L’eccessiva lentezza nella risoluzione delle controversie
può creare ingenti danni economici alle aziende che operano
su Internet. La giustizia civile è inadatta al Web.
Congestionata da tempo, lenta e piuttosto costosa, la giustizia
civile male si adatta ad essere lo strumento principale di risoluzione
dei conflitti tra gli utenti della Rete. I problemi che Internet
pone, dal punto di vista giuridico, sono specifici e devono essere
risolti da persone che abbiano una profonda competenza in materia
e in tempi molto rapidi, in quanto la velocità è uno
dei fattori caratterizzanti della Rete. Basti pensare che la chiusura
di un dominio Internet, anche solo per un periodo relativamente
breve, può determinare il fallimento di chi lo ha realizzato
e la fuga dei navigatori verso altri fornitori di servizi. A ciò
si aggiunga che, molto spesso, le dispute riguardano parti di nazionalità
diverse, circostanza questa che comporta l’applicazione delle complesse
norme di diritto internazionale privato, in base alle quali il giudice
chiamato a decidere del caso può anche essere straniero ed
il diritto applicabile può non essere quello italiano. Di
tutte queste difficoltà tiene conto la Direttiva comunitaria
sul commercio elettronico (in Guce 08.05.2000 n. C128/32) che, tra
le diverse tematiche di cui si occupa, espressamente prevede che
gli Stati membri debbano provvedere a fare in modo che le loro legislazioni
non ostacolino "l’uso, anche per vie elettroniche adeguate, degli
strumenti di composizione extragiudiziale delle controversie previste
dal diritto nazionale". Risolvere in modo nuovo conflitti, vecchi
e nuovi, è un’esigenza fortemente avvertita e della quale
tiene conto il recente disegno di legge Adr (Alternative dispute
resolution) discusso dal nostro Consiglio dei Ministri che prevede,
tra l’altro, l’istituzione di una Camera di conciliazione presso
ogni Consiglio dell’Ordine degli avvocati e la realizzazione di
corsi di formazione per legali e consulenti. I metodi alternativi
di risoluzione dei conflitti sono principalmente l’arbitrato e la
conciliazione, detta anche mediazione. Quest’ultima, molto diffusa
in alcuni stati d’oltreoceano, in Europa, e soprattutto in Italia,
è ancora allo stato embroniale, soprattutto a causa della
scarsa adesione da parte dei cittadini che, non conoscendone le
caratteristiche, evitano di ricorrervi. In realtà la mediazione
stragiudiziale presenta vantaggi considerevoli rispetto al giudizio
ordinario e può essere utilizzata per qualsiasi tipo di conflitto.
Essa non ha nulla a che vedere con la conciliazione che viene tentata
dal giudice o dall’arbitro nel momento in cui si instaura un giudizio,
ma consiste piuttosto in una procedura guidata da un terzo che cerca,
con vari mezzi, di fare trovare un accordo alle parti che si presentano
dinanzi a lui. Nei corsi di formazione per conciliatori si insegna
che la figura del mediatore è quella di un moderatore del
gioco delle parti che deve, anche attraverso incontri riservati
con l’una e con l’altra parte, capire fin dove ognuna è disposta
a cedere, per dirigere sapientemente entrambe verso un punto di
contatto, che possa determinare la soluzione della disputa. È
uno strumento versatile, certamente nuovo per la mentalità
italiana, ma efficace, soprattutto per risolvere casi particolari
come quelli che vengono a crearsi tra gli utenti della Rete, per
i quali è preferibile rivolgersi ad una persona esperta di
nuove tecnologie che comprenda la sostanza di quanto viene contestato.
Il mediatore può essere una persona qualsiasi, non necessariamente
un giurista, per cui viene scelto in base al contenuto specifico
della lite in atto in quel momento. In Internet esistono già
molti centri di mediazione, alcuni piuttosto evoluti, ai quali ci
si può rivolgere per dirimere una disputa e tramite i quali
si può riuscire ad ottenere ragione in modo semplice, rapido
e senza spostarsi minimamente da casa. Si tratta delle Cybercourths,
ovvero di luoghi virtuali organizzati come centri di mediazione,
che forniscono un servizio completo di risoluzione delle dispute.
Chiunque abbia delle pretese da vantare nei confronti di qualcuno,
può rivolgersi ad una Cybercourth, descrivere il proprio
problema o compilare un modulo prestampato, dopodiché un
mediatore prescelto contatta la controparte, le espone il problema
e questa, se intenzionata alla mediazione della controversia, compila
a sua volta un modulo di risposta. Superata questa prima fase, il
mediatore contatta nuovamente le parti, analizza la questione e,
solo se le parti riescono a raggiungere un accordo, risolve la controversia,
compilando un terzo modulo di accordo. Se, invece, l’accordo non
viene raggiunto, la disputa non viene risolta, in quanto la corte
non ha alcuna autorità di imporre una propria soluzione.
In linea di massima, i mediatori virtuali lavorano secondo questo
schema di base, ma ogni Cybercorte ha le sue peculiarità
operative e, soprattutto, una sua specializzazione. Presso I-Courthouse
(http://www.i-courthouse.com), per iniziare la mediazione occorre
che le parti dichiarino espressamente di riconoscerla come vincolante,
attribuendo alla soluzione raggiunta con la conciliazione un valore
analogo a quello di un contratto. Le parti, che possono anche restare
assolutamente anonime, possono scegliere di rivolgersi ad un giudizio
pubblico, il Peer Jury, nel quale l’organo giudicante è composto
da giurati che diventano tali semplicemente iscrivendosi gratuitamente
in un’apposita lista, oppure ad una sessione privata, alla quale
partecipano solo i diretti interessati. La soluzione viene raggiunta
in pochissimi giorni ed, almeno al momento, non ci sono spese per
il giudizio. I-Courthouse è specializzata nei conflitti relativi
ai problemi della Rete e molti utenti inseriscono nei loro contratti
una clausola con la quale si impegnano a rivolgersi a questo mediatore
per risolvere le loro controversie. Tra i casi trattati recentemente,
alcune contestazioni di utenti di aste virtuali, per la mancata
assegnazione di beni a cui avevano diritto, il risarcimento di danni
riconosciuto ad uno studente a cui un amico aveva danneggiato il
monitor del computer ed altri piccoli conflitti della vita telematica
quotidiana. Cybersettle.com (http://www.cybersettle.com) offre,
invece, un servizio di mediazione per dispute relative alla proprietà,
alle assicurazioni e ad altri settori, ma lo fa in modo innovativo,
completamente telematico e confidenziale, accessibile 24 ore su
24. Il processo virtuale ha inizio quando un utente, munito di propria
password, avanza le proprie rivendicazioni compilando un form predisposto
all’interno del sito, nel quale indica e quantifica le sue pretese,
proponendone tre diverse, il cui ammontare non viene rivelato alla
controparte. Inviata la richiesta, il programma avvisa l’altra parte
della pendenza di una rivendicazione e la invita, via mail, fax
o telefono, a partecipare alla mediazione telematica. Se la parte
decide di partecipare, entra nel sistema con una propria password,
formula a sua volta tre proposte ed invia il relativo modulo. A
questo punto il programma calcola se le offerte opposte rientrano
in un certo margine di tolleranza, oscillante intorno al 30%, e
nel caso ciò si verifichi, l’accordo viene considerato raggiunto
e la disputa è conclusa, senza che le parti si siano mai
incontrate, in qualsiasi posto esse si trovino ed avendo potuto
partecipare alla risoluzione anche in giorni diversi ed in qualsiasi
ora della giornata. Si tratta di un modo di risolvere le liti decisamente
moderno e dinamico che in Europa trova pochi corrispondenti, salvo
il centro Iris Mediation (http://www.iris.sgdg.org) realizzato da
un gruppo francese. Ciò non significa, comunque, che questi
centri di mediazione siano destinati a restare una realtà
che non ci riguarda. Tutt’altro. Anche alla luce della Direttiva
sul commercio elettronico e dei disegni di legge in discussione,
probabilmente la mediazione diventerà presto uno strumento
concreto per dirimere le liti, rapido ed economico che dovrebbe,
ci auguriamo, migliorare e semplificare la vita di ogni cittadino,
oltre che quella dei navigatori della rete.