ostacolare la realizzazione del sogno.
Faustina si attenne ai consigli dell'amica fattucchiera; andò dal parrucchiere, si tinse i capelli di biondo, si vestì bene, si truccò e il 18/12/1939, il giorno della partenza, si recò a casa della Cianciulli per salutarla.
Leonarda ne ricorda l'aspetto patetico: "Voleva sembrare una bambina". La domestica di Leonarda la incontrò per le scale, e in seguito dichiarò: "La signora Setti arrivò piuttosto presto e io stentai a riconoscerla, tanto era ben vestita e truccata. Mi confidò che stava per andare a trovare certi suoi parenti nel meridione. Poi dalla cucina apparve la mia padrona, sembrava agitata, era tutta rossa in faccia, come se avesse corso, e mi ordinò di andare a sbrigare alcune commissioni urgenti in paese". Leonarda fece accomodare Faustina per un caffè, mentre un pentolone pieno d'acqua bolliva sul fuoco. All'amica, che chiese a cosa servisse quell'acqua bollente, la Cianciulli rispose che intendeva preparare una scorta di sapone per l'inverno; a tal fine, aveva sciolto ossa di maiale e di altri animali nell'acqua bollente e nella soda caustica.. Poi la convinse a scrivere alcune lettere e cartoline che avrebbe dovuto spedire appena arrivata nel paese del suo futuro compagno, in cui annunciava a parenti e amici che tutto era andato bene. Faustina, quasi analfabeta, scriveva sotto dettatura dell'amica, ringraziandola perché da sola non ne sarebbe stata capace, convinta che appena giunta a Pola le avrebbe imbucate. Leonarda le chiese di rileggere a voce alta quanto scritto, e nel mentre si alzò, prese una scure e si avvicinò alle spalle di Faustina, spaccandole la testa. A questo punto, trascinò il corpo in uno stanzino e lo sezionò in nove parti, aiutandosi anche con un seghetto e un coltellaccio da cucina, e raccogliendo il sangue in un catino. Dapprima tagliò le gambe all'altezza delle ginocchia, mettendovi sotto un pezzo di legno, "..per non rovinare il filo della scure"; i moncherini vennero appoggiati sull'orlo di due pentole perché il sangue non imbrattasse tutto il pavimento; infine recise la testa, le braccia, le cosce e divise il tronco in due. Mise i pezzi più grandi nel pentolone con la soda caustica; il fuoco sotto di esso resterà acceso dalle 19.00 alle 4.00 del mattino dopo. In seguito, al processo, così ricorderà quei momenti: "...gettai i pezzi nella pentola, aggiunsi sette chilogrammi di soda caustica, che avevo comprato per fare il sapone, e rimescolai il tutto finché il corpo sezionato si sciolse in una poltiglia scura e vischiosa con la quale riempii alcuni secchi e che vuotai in un vicino pozzo nero. Quanto al sangue del catino, aspettai che si coagulasse, lo feci seccare al forno, lo macinai e lo mescolai con farina, zucchero, cioccolato, latte e uova, oltre a un poco di margarina, impastando il tutto. Feci una grande quantità di pasticcini croccanti e li servii alle signore che venivano in visita, ma ne mangiammo anche Giuseppe e io".
La domestica affermò di aver trovato, al suo ritorno a casa, la seguente situazione: "Quando rincasai dalle mie commissioni, trovai sul fuoco il pentolone che bolliva, mandando per tutta la casa un odore pestilenziale. Mi avvicinai al fornello, notando che dal pentolone fuoriusciva un'enorme quantità di grasso marrone-rossiccio. La mia padrona mi gridò di non impicciarmi. Mi accorsi che il pavimento della cucina era stato lavato da poco. Trovai la cosa molto strana perché lei si faceva un vanto di far fare a me, che ero la domestica, i lavori più umili e pesanti....Comunque non immaginai neanche lontanamente la terribile verità, soprattutto perché in quel momento rientrò Giuseppe, il figlio ventenne della signora, che sollevò il
coperchio del pentolone, studiò per un momento il suo contenuto, lo richiuse e si mise a confabulare con la madre". Leonarda ricavò anche una candela che accese, in devoto ringraziamento, davanti all'immagine di Gesù.
