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Progetto
superbimbo
Eliminare tare ereditarie, ma anche creare figli più intelligenti.
E' giusto? Per la prima volta Jürgen Habermas, un grande
filosofo laico, dice la sua di Enrico Pedemonte
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Qualche
anno fa andavano di moda le banche del seme donato
dai premi Nobel: lo usavano donne che sognavano
di mettere al mondo figli geniali, ma i risultati
sono tuttora incerti. Nel 2001 i giornali fecero
da megafono al professor Severino Antinori che
annunciava di avere già realizzato cloni umani:
ma molti esperti dubitano che ciò sia realmente
avvenuto. Più recentemente, in aprile, dagli Stati
Uniti è giunta notizia che due donne lesbiche
audiolese, utilizzando il seme di un amico anchegli
privo di udito, hanno deciso di mettere al mondo
un figlio sordo, proclamando: «La sordità non
è un handicap e nostro figlio sarà come noi».
Il desiderio di plasmare geneticamente la progenie
dilaga e diventa movimento politico-culturale.
Negli Stati Uniti si moltiplicano le associazioni
che predicano il liberismo genetico, prevedendo
un futuro in cui su Internet sorgeranno mercati
di geni dove i genitori acquisteranno i caratteri
ereditari da attribuire ai figli: altezza e colore
degli occhi, prontezza di riflessi e quoziente
intellettivo, bernoccolo della matematica e temperamento
artistico. Deliri di onnipotenza, certo, ma il
problema esiste, la tecnologia comincia a offrire
le prime opportunità concrete e la morale laica
spesso è impotente di fronte a queste nuove forme
di libertà.
Jürgen Habermas, 73 anni, grande filosofo e sociologo
tedesco, esponente di spicco della scuola di Francoforte
(oggi è professore emerito), affronta questi temi
in un libro recentemente pubblicato in Germania
e di imminente pubblicazione in Italia (Il
futuro della natura umana. I rischi di una eugenetica
liberale, Einaudi, 100 pagine 12,50 euro).
Di fronte a quello che egli definisce «shopping
al supermercato genetico», Habermas si pone un
obiettivo ambizioso: capire in che modo sia possibile,
per un laico, distinguere tra giusto e sbagliato
di fronte a un futuro che mette in discussione
i fondamenti stessi della natura umana.
È giusto modificare un embrione giudicato difettoso?
O modificarne un altro non del tutto soddisfacente,
immaginando di favorire così la felicità di un
essere umano non ancora nato?
Non è un caso che sia un filosofo tedesco ad affrontare
questi temi: i progetti per migliorare la razza
(leugenetica nazista) in Germania appartengono
ai ricordi di famiglia. Proprio Habermas, anni
fa, si definì «uno dei ragazzi del 58» riferendosi
a un gruppo di intellettuali della sinistra liberale
che si ribellò, in quegli anni, al risorgere del
teppismo neonazista nelle strade della Germania
Ovest. E fu ancora lui a denunciare con vigore
la complicità con il nazismo del collega Martin
Heidegger.
Oggi Habermas conduce una vita appartata, non
ama esporsi alle polemiche pubbliche e raramente
accetta di farsi intervistare. Fa qualche eccezione:
come lanno scorso, quando prese posizione
in favore di Lionel Jospin in unintervista
a Le Figaro, nel corso della quale
mise anche in guardia dal pericolo rappresentato
da Berlusconi in Italia. Ora, probabilmente infastidito
dalloscurantismo delle Chiese sui problemi
della genetica, cerca di mettere a punto una morale
che possa essere un punto di riferimento per i
laici, spesso smarriti di fronte a un problema
di questa portata. Come spiega Leonardo Ceppa
- che ha tradotto e curato ledizione italiana
del libro - nella sua posfazione, lingegneria
genetica apre un processo di trasformazione della
natura umana che può anche essere bloccato dalla
volontà della maggioranza. Ma se questo accadesse,
per la prima volta sarebbe censurato preventivamente
il progresso tecnologico. E non è una decisione
di poco conto.
