Il lavoro occupa gran parte della giornata e della vita degli esseri
umani. E' irragionevole pensare che il lavoro non abbia alcuna influenza
sulla salute psichica e fisica, sul benessere e sulla vita privata.
Tutto il novecento ha registrato sforzi per studiare la psicologia
del lavoro e per applicarla alle imprese avanzate di Occidente (vedi
qui).
Per secoli il lavoro è stato considerato fatica e pena, obbligatorie
per la sopravvivenza. L'umanesimo, la rivoluzione industriale e l'avvento
delle democrazie, nonchè i movimenti operai e sindacali, hanno
lentamente dato agli uomini maggiore dignità e sovranità
riconoscendo il diritto di ciascuno ad un lavoro che non si limitasse
a soddisfare i bisogni di sopravvivenza. Gradualmente sono diventate
legittime le domande sul senso del lavoro; sui bisogni individuali
che esso può e deve soddisfare; su cosa motiva i lavoratori
a lavorare meglio per se stessi e per l'impresa; su come tutelare
la salute e la sicurezza sul lavoro.
La risposta di A.Maslow è nella "piramide dei bisogni",
la coscienza dei quali emerge quando, in una certa misura, è
soddisfatto il bisogno inferiore:
Bisogni fisiologici, la prima motivazione sviluppata,
legati agli stati fisici necessari per vivere ed evitare il disagio
(idratazione, alimentazione, minzione, defecazione, igiene)
Bisogni di sicurezza, si manifestano solo dopo aver soddisfatto
i bisogni fisiologici, e constano della ricerca di contatto e protezione.
Bisogni di appartenenza, desiderio di far parte di un'estesa unità
sociale (famiglia, gruppo amicale), che nasce solo dopo aver soddisfatto
i bisogni di sicurezza.
Bisogni di stima, esigenza di avere dai partner dell'interazione
un riscontro sul proprio apporto e sul proprio contributo
Bisogni di indipendenza, esigenza di autonomia, realizzazione e
completezza del proprio contributo, si attiva solo dopo aver soddisfatto
i bisogni di stima.
Bisogni di autorealizzazione, bisogno di superare i propri limiti
e collocarsi entro una prospettiva super-individuale, essere partecipe
col mondo.
Negli anni novanta eravamo arrivati in numerose imprese fino al quinto
gradino della piramide, dove molti lavori iniziavano a godere di un
certo grado di autonomia. Anno dopo anno siamo regrediti fino al primo
gradino e, in molte situazioni, il lavoro non garantisce nemmeno questo,
anche quando c'è.
La risposta di D.McClelland è la triade dei bisogni e delle
motivazioni al lavoro:
Il bisogno del successo (o della riuscita, del
lavoro ben fatto) rispecchia il desiderio di successo e la paura
per il fallimento.
Il bisogno di appartenenza combina i desideri di protezione e socialità
con la paura per il rifiuto da parte di altri.
Il bisogno di potere riflette i desideri di dominio e il timore
di dipendenza.
La stessa parabola di Maslow è toccata ai bisogni segnalati
da McClelland. Oggi i lavori che offrono un po' di riuscita, di appartenenza
o di potere sono sempre meno. I lavori sono sempre più automatizzati,
parcellizzati, ripetitivi, insensati al punto di essere gradualmente
sostituiti da macchine; al punto di non aver bisogno di un preciso
lavoratore, ma di uno qualsiasi; al punto di non richiedere alcuna
competenza. La gran parte dei lavori attuali non danno sicurezza alcuna;
non consentono socialità; non rafforzano l'autostima; lasciano
autonomia e indipendenza al grado 0; ostacolano ogni realizzazione;
non richiedono alcuna riuscita; esigono semplice sottomissione. Naturalmente
questo quadro nefasto esclude la minoranza dei lavori sicuri e tutelati,
qualificati, creativi ed espressivi. Il che spiega come mai aumentano
sempre di più i giovani che aspirano a diventare operatori
della musica, dell'arte, dello spettacolo.
Oggi il dibattito è sul lavoro che non c'è o è
mero sfruttamento. Raramente ci interroghiamo sugli effetti psicologici
che la maggioranza dei lavori produce. Vale la pena di ricordare il
concetto di "alienazione" (v.nota), quasi dimenticato. L'essere
umano che svolge per 4-8-12 ore al giorno per oltre 40 anni un lavoro
ripetitivo, privo di senso, impersonale, privo di creatività,
socialità ed autonomia, legato alla mera necessità di
sopravvivere non può non subirne gravi ripercussioni sulla
psiche, sul comportamento, sul modo di pensare. Chi spende gran parte
della giornata e della vita in attività che lo rendono estraneo
a se stesso, alienato, cosificato, ha serie difficoltà ad essere
un buon partner, un buon genitore, un buon vicino, un buon cittadino:
ruoli in cui sono richieste tutte le capacità che il lavoro
reprime. Chi vive una vita lavorativa dove gli viene quasi proibito
di pensare, creare, socializzare, esprimersi, essere autonomo smarrisce
facilmente la sua umanità.
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NOTA - ENCICLOPEDIA TRECCANI
alienazióne s. f. [dal lat. alienatio -onis].
1. Atto giuridico con cui si trasferiscono ad altri soggetti una proprietà
o un diritto su beni del proprio patrimonio, mediante vendita, donazione,
mutuo, ecc. b. Latto e il fatto di allontanare, distogliere,
estraniare: a. dellanimo, della benevolenza, ecc.
2. Mentale, lo stato di grave compromissione delle facoltà
psichiche derivante da infermità mentale.
3. a. Nel linguaggio filosofico, il termine è stato assunto
a indicare in genere il trasferimento (effettivo o apparente, avvenuto
o presunto, spontaneo o imposto) di qualche cosa di significativo,
costitutivo o essenziale, da un centro di riferimento o di possesso
ad altro, nellambito culturale e vitale della soggettività
umana.
3. b. Nel pensiero di Marx e nel marxismo si insiste sullestraniazione
(o anche lo spossessamento) del prodotto del proprio lavoro a cui
loperaio salariato è costretto dai rapporti di produzione
capitalistici e in partic. dal capitalista che ne compra la forza-lavoro.
3. c. Nella psicanalisi post-freudiana, e nella scuola sociologica
di Francoforte, le riflessioni sullalienazione di sé,
della propria natura e della possibilità di crescita interiore,
che luomo compirebbe nelleconomia e nella società
dei consumi preferendo lavere allessere.
3. d. In unaccezione più corrente e meno specialistica,
lo stato di estraniazione, di smarrimento delluomo che, nellodierna
società e civiltà tecnologica, e nellorganizzazione
dei ritmi della vita, si sente ridotto a oggetto, e pertanto colpito
nella propria identità e strappato alla propria autenticità.
In partic., con riferimento allattività lavorativa, senso
di indifferente e quasi ostile estraneità al proprio lavoro,
provocato soprattutto dalla mancata conoscenza delle sue effettive
finalità, oltre che dal carattere macchinoso e ripetitivo,
rigidamente predeterminato nei suoi modi e nei suoi ritmi, che ha
spesso il lavoro, spec. nelle fabbriche.
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I lavori di Hugo Münsterberg "Vocation and Learning"
(1912) e "Psychology and Industrial Efficiency" (1913) sono
considerati l'inizio di quello che poi sarebbe diventata la psicologia
industriale.
Nel 1944 padre Agostino Gemelli pubblica "La psicotecnica
applicata alle industrie", contributo fondamentale alla moderna
psicologia del lavoro: ambiente e lavoro, rapporto uomo-macchina,
la fatica e la monotonia, motivazione ed incentivazione del personale,
obiettivi e procedure di selezione, problemi psicologici legati alla
disoccupazione, valorizzazione della soggettività delle risorse
umane.
Elton Mayo è il fondatore dello Human Relations Movement,
approccio di ricerca e intervento della psicologia del lavoro che
tende a privilegiare lo studio delle motivazioni psicologiche dei
lavoratori. I suoi lavori più noti sono: "I problemi umani
di una civiltà industriale" (1933), "I problemi sociali
di una civiltà industriale" (1945).
Abraham Maslow nel 1954 pubblica "Motivazione e personalità",
dove espose la teoria di una gerarchia di motivazioni che muove dalle
più basse (originate da bisogni primari - fisiologici) a quelle
più alte (volte alla piena realizzazione del proprio potenziale
umano - autorealizzazione).
Dal 1940 al 1960 David McClelland pubblica "The Achieving
Society" e " The Achievement Motive".
Dagli anni sessanta Enzo Spaltro sviluppa la psicologia del
lavoro applicandola a numerose imprese.
Infiniti sono i tetativi delle imprese di applicare i principi della
psicologia del lavoro in tutto il mondo occidentale.
E' del 1940 il primo CRAL (dopolavoro) aziendale.
Adriano Olivetti (dal 1932 al 1960) riuscì a creare
nel secondo dopoguerra italiano un'esperienza di fabbrica nuova e
unica al mondo in un periodo storico in cui si fronteggiavano due
grandi potenze: capitalismo e comunismo. Olivetti credeva che fosse
possibile creare un equilibrio tra solidarietà sociale e profitto,
tanto che l'organizzazione del lavoro comprendeva un'idea di felicità
collettiva che generava efficienza. Gli operai vivevano in condizioni
migliori rispetto alle altre grandi fabbriche italiane: ricevevano
salari più alti, vi erano asili e abitazioni vicino alla fabbrica
che rispettavano la bellezza dell'ambiente, i dipendenti godevano
di convenzioni.Anche all'interno della fabbrica l'ambiente era diverso:
durante le pause i dipendenti potevano servirsi delle biblioteche,
ascoltare concerti, seguire dibattiti, e non c'era una divisione netta
tra ingegneri e operai, in modo che conoscenze e competenze fossero
alla portata di tutti.
In una costante progressione fino agli anni novanta numerose imprese
sperimentano nuovi modi di organizzare il lavoro, ispirate dalle ricerche
psicologiche, come le relazioni umane, l'allargamento e l'arricchimento
delle mansioni, le isole di produzione, il privilegio dei risultati
sui processi.
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