Qualche giorno dopo, mandò Giuseppe a Pola per svolgere una commissione e gli disse di imbucare le lettere
di Faustina, che sarebbero quindi arrivate ai destinatari con il timbro di Pola. Con i beni della Setti, pagò l'Università al figlio.
La madre le apparve nuovamente in sogno, per due volte; per neutralizzare le sue maledizioni, Leonarda sentiva di dover necessariamente trovare altre due vittime. Il rito doveva continuare.
La seconda vittima fu Francesca Soavi, 55 anni, che, per guadagnare qualcosa gestiva un asilo d'infanzia presso la sua abitazione. Leonarda la informò che un suo amico sacerdote, direttore di un collegio a Piacenza, cercava una persona affidabile da assumere come insegnante e che lei aveva fatto proprio il suo nome: era pertanto attesa a Piacenza per un colloquio. Il consiglio che la Cianciulli dette a Francesca fu di partire immediatamente, perché quello era un impiego molto ambito, e quindi la perdita di tempo avrebbe aumentato le probabilità che qualcun altro le soffiasse il posto. Per accelerare il momento della partenza, Francesca, spinta dall'amica, le affidò per procura la vendita di tutti i suoi beni, e le chiese di spedirle il ricavato nel piacentino. Il 5/9/1940 Francesca passò a salutare l'amica, la quale le dette alcune cartoline da scrivere ai parenti di fuori, suggerendole di inviarle da Correggio, perché così nessuno sapesse che si trovava a Piacenza prima di esser certa di aver ottenuto il lavoro. Come con la Setti, non appena Francesca iniziò a scrivere, la colpì con la scure...la trafila fu la stessa, ma con una variante. Pare, infatti, che la Soavi fosse più formosa della precedente vittima e che Leonarda non riuscì a farla entrare nel famoso pentolone; fu perciò costretta a tagliarle la testa, ad infilarla in un sacco che poi, stando a quanto detto da un'altra domestica (la domestica precedente se ne era andata per crisi nervose...!), fu dato al figlio Giuseppe affinché se ne disfacesse. Tre giorni dopo la sua morte, Leonarda vendette gli effetti personali e i beni della vittima, ma dal punto di vista economico, questa morte non fu redditizia.
Il terzo sacrificio umano è quello di Virginia Cacioppo, una vedova di 59 anni che da giovane aveva avuto un discreto successo come cantante lirica. Il 30/11/1940 Leonarda la attirò a casa sua, dicendole di averle trovato un posto come impiegata ­ magazziniera - in un teatro fiorentino; un suo amico, impiegato presso il teatro, le aveva detto che poteva esserci per l'ex-cantante anche l'eventualità di un'audizione per una scrittura. Il fatidico pentolone era sul fuoco; anche Virginia vi finì dentro, e con il suo grasso Leonarda fabbricò una gran quantità di saponette e candele che regalò alle amiche e vicine di casa. I preziosi gioielli di Virginia furono nascosti da Leonarda in un mattone cavo, che dette in custodia ad un suo amico rigattiere.
Ma qualcosa andò storto; nonostante la Cianciulli avesse raccomandato a Virginia di mantenere il massimo riserbo sulla questione perché la persona che l'attendeva a Firenze era un suo ex-amante, la Cacioppo ne aveva invece parlato con una sua cognata di Napoli, Albertina Fanti (durante il processo fu definita uno Sherlock Holmes in gonnella), che, non ricevendo più notizie da parte sua, si informò presso il teatro di cui Virginia le aveva parlato, scoprendo che in realtà non esisteva. Inoltre, controllando i vestiti venduti dopo la "partenza" di Virginia, risultava che questa avesse lasciato anche il cappotto, e fosse partita solo con l'abito che aveva addosso. A questo punto, convinta che qualcosa fosse accaduto alla cognata, andò a denunciarne la scomparsa nella stazione dei Carabinieri di Correggio. La Fanti, una volta sul luogo, raccolse tutta una serie
di chiacchiere e dicerie relative alla donna che, dopo la "fuga" misteriosa di alcune signore, si era incaricata di venderne i beni: Leonarda Cianciulli. Insieme alle amiche delle altre due donne scomparse, si recò a Reggio Emilia per rivolgersi al Commissario Serrao, che, ascoltate le dichiarazioni delle donne, decise di aprire un'inchiesta.