Per chiarire il suo pensiero, Habermas ha accettato
di farsi intervistare da Lespresso.
La traduzione delle sue risposte dal tedesco è
di Elisabetta Horvat.
Professor Habermas, nel suo ultimo libro lei evoca
i rischi di una eugenetica liberista.
Cosa intende con questa espressione?
«Leugenetica liberista è il risultato di
tre fattori concomitanti: grandi progressi nello
sviluppo delle tecnologie genetiche; la loro applicazione,
al di là dei fini terapeutici, per ottenere interventi
migliorativi sul genoma; e infine la loro diffusione
attraverso il mercato, per offrire ai genitori
la possibilità di scegliere il design genetico
dei propri figli. Negli Usa si parla già di shopping
al supermercato genetico. Ma per ora questa
visione appartiene al futuro. Nessuno sa se arriveremo
fino a questo punto. Daltra parte, non è
uno scenario tanto improbabile da consentirci
di non prenderlo sul serio. E se si teme un futuro
del genere, che non è imminente ma neppure del
tutto improbabile. Bisogna iniziare fin dora
a riflettere sulla questione, vista la rapidità
dei progressi scientifici e tecnologici nel campo
della medicina riproduttiva. È necessario interrogarsi
sul significato dei primi passi intrapresi su
questa via. E il mio libro rappresenta un contributo
a questo dibattito».
Ci spieghi meglio la sua principale obiezione.
Proviamo a formularla così: lei dice che, se un
giorno una persona venisse a sapere che le sue
predisposizioni genetiche sono state manipolate
nel periodo prenatale, potrebbe sentire limitata
la libertà etica di determinare autonomamente
il corso della propria esistenza. Da dove nasce
questa obiezione?
«In senso generale, estendere la licenza di decidere
delle predisposizioni di una futura persona equivale
a trasformare lintervento sulla composizione
di un genoma ormai manipolabile in un atto - o
in una omissione - di cui si sarà tenuti a rispondere.
Un adolescente potrebbe rinfacciare ai genitori
il proprio design genetico: potrebbe rimproverarli,
ad esempio, di averlo dotato di una predisposizione
per la matematica piuttosto che di un talento
sportivo o musicale, più utile per la carriera
di atleta o di musicista alla quale aspira. Il
caso ipotizzato per sviluppare questo concetto
è quello di un adolescente che non si sente più
lautore esclusivo della propria biografia,
da quando ha appreso quali intenzioni abbiano
guidato i suoi coautori nella scelta
del suo design genetico».
Da una parte lei sostiene la validità degli interventi
genetici per fini terapeutici, mentre condanna
leugenetica positiva, finalizzata a produrre,
per esempio, bambini più belli o più intelligenti.
Ma perché pensa che qualcuno potrebbe lamentarsi
della propria bellezza o intelligenza?
«Lei sta pensando, in senso generale, a caratteristiche
quali la salute, la forza fisica, la memoria e
così via. Ma largomento delleterodeterminazione
non riguarda solo il fatto che la scelta di talune
caratteristiche, predisposizioni o facoltà possa
limitare lorizzonte di un progetto di vita
futuro; è valido anche per le doti genetiche
di base. Difatti, non possiamo mai essere
certi che una qualsiasi dote genetica serva effettivamente
a dare più spazio al progetto di vita di unaltra
persona. Le conseguenze e gli effetti di una determinata
attitudine sono legati di volta in volta al contesto
biografico di ciascuno. Possedere una buona memoria,
per esempio, in genere è un dono prezioso, ma
questo non è sempre vero: a volte, non riuscire
a dimenticare può essere una condanna. Ai genitori
non è neppure dato sapere se un lieve handicap
fisico non possa rivelarsi, in definitiva, un
vantaggio per il nascituro».
Ma come stabilire la linea di demarcazione rispetto
a quella che lei chiama eugenetica negativa,
cioè la prevenzione di molte malattie? Non crede
che ogni manipolazione genetica rappresenti già
di per sé una prassi di tipo eugenetico?
«Perché dovremmo opporci a un uso clinico della
biogenetica? I problemi etici sorgono solo nel
momento in cui questa scienza viene posta al servizio
di altri interessi. La mia proposta è quindi di
adottare come concetto orientativo quello della
terapia e della prevenzione di malattie. Nessuno
può essere autorizzato a scegliere il conferimento
delle risorse naturali per la vita di unaltra
persona in base alle proprie preferenze».
Nemmeno i genitori?
«Certo, i genitori desiderano il meglio per i
propri figli; ma neppure loro possono sapere quale
dote genetica sarà la migliore, perché
questo dipenderà dal contesto, assolutamente imprevedibile,
del percorso biografico di un altro individuo.
Un intervento genetico deve poter presupporre
il potenziale assenso del nascituro. Perciò il
modello da adottare è quello del medico che cura
il paziente, e non di un designer o di un ingegnere
che sono liberi di decidere i loro progetti o
interventi. Per escludere il rischio di uneterodeterminazione
eugenetica bisogna poter dare per scontato il
consenso di quella seconda persona le cui caratteristiche
saranno alterate dallintervento genetico».
Ma come è possibile stabilire che una persona
non ancora nata darà il consenso a un intervento
sul suo Dna?
«Questo è possibile soltanto nel caso della sicura
prognosi di una malattia ereditaria che comporti
infallibilmente gravi sofferenze. Il consenso
si può presupporre esclusivamente quando si tratti
di evitare un male estremo, dato che in generale
le differenze tra i valori verso i quali ci orientiamo
sono enormi».
Non pensa che una volta assuefatti a questo tipo
di terapie geniche, finiremo per modificare i
criteri in base ai quali una certa condizione
è considerata come una malattia da curare? Che
cosa dovrebbero fare i genitori, per esempio,
nel caso in cui la diagnosi prenatale prevedesse
la nascita di un bambino con un basso quoziente
di intelligenza, o con un elevato rischio di cancro,
sapendo che esiste la possibilità di intervenire
con tecnologie genetiche?
«Quando lo sviluppo scientifico e tecnico sarà
arrivato a questo punto, la questione si porrà
in termini diversi. Non dovrà più essere una decisione
da affidare ai genitori a titolo individuale.
I cittadini di una comunità democratica dovranno
trovare insieme il modo per regolare questa materia.
Certo, la diffusione delle tecnologie genetiche
potrebbe anche spostare la soglia di tolleranza
di quanto viene considerato normale.
Ma il legislatore democratico dovrà valutare molto
attentamente lelenco degli interventi da
ammettere, e specificarli con la massima precisione.
Anche perché qualsiasi aggiunta o ampliamento
comporterebbe una responsabilità inaudita per
quei genitori che decidessero, per ragioni di
principio, di non ricorrere alle pratiche autorizzate.
Potrebbero essere accusati di omissione, e magari
subire il risentimento dei propri figli. Ma fortunatamente,
a fronte di questi rischi lopinione pubblica
democratica esigerà giustificazioni sempre più
circostanziate per ogni ulteriore liberalizzazione
in questa materia».
Cosa pensa della ricerca sulle cellule staminali
prodotte da embrioni umani?
«Sarei propenso a una regolamentazione restrittiva,
perché temo che luso di embrioni umani per
fini di ricerca rischi di abituarci ad assumere,
più in generale, un atteggiamento aberrante, di
strumentalizzazione della vita umana. In questo
modo rischiamo di avventurarci su di un piano
inclinato. Ma argomenti di questo tipo non hanno
lincisività delle obiezioni di carattere
morale».
19.09.2002
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