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LA GIUSTIZIA È MORTA
e anche i lavoratori e i cittadini non stanno tanto bene
Le difficoltà di funzionamento della giustizia italiana non
costituiscono certo una novità, tuttavia nel corso degli ultimi
anni le cose sono andate peggiorando.
Sono stati pubblicati molti rapporti di istituzioni nazionali e internazionali,
da ultimo anche da parte del Consiglio dEuropa, che denunciano
una situazione di degrado al limite del collasso. Eppure la Giustizia,
ma soprattutto la sua puntuale applicazione, costituisce un elemento
fondamentale dellorganizzazione sociale: grazie ad essa si realizzano
e si proteggono diritti fondamentali inscritti nella prima parte della
Costituzione. La sua disfunzione incide negativamente sulla vita dei
cittadini tutti, ma soprattutto sui ceti meno protetti; comunque è
linsieme della società civile a soffrirne le conseguenze,
attraverso un abbassamento della soglia dei diritti.
La durata eccessiva dei processi è uno dei mali più
pregnanti: in dipendenza di questo il cittadino si trova in una situazione
di impotenza, in cui il suo diritto non solo viene negato, ma addirittura
ignorato.
Nellultimo rapporto annuale del Consiglio dEuropa è
stato evidenziato come la durata media dei processi in Italia sia
in costante aumento. Stesso discorso per la trattazione dei procedimenti
pendenti, quale che sia il livello di giurisdizione. Ed invero solo
per il periodo che va dal 1/1/2001 al 31/12/2004, delle 998 sentenze
riguardanti lItalia, emesse dalla Corte Europea di Giustizia,
ben 799 erano in relazione a casi di grave ritardo nella definizione
dei procedimenti giudiziari.
Nel 2004, sulla base dei dati forniti dal Procuratore Generale c/o
la Corte di Cassazione in occasione della precedente inaugurazione
dellanno giudiziario, la durata media dei processi, fino alla
decisione del grado dappello, era di otto anni nei processi
civili e di cinque anni nei processi penali. Al 30/6/2004 oltre nove
milioni di cause erano in attesa di sentenza: 4,7 milioni dinanzi
ai giudici civili (4.396.334 in primo grado e 320.241 in grado dappello);
3,4 milioni circa dinanzi ai giudici penali (1.991.711 presso le Procure,
1.254.003 in primo grado e 136.955 in secondo grado). A questi vanno
aggiunte le circa 100.000 cause pendenti dinanzi alla Corte di Cassazione
(92.545 cause civili e 30.953 cause penali). Sulla base di questi
dati si può constatare come il 30% della popolazione italiana
sia in attesa di una decisione giudiziaria. Cè però
di più: i tempi della
giustizia non solo sono lenti, ma con una tendenza, ormai, naturalead
allungarsi anno dopo anno. Valga per tutti un esempio: la durata media
dei procedimenti davanti alle Corti dAppello è aumentata
del 23% dal 2003 al 2004 per le cause civili e del 33% per quelle
penali.
Le conseguenze di tali ritardi nella giustizia penale sono drammatiche,
nella misura in cui lincapacità di garantire il diritto
alla giustizia in tempi ragionevoli incide inevitabilmente su altri
diritti, alcuni dei quali fondamentali e di rango Costituzionale:
si pensi solo alle conseguenze che deve subire limputato in
stato di carcerazione preventiva; analoga vessazione la subisce la
parte lesa, che vede negato il suo sacrosanto diritto allaccertamento
della verità e al risarcimento del danno.
La lentezza dei procedimenti civili comporta altrettante gravi conseguenze:
pensiamo, a titolo esemplificativo ai procedimenti in primo grado
davanti al giudice del lavoro, la cui durata media, nel 2004, è
stata di 698 giorni ed in progressione del 14% rispetto al 2003. Decisamente
troppo per un processo caratterizzato da un rito speciale nato proprio
per dare alla parte debole una risposta celere. Peggio ancora per
chi è deboledue volte: ci riferiamo al caso dello straniero,
il cui rinnovo annuo del permesso di soggiorno è condizionato
dalla capacità di dimostrare di essere in possesso di un contratto
di lavoro. Tale ritardo gli impedisce di dimostrare di essere titolare
di un rapporto di lavoro; ma lo disincentiva anche dal contestare
un licenziamento illegittimo, o dal protestare semplicemente per un
trattamento ingiusto.
Per i fallimenti le parti devono aspettare ben 3.359 giorni, ovvero
dieci anni, prima di ottenere una sentenza di primo grado. Durante
tale periodo per la persona sottoposta al giudizio sono sospesi alcuni
importanti diritti: diritti economici, quali quello di gestire beni,
o di disporre di rapporti di conto bancario, ma anche diritti civili
e politici.
Situazioni analoghe a quelle sopra descritte si riscontrano, purtroppo,
anche nelle
cause sia in materia di esecuzione civile sia di divorzio.
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