Nel Gennaio del 1941, un sacerdote di Correggio, don Adelmo Frattini, si recò in banca per cambiare in denaro un buono del tesoro che si scoprì appartenere a Virginia Cacioppo. Interrogato al riguardo, il sacerdote disse di averlo ricevuto da un rigattiere, Spinabelli (si diceva, tra l'altro, che fosse un amante della Cianciulli); questi, a sua volta, disse di avere avuto il titolo come forma di pagamento dalla Cianciulli.
Vennero arrestati tutti e tre. Ma il Commissario Serrao si rese conto che né Spinabelli, né Frattini avevano a che fare con la sparizione delle tre donne. Decise di perquisire casa Cianciulli, eppure non furono trovate tracce. In fondo, la Cacioppo poteva aver lasciato alla Cianciulli quei buoni del tesoro in cambio di denaro liquido subito prima di partire. Ad un certo momento, Spinabelli si ricordò di aver ricevuto in custodia da Leonarda un mattone; la Polizia lo trovò, lo ruppe e dentro rinvenne i gioielli di Virginia Cacioppo. Nel marzo del 1941, dopo un'ennesima perquisizione in casa della Cianciulli, furono trovati gli abiti dell'ex-cantante, ma Leonarda si difese asserendo che non c'era nulla di strano in tutto ciò, in quanto da sempre si era occupata della vendita di abiti usati. Ma Giuseppe, il giovane figlio della Cianciulli, dopo un interrogatorio serrato, confessò di aver spedito lettere e cartoline da parte di due delle donne scomparse: viene tratto in arresto. A questo punto, la madre si rese conto che il figlio, che aveva disperatamente cercato di salvare dalle maledizioni e dalla cattiva sorte, era in grave pericolo: non esitò a confessare di essere lei la causa delle tre scomparse su cui si stava indagando. Dichiarò i tre omicidi. Il commissario sospettava che Leonarda non avesse agito da sola, per l'occultamento dei cadaveri; la Cianciulli accusò infatti Spinabelli di essere stato suo complice. Questi venne arrestato, ma fu presto rilasciato perché non fu trovato niente a suo carico.
Il processo iniziò a Reggio Emilia nel Giugno 1946. Anche per il procuratore generale Leonarda non poteva avere agito da sola; il figlio Giuseppe venne imputato di correità: "Leonarda Cianciulli e suo figlio Giuseppe Pansardi hanno agito in coppia, spinti da sordidi motivi di interesse. La criminologia ha descritto spesso casi del genere, in cui due individui agiscono insieme, l'uno nella parte di dominatore, l'altro di succube; noi affermiamo che la madre è un vero e proprio genio del male, ma che anche suo figlio è colpevole per averla aiutata sia psicologicamente che materialmente a realizzare i massacri e a fare scempio dei poveri resti delle vittime, le quali non avranno nemmeno mai il conforto di una degna e cristiana sepoltura". Quando sentiva le accuse contro suo figlio, questa donna, impassibile se si parlava di lei, diventava, ancora una volta, una belva: "Mio figlio è innocente: torturatemi, fatemi a pezzi, se volete, ma io ripeterò fino alla morte che ho fatto tutto da sola, perché la verità è questa. Giuseppe è innocente, sono io il mostro, io la saponificatrice, io la strega...Mettetemi in croce, se pensate che questo serva a ristabilire la giustizia, ma risparmiate un innocente, quel figlio per la cui salvezza ho fatto tutto questo!".
Durante il processo venne convocato un esperto di medicina legale, il Professor Crema, che affermò che una persona che avesse eseguito da sola tutta le operazioni di trasporto e squartamento di un cadavere non avrebbe potuto impiegare un tempo inferiore a circa due ore di tempo. Così parlò Leonarda: "In meno di 20 minuti tutto era finito, compresa la pulizia. Potrei anche dimostrarlo ora!". Si dice che la Cianciulli, nel corso del processo, chiese di poter mostrare la sua velocità nel sezionare i corpi e che, per questo, fu portata all'obitorio dove smembrò il corpo di un vagabondo in soli 12 minuti.
Ecco la confessione di Leonarda: "Dopo aver fatto a pezzi il cadavere, mettevo la caldaia sul fuoco la sera alle ore 19.00 e tutta la notte la lasciavo andare, fino alle 4.00 del mattino. Il calderone conteneva 5 chili di soda caustica in ebollizione. I pezzi non adatti alla saponificazione, deposti in un bidone a parte, li versavo un po' nel gabinetto e un po' nel canale che scorre vicino a casa mia. Finita l'operazione, mi accorsi che nel sapone c'erano dei pezzi più duri. Erano delle ossa che non ero riuscita a saponificare, ma che pure erano divenute fragilissime, tanto che si dissolvevano a toccarle. Il sangue di solito lo riunivo a marmellata col cioccolato, aromi di anice e vaniglia, oppure garofano e cannella. Qualche volta in queste torte, che offrivo alle mie visitatrici, ci mettevo anche un pizzico della polvere ricavata dalle ossa delle morte".
Nonostante l'impianto accusatorio fosse volto a dimostrare che Leonarda era assolutamente capace di intendere e di volere, e che il movente degli omicidi altro non fosse che il guadagno economico, la perizia psichiatrica, condotta dal professor Saporito, docente presso La Sapienza di Roma e direttore del manicomio giudiziario di Aversa, la dichiarò incapace di intendere e di volere, in quanto soggetto psichicamente isterico per esasperazione dell'istinto materno. Fu condannata a 30 anni di carcere, di cui almeno tre da passare in un manicomio criminale. Durante la reclusione, Leonarda Cianciulli occupava il tempo a scrivere, lavorava all'uncinetto e cucinava biscotti, come ricordò una suora che l'aveva conosciuta: "Era bravissima con l'uncinetto. Quando finiva un centrino, me lo affidava perché lo donassi a qualche persona buona. Era
brava anche in cucina. Malgrado gli scarsi mezzi di cui disponevamo preparava dolci gustosissimi che nessuna detenuta però, si azzardava a mangiare. Credevano che contenessero qualche sostanza magica". In carcere riceveva le visite dei figli e in occasione di visite di funzionari del Ministero, o un alto prelato, pretendeva di essere lei a fare il discorso di benvenuto. Quando le veniva chiesto di spiegare il perché di quegli omicidi, dichiarava: "Non sono contenta di ciò che ho fatto, ma lo rifarei, perché uccidendo quelle tre donne sono riuscita a beffare la Morte e a impedirle di strapparmi mio figlio!...Per fermare la Morte dovevo offrirle qualcuno da prendersi al posto di mio figlio: sangue per sangue, ossa per ossa, vita per vita. Non ho ucciso per odio o avidità, ma solo per amore di madre,". Leonarda era davvero convinta di aver agito da
buona madre; il guadagno economico era dunque solo un beneficio secondario.
Va sottolineato che alla Cianciulli sono stati attribuiti, sebbene non vi siano prove, altri 7 omicidi.
Così ci parla di lei il Professor Rosapepe, vicedirettore del manicomio criminale di Pozzuoli: "Il primo incontro che ebbi con lei fu molto strano. Si inginocchiò davanti a me e cominciò a parlarmi dei suoi ragazzi. Era ubriaca d'amore per loro. Nell'aspetto fisico, non certo gradevole, presentava quei segni ­ un viso rotondo e sempre rosso ­ che alimentano la leggenda delle sue stregonerie. Parlava, parlava in continuazione, era una piacevole chiacchierona. Sì, perché Leonarda Cianciulli era anche una donna simpatica".

Morì nel manicomio giudiziario per donne di Pozzuoli, il 15 ottobre 1970, stroncata da apoplessia celebrale e fu sepolta nella fossa comune del cimitero della cittadina napoletana.
Secondo Paolo De Pasquali (2001), possiamo attribuire a Leonarda Cianciulli un disturbo schizotipico di personalità. Innanzitutto, i disturbi di personalità si hanno quando i tratti di personalità (modi costanti di percepire, rapportarsi e pensare nei confronti dell'ambiente e di se stessi) diventano rigidi e non adattivi, causando compromissione del funzionamento sociale e lavorativo, oppure sofferenza soggettiva. Il disturbo di personalità SCHIZOTIPICO è caratterizzato dalla presenza di idee e di credenze di riferimento strane, dall'uso del pensiero magico che influenza il comportamento, da un linguaggio e pensiero strani (es. metaforico, iperelaborato o stereotipato), da comportamenti e aspetto eccentrici, da ideazione paranoide o
sospettosità, affettività inappropriata. In Italia, anche De Martino (l'infermiere satanico, che uccise 4 ­ forse anche più ­ pazienti) rientra nel quadro del disturbo schizotipico.
In aggiunta a ciò, troviamo nella Cianciulli una forma particolare di necromania, che è una forma maligna di necrofilia, che è una parafilia (perversione) che consiste nell'attrazione sessuale verso il cadavere. Il serial killer è necromane ha infatti una perversione dell'istinto di vita che determina attrazione per la morte e compulsione ad uccidere. La necromania consiste nella ricerca di un rapporto diretto con la morte, ottenuto mediante l'uccisione e il successivo contatto con il cadavere (De Pasquali, 2001). Il godimento è legato nel dare la morte, e nel modo in cui la morte è data; inoltre, è insito anche al successivo contatto col cadavere.
Toccarlo, squartarlo, immergervi le mani, decapitarlo, depezzarlo, cibarsene, esaminarlo, nasconderlo, cuocerlo, sono alcune delle operazioni che procurano un intenso piacere al necromane. Queste azioni, che sono anche finalizzate all'occultamento del cadavere, assicurano il piacere perverso di avere a che fare con la morte, quindi di gestirla e dominarla (De Pasquali, ibidem). Il bisogno di uccidere è quindi legato al piacere che se ne trae, e come altre coazioni a ripetere non è contrastabile dalla volontà del soggetto: il serial killer smette di uccidere solo se interviene qualcosa o qualcuno che rompe il cerchio degli omicidi. I necromani che si cibano di parti del cadavere, come la nostra Leonarda, introiettano simbolicamente l'oggetto amato o temuto per controllarlo completamente o dominarlo. E' probabile che Leonarda mangiasse le sue vittime per ultimare il rito magico delirante, per presenziare ad una sorta di mistico banchetto, che altro non era che il corpo e il sangue di una persona consacrata "eucarestia" all'interno di una sorta di Messa Nera.
Osserviamo in Leonarda anche una forma di necrosadismo, piacere nel mutilare e fare scempio di cadaveri (anche se non vi erano stati rapporti sessuali), e di necrofagia, cibarsi dei cadaveri.
Se volessimo azzardare una diagnosi per Leonarda Cianciulli, potremmo pensare ad un disturbo delirante (paranoia) all'interno di una personalità di tipo schizotipico.
I dati ci dicono che il serial killer necromane è un soggetto molto chiuso in se stesso, fin da bambino, asociale, freddo, privo di emozioni e perso nel suo mondo immaginativo: come non ritrovare la Leonarda bambina in questa descrizione? E' anche vero che la Cianciulli è un caso particolare di necromane: in lei, infatti, la necromania non è primaria, ma è la conseguenza di una costellazione di idee che trovano la loro origine in un disturbo schizotipico di personalità. Pur essendo disinvolta nei suoi confronti, non ama la morte, come i serial killer necromani, che vivono solo per la morte e attraverso di essa, bensì la usa come unica risposta comportamentale possibile dinanzi alle proprie convinzioni. Per il necromane, l'Altro non esiste come persona, ma solo come oggetto da cui trarre piacere attraverso una modalità mortifera (De Pasquali, 2001); Leonarda, a modo suo, amò intensamente i suoi figli. Il Dottor Rosapepe racconta inoltre che quest'amore ossessivo verso i figli non era stato assolutamente intaccato dalla reclusione, né aveva assunto, in seguito all'incontro con vari specialisti, caratteristiche di maggiore aderenza alla realtà, ossia la donna era sempre convinta di poter agire contro delle forze ultraterrene: "Un giorno arrivò a confidarmi che non avrebbe esitato a dar fuoco al manicomio se avesse saputo che i suoi figli erano in difficoltà". Leonarda Cianciulli rimase uguale a se stessa fino alla fine dei suoi giorni.

Sara Grifagni

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