LA FORMAZIONE : TEORIE, MODELLI E PROBLEMI *

1- Diverse concezioni dietro diverse definizioni

Le definizioni non sono mai solo questioni semantiche. Dietro ad  esse si nascondono sempre diversi modi di intendere l'oggetto da  definire, cioè  diverse  filosofie. Così la formazione viene  definita  in  modi diversi  e realizzata in differenti maniere, a seconda  delle  diverse visioni che sottende. Tali diversità riguardano alcuni "nodi" centrali che fungono da bivio decisionale e che danno opposte caratterizzazioni alla formazione.

Il  primo  "nodo"  è quello che  scorre  sull'asse  EMOTIVO-RAZIONALE.

All'estremo che identifica la formazione  col  cambiamento  emotivo  e psicologico si collocano i formatori di estrazione psicologica, la cui prassi  confina  con  quella  terapeutica e  la  cui  filosofia  è  in prevalenza   idealistica.   Per  costoro  l'unico   vero   cambiamento ottenibile  con  un'azione formativa è quello  soggettivo,  personale, legato   all'essere   dell'utente.  La  formazione  è   quindi   vista soprattutto  come  un'azione finalizzata alla  ristrutturazione  degli atteggiamenti,   allo  sviluppo  della  sensibilità,  alla  presa   di coscienza. All'estremo opposto si collocano i formatori di  estrazione illuminista o positivista o razionalista, per i quali la formazione  è  un'azione di allargamento del campo cognitivo e di trasformazione  dei comportamenti,  intesi  come modelli razionali di risposta.  Al  primo gruppo  appartengono  i formatori che privilegiano metodi  e  tecniche

"autocentrate", cioè centrate sugli utenti, dei quali stimolano l'auto riflessione.  Al secondo gruppo appartengono i formatori centrati  sui "contenuti", che fanno uso prevalente di modalità direttive e trasmissive.  In  posizione intermedia si collocano  i  formatori  che enfatizzano l'apprendimento attraverso l'esperienza e privilegiano  le metodologie attive. L'esperienza può infatti riguardare la sfera delle emozioni e degli atteggiamenti, oppure l'area strumentale e cognitiva: in entrambi i casi si tratta di situazioni da laboratorio, officina  o atelier, nelle quali formatori e formandi cooperano all'ottimizzazione dell'apprendimento.

Un secondo grande "nodo" concerne la dicotomia fra una visione depositaria e trasmissiva della formazione, ad una visione problematizzante e maieutica.

Nel primo caso la formazione è concepita come  un  processo  di  trasmissione  dell'eredità  culturale  di  una generazione  all'altra, come un trasferimento di conoscenze  e  valori accreditati.  Nel secondo caso come un'azione di scavo e  stimolazione del  potenziale degli utenti, i quali vengono sottoposti a problemi  e dubbi  affinchè trovino da soli le proprie soluzioni originali.  Dalla prima impostazione  scaturisce  una  psico-pedagogia  direttiva, cioè  che

"dirige" i formandi verso un sapere  prestabilito. Dalla seconda impostazione  scasturisce una psico-pedagogia non direttiva o  attiva, che si limita a stimolare ed aiutare i formandi a trovare le  risposte di cui hanno bisogno.

Il terzo "nodo" riguarda l'alternativa fra cambiamento INDIVIDUALE e cambiamento ORGANIZZATIVO. La prima concezione è di marca prettamente illuministica: i soggetti apprendono e mutano, crescono   e progrediscono   attraverso  la  conoscenza; e tale appropriazione individuale  del  sapere fa procedere i singoli e la Storia  verso  il progresso.  Questa  idea  è  alla base  di  molte  attività  formative odierne: dall'aggiornamento degli insegnanti, ai corsi interaziendali, ai  seminari  di "crescita personale" di  ispirazione  californiana  e orientale.  La  seconda impostazione e strutturalistica  o  sistemica.

Essa  ipotizza che il cambiamento (cioè l'apprendimento) dei  soggetti non  può essere affiancato dallo sviluppo  (apprendimento-cambiamento) delle  organizzazioni  nelle  quali i  singoli  operano.  Alcuni,  anzi, parlano  esplicitamente  di  un  apprendimento  collettivo  o   macro-apprendimento  che  riguarda le organizzazioni complesse  intese  come sistemi.

Un  quarto  "nodo"  si evidenzia nel rapporto con  il  fattore  tempo. 

Esiste  una  formazione definibile come CATASTROFICA, che procede  per "errori"  e  facendo seguire l'apprendimento ad essi. La formazione entra  in campo sempre dopo il bisogno, l'errore, il danno. Ma  esiste anche   una  formazione  ANTICIPATORIA che opera preventivamente, precedendo  l'emersione dei problemi ed anticipando le  soluzioni.  In certa  misura  possiamo dire che la formazione è  stata  anticipatoria fino  agli Anni Settanta, quando tentava di precedere o  innescare  il mutamento;  mentre  oggi  essa e catastrofica,  nel  senso  che  segue l'emergenza dei grandi problemi della transazione post-industriale.

Altri nodi centrali nelle concezioni della formazione sono: l'idea  di una   formazione  FINITA  o  PERMANENTE;  di  una  formazione   CHIUSA (apprendere) o APERTA (apprendere ad apprendere); di una formazione ai CONTENUTI o alle CAPACITA'.

Le necessità di distinguere tra le diverse opzioni deriva dall'esigenza  di  fondare  un  sistema  di  pensiero  coerente  dalle premesse  filosofiche  alle  conseguenze  operative.  La  mancanza  di riflessione teorica conduce i formatori professionali a scelte casuali ed episodiche, incoerenti fra loro e spesso inefficaci.

2- L'evoluzione della pratica formativa

La  pratica  formativa in Italia ha attraversato tre  diversi  periodi storici   correlati  ai  processi  socio-economici  del   Paese.   Dal dopoguerra  alla  fine degli Anni Sessanta è prevalsa  una  concezione della  formazione elitaria, anticipatoria e centrata  sulla  strategia degli  "agenti  di  cambiamento". La formazione  veniva  riservata  ad utenze   ristrette:   singoli   individui   provenienti   da   diverse organizzazioni.  L'ipotesi  era  che  l'apprendimento  sarebbe   stato trasferito  nelle  organizzazioni  di  appartenenza,  promuovendo   la trasformazione.  Negli  Anni Settanta, dopo  la  constatazione  che la strategia degli agenti era inadeguata a causa della  maggior forza delle  organizzazioni  rispetto  ai  singoli,  si  è passati  ad  una strategia della formazione centrata sia sulle figure direttive sia  su interi  micro-sistemi.  Anche  qui  prevale  l'idea  di  stimolare  il cambiamento o attraverso ruoli nodali dell'organizzazione o attraverso interventi in sub-sistemi esemplari.

Queste  ipotesi sono state travolte a cavallo degli Anni Ottanta,  con l'avvento  di  un cambiamento talmente accelerato ed  esteso  che  ha portato la formazione su un binario di massa e catastrofico, obbligato a  nuove  strategie.  Negli Anni Ottanta  infatti  il  problema  della formazione non è più quello di stimolare il cambiamento, ma di gestire la  crisi presente ed il cambiamento che si configura come  permanente per un lungo periodo transazionale. 

Oggi  si tratta di riconvertire interi comparti sociali e  produttivi, intere  fasce  professionali,  vasti segmenti  di  cultura  di  grandi porzioni della popolazione. Inoltre si tratta di "formare" gli  uomini e  le  organizzazioni  a gestire  un  cambiamento  accelerato,  ormai assestato  come  trand almeno fino al 2000. Il processo  di  passaggio dalla società industriale ad una post-industriale, mette la formazione in  posizione strategica e cruciale, ma la carica anche di  compiti  e responsabilità cui non è del tutto pronta.

3- Modi di dire e modi di pensare, modi di fare

L'esplosione  quantitativa  della  pratica  formativa  non  ha  sempre corrisposto  alla sua elevazione qualitativa. Negli ultimi dieci  anni le  teorie,  i  modelli ed i linguaggi  sono  esplosi,  portando  alla ribalta  decine  di  proposte diverse. A tale esplosione  ha  dato  un contributo  la  parallela  esplosione  delle  tradizionali  discipline scientifiche, che si sono gradualmente sbriciolate dando vita a decine di  percorsi  scientifici  collocati sui confini  delle  discipline  e proiettati verso sempre più elaborate connessioni.

Mentre  dunque la formazione sta diventando una pratica necessaria  di massa,  il  suo  terreno  teorico  e  metodologico  appare  confuso  e inestricabile.  I  primitivi vecchi tronconi  della  formazione  erano essenzialmente  due:   quello tecnico e quello  psicosociale.  Da  una parte gli ingegneri, gli esperti di Edp e di marketing, dall'altra gli psicosociologi,  formatori di quel "fattore umano" che era stato  loro consegnato, in Italia, da Padre Gemelli e dalle ricerche prima  di  E.Mayo,   poi  di  K.  Lewin  ed  infine  dell'NTL.  Il   primo   sforzo "sinergetico"  fu  fatto  dall'ergonomia,  che  allacciò  le  ricerche tecniche-ambientali  con  quelle psicosociali. Subito dopo  arrivo  la

socioanalisi.  Poi  le decine di teorie  manageriali,  dello  sviluppo organizzativo,  dei sistemi. Alla fine degli Anni Settanta è  dilagata nella  formazione  un'ondata "californiana": da  una  parte  l'Analisi Transazionale  e la Pragmatica, dall'altra le pratiche  post-reichiane (gestalt,  bioenergetica,  ecc.). Oggi il panorama è  ricchissimo;  si sono aggiunti il behaviorismo, la programmazione neurolinguistica,  il trainign autogeno e la psicosintesi, e certo molti altri indirizzi che mi sfuggono.

Una  giungla di teorie, modelli, metodi, tecniche che attraversano  la pratica formativa rispondendo assai più al caso o al mercato che  alla ragione scientifica.

Occorre  ora  riesaminare questa giungla cercando di trovare  in  essa sentieri  diversi  ma coerenti al loro interno, e che  dirigono  verso risultati   verificabili.  Occorre  operare  in  prima   istanza   una distinzione  fra  le teorie (modo di pensare),  i   modelli  (modi  di dire)  e  le tecniche (modi di fare). Nella competizione  fra  diversi approcci  ciascuno tende a presentarsi come un sistema  conchiuso,  in modo da rendersi differente da tutti gli altri. Invece è molto diverso agire in base a teorie differenti, oppure usare modelli differenti  di una stessa teoria, oppure ancora usare tecniche diverse all'interno di un solo ambito teorico. 

Occorre dire che le teorie sono in genere conflittuali: i modelli sono sistemi  di  comunicazioni, per lo più equivalenti; le  tecniche  sono strumenti plurifunzionali. Le teorie sono il vero luogo del dibattito; i  modelli  sono  di  secondaria  importanza;  le  tecniche  hanno  la necessità di essere inserite in modelli e teorie (anche più di una)  a monte.

Non è qui la sede per approfondire il tema, che richiede ampio spazio.

Basterà  un  esempio. La psicoanalisi è una teoria, cioè  un  modo  di pensare.  La socioanalisi è l'analisi transazionale sono due  modelli, cioè  modi  di dire la teoria psicoanalitica quando la si  applica  ad un'organizzazione o ai rapporti interpersonali. Lo psicodramma  invece è una tecnica applicabile all'interno di  un  modello  socio-analitico avente  come  sfondo  le  teorie  psicoanalitiche.  A  mio  avviso  le concezioni   teoriche   di   base  sono   4:   la   psicoanalisi,   la psicosociologia,  il behaviorismo e le teorie reichiane.  Ciascuna  di queste  4 teorie di base è tradotta in diversi modelli e può fare  uso di  tecniche  differenti.  L'importante è che  ogni  azione  formativa definisca  le sue teorie di fondo, il suo modo di dirsi e le  tecniche che le sono compatibili.

