Le competenze psicologiche del dirigente: formazione e manutenzione

La gestione per norme e procedure va forse bene per organizzazioni che hanno per oggetto cose, materiali, numeri, certificati; è inutile se non dannosa per musei, ospedali o scuole, che hanno per oggetto persone e idee. Una politica per la formazione del dirigente deve puntare alle capacità di base, all'orientamento, all'aggiornamento e insieme a mantenere una qualificata identità di ruolo.

In riferimento ad un qualsiasi operatore, col termine "competenze"si indicano sia si indicano sia i confini della sua azione (competenza come area riservata all'intervento), che le capacità cui egli deve ricorrere per occupare il suo territorio. le capacità indicano l'ampiezza e la profondità d'azione (capienza) che l'operatore possiede, ma anche il tempo che gli necessita per ricorrere ad essa. Potere e velocità (cioè spazio e tempo) sembrano essere gli assi cartesiani delle capacità. Le capacità di ogni operatore possono essere classificate nelle tre aree che presiedono al comportamento: cinestetica (movimento, manualità, sensi); estetica (emozione cuore, affetti); ed etica (razionalità, mente, cultura). Naturalmente la divisione m queste tre aree è puramente descrittiva. Ogni soggetto è infatti un insieme nel quale le parti indicate si intrecciano e si influenzano inestricabilmente. La famosa distinzione fra potere cognitivo, saper fare strumentale e saper essere psicologico (skills) è una tassonomia delle capacità solo a fini semantici e pragmatici, non certo euristici.
La complessità del sistema uomo è tale che ogni altra analisi partitoria risulta forse utile ma sempre riduzionistica D'altronde è in questo modo che ogni scienza, ma anche e soprattutto la scienza biofisica procede per approssimazioni alla spiegazione e descrizione del mondo. Dall'atomo di Democrito ai quark, dalla "ghiandola pineale" agli ormoni, tutta la scienza ha sempre operato per classificazioni, schematizzazioni e riduzioni. Oltre a ciò le scienze "dure" si sono sviluppare grazie a due principi meta-teorici, solo di recente resi espliciti. Il primo, ben descritto da T. Kuhn, riguarda la natura consensuale del paradigma scientifico dominante. Dagli assiomi della geometria euclidea o della matematica pitagorica ai sistemi di misura del tempo e dello spazio, le fondamenta delle scienze sono sempre state un fatto di consenso all'interno della comunità scientifica. Il secondo, proposto da B. Mandeibrot, concerne il rapporto tra scientificità e livello di definizione. Il teorico dei trattali ha evidenziato come il profilo di una costa prodotto dal satellite, non è meno esatto o meno scientifico del disegno della stessa fatto da cartografi che camminano sulla battigia, o di quello di fisici che misurano le asperità trattali della stessa, tenendo conto di ogni granello di sabbia. Il livello di definizione cambia di valore in funzione dell'uso e in conseguenza del consenso esplicito su di esso. Il satellite, i cartografi ed i fisici descrivono la stessa costa, sia pure con enormi differenze di misura e con approssimazioni diverse, utili per usi diversi. La psicologia deve ispirarsi alle scienze più evolute, senza sentire le sue approssimazioni come debolezza o colpa. Deve dunque accettare, nella sua ricerca, le riduzioni, la consensualità e la varietà dei livelli di definizione. Con una particolarità in più, di cui la psicologia può essere orgogliosa:la inscindibilità e la reciproca influenza fra soggetto e oggetto. Da sempre la psicologia ha intuito che fra il mondo (oggetto) e lo scienziato che lo osserva (soggetto) esiste un legame di interdipendenza, cui le scienze fisiche sono pervenute più tardi, col principio di intermediazione e la teoria quantistica. Questo significa che per la psicologia è acclarato ciò che per le scienze "dure" è ancora discusso; che ogni paradigma è fissato e confutabile, in relazione al contesto in cui agisce. Il concetto lewiniano di "campo", con le dinamiche correlate, è un paradigma forte, generativo anche per la questione delle skills. Queste sono infatti sia la capacità di fare che la potenzialità di fare. La prima è un dato fenomenologico, mentre la seconda è un precipitato dell'incontro fra le risorse dell'attore e la situazione, il campo, il contesto.