4- I problemi attuali e le prospettive

Mentre  negli  anni sessanta la pratica e la teoria  della  formazione erano  all'avanguardia  nel processo di trasformazione  sociale,  oggi essa sembra trovarsi per lo più alla retroguardia.

L'attrezzatura  teorica e tecnica della formazione è evidentemente inadeguata  rispetto  alle  attuali  enormi  esigenze   trasformative.

Scarseggiano i professionisti della formazione in grado di far  fronte alle  esigenze emergenti, assai complesse per qualità e grandezza.  In genere  la  formazione è impostata ancora per  agire  verso  ristrette élites  e  in  un quadro socio-economico stabile. Oggi  si  tratta  di affrontare  azioni formative di massa ed in una situazione di  estrema turbolenza  socio-economica  e  tecnica. Il primo  problema è dunque quello  del  riadeguamento  della formazione  alle  mutate  condizioni storiche,   soprattutto  negli  aspetti  della   professionalità   dei formatori.

Un  secondo  problema  riguarda  l'efficacia  e  l'efficienza   degli interventi  formativi.  Fino a quando la formazione  era  un  fenomeno ristretto  e anticipatorio, il problema economico  era  sottovalutato; sia  perchè non aveva grandi dimensioni sia perchè era  sottoposto  ad opzioni ideologiche (la formazione come "arma" degli innovatori). Oggi gli  interventi  formativi  sono indispensabili, di  vasta  portata  e slegati  da questioni ideologiche (la formazione è divenuta "arma"  di gestione):  l'economicità  diventa un criterio importante.  Si  tratta dunque  di  trovare  teorie,  modelli e  tecniche  di  formazione  che ottimizzino  il rapporto mezzi-risultati (efficienza) ed  il  rapporto risultato-bisogni.

Un  terzo problema concerne i metodi e le tecniche  della  formazione.

L'impostazione  quasi  sperimentale  e  soprattutto  verbale della formazione classica, appare oggi troppo arcaica. Da una parte  infatti la formazione di massa impone una revisione dei tradizionali  settings di   tipo   sperimentale  basati  sull'isolamento  dei   soggetti   in formazione,   sull'accurata   selezione  dei partecipanti, sulla intensività. Dall'altra  risulta  difficile  trascurare  anche  nella formazione l'avvento della cultura dell'immagine e del computer.

Un  quarto problema è quello della frequente commistione fra  pratiche formative   e   terapeutiche.  La  transizione   post-industriale   ha moltiplicato  le aree di disadattamento e di disagio esistenziale.  In molte  professioni  non  è  facilmente  distinguibile  l'esigenza   di imparare a "lavorare" da quella di imparare a "vivere". Non sempre  la domanda   di  formazione  riguarda  la  mera  professionalità   o   il cambiamento  organizzativo;  spesso riguarda  una  crescita  personale finalizzata al cambiamento del "modo di essere" dei soggetti. Pensiamo ad  esempio  alle  funzioni  lavorative  nelle  quali  le   competenze relazionali  richieste sono importanti; oppure alle  azioni  formative dirette  alla  prevenzione o al recupero dello stress;  oppure  ancora alle azioni motivazionali ed incentivanti.

In queste aree le fondamenta teoriche e tecniche tradizionali mostrano spesso la loro inadeguatezza e richiedono grandi ripensamenti.

*(Guido Contessa - novembre 1984)

Riferimenti

  • - G.Contessa, R.Vaccani, A.Voltolin: "La formazione alternativa" - Etaslibri, Milano 1975
  • - L.Ancona: "Dinamica dell'apprendimento" - EstMondadori, Milano 1975
  • - J.W.Botkin, M. Elmandjra, M.Malitza: "Imparare il futuro", EstMondadori, Milano 1979
  • - G.P.Quaglino, G.P.Carrozzi: "Il processo di formazione" F.Angeli, Mi, 1981
  • - R.Carli, L.Ambrosiano: "Esperienze di psicosociologia" F.Angeli, Mi, 1982