La metafora informatica
Può essere di un certo interesse ricorrere alla metafora informatica per l'illustrazione della tassonomia delle competenze psicologiche. A cosa ci si riferisce quando si parla di "capacità" di un computer? Esiste una capacità dell'hardware, cioè della struttura, che rimanda sia alla capienza (Hard Disc e Ram contengono i Bytes in archivio mnemonico a lungo ed a breve termine), sia alla velocità di funzionamento (oggi arrivata ai processori MMX400). Questa può essere paragonata alla struttura mentale del soggetto, alle sue capacità mnemoniche, logico-matematiche, motorie. Possiamo dire che un hardware predisposto per l'upgrading è come un soggetto con una struttura mentale aperta ed una capacità di estendersi più volte. Il rapporto tra il vecchio ENIAC, grande come un palazzo e tutto valvole,e gli odierni portatili a colori evoca la struttura mentale di un contadino di fine Ottocento rispetto a quello di un attuale operatore di un'impresa avanzata. Nessuna differenza sul piano dell'etica o del pensiero filosofico di base (entrambi hanno lo stesso rapporto con Dio e cercano le stesse risposte alla vita), ma un abisso sul piano della capienza e della velocità: il portatile ha una "capacità" 1000 volte superiore. Le capacità dell'hardware si collocano su una scala che indica il grado del controllo sullo spazio (memoria) e sul tempo (velocità). Ma esiste soprattutto una capacità del software, cioè dei processi "mentali" del computer. Qui possiamo fare una divisione in base alle funzioni ed al livello di definizione. Esiste un software che si chiama sistema operativo (i più comuni sono il vecchio DOS e il nuovo WINDOWS) e che definisce il tipo e le capacità dello scenario, dell'ambiente, del contesto nei quali le capacità operative si esprimono. Il sistema operativo corrisponde a insiemi di capacità, e fornisce "skills" aspecifiche che consentono le connessioni, le articolazioni, le evoluzioni dell'intero apparato. Essoè anche un attuatore del potenziale dell'hardware, come una cultura che facilita l'espressione di capacità della struttura. Un contadino potenzialmente intelligente e creativo, può esprimersi al minimo lavorando come bracciante, oppure studiare/viaggiare, stabilire relazioni che fanno esprimere al massimo,ed in modi prima ignoti, le sue capacità. Un PC 486 che monta il sistema operativo DOS, può fare meno cose ed in più tempo (cioè esprime meno capacità) che se monta WINDOWS 95. II sistema operativo è ancora un software aspecifico, cioè un insieme di capacità-quadro poco specializzate. Se si vuole usare il computer per scopi grafici o per comunicare via internet o per effettuare calcoli, occorrono più specifici strumenti di software,detti programmi applicativi. Word, Publisher, Excell, sono fra i più noti programmi applicativi della Microsoft, ma esistono centinaia di produttori che offrono migliaia di programmi applicativi. Ciascuno dei programmi applicativi ha una vocazione, una missione specializzata, cioè capace di fare qualcosa bene, ma non rutto: Word serve per scrivere, Publisher è adatto a fare grafica non professionale, Excel è dedicato ai numeri. Ogni programma applicativo è una capacità specializzata. Da esso non dipendono ne la capienza di memoria, ne la velocità delle operazioni che attengono al sistema operativo, ma la capacità di eseguire alcune operazioni specifiche. Anche se il modo con cui i programmi operativi agiscono non è senza influenza sulle aree di competenza del sistema operativo. Questo accade anche nelle capacità umane. La capacità logico-matematica è aspecifica, e corrisponde al sistema operativo. Ma il modo con cui facciamo le operazioni di calcolo, cioè il programma applicativo che usiamo, amplia o accelera la nostra capacità logico-matamatica. Per fare una divisione, il sistema moderno è più efficace del ricorso al pallottoliere: possiamo fare divisioni fra numeri di otto cifre ed in meno tempo. Il software applicativo specializza quello operativo, anche se dipende da esso, e lo influenza anche se ne è determinato. Entrambi hanno una qualche relazione biunivoca anche con l'hardware, pur essendo questo meno permeabile e flessibile. Infine esiste una terza classe di software che sono le funzioni dei programmi applicativi. Per esempio tutti, oltre a fare il loro compito, consentono di stampare. Alcuni hanno la funzione accessoria di inserire files audio; altri possono collegare direttamente con internet; altri ancora consentono di spedire a indirizzi diversi la stessa pagina scritta. Le funzioni sono decine per ogni programma applicativo: alcune sono comuni a molti programmi, altri attengono a uno solo. Si tratta dunque in qualche caso di capacità specifiche, in altri casi di capacità specializzatissime, affiancate a capacità specifiche come quelle dei programmi applicativi. La metafora dunque appare chiara: l'hardware è la struttura mentale, il sistema operativo corrisponde alle capacità aspecifiche, i programmi applicativi stanno per le capacità specializzate, e le funzioni sono componenti ultraspecializzate o aspecifiche dei programmi applicativi. I quattro livelli di definizione sono fra loro interattivi, si influenzano a vicenda, confliggono e cooperano, si attualizzano o riducono l'un l'altro. Quando chiediamo cosa sa, sa fare o sa essere un computer, a quale di questi livelli ci riferiamo? Non è una riduzione rispondere riferendoci ad un solo livello di definizione? E la capacità dell'operatore (cioè dell'altro che influenza il campo del computer) non determina forse in qualche misura l'espressione del potenziale del PC?

La metafora chimico-fisica
Una metafora meno meccanicistica, più vicina alla libertà tipica delle questioni umane, è quella ispirata al mondo della chimica e
della fisica. Mendeleieev, Bohr e Einstein sono tre nomi simbolo cui ci ispiriamo e di cui la psicologia delle skills avrebbe bisogno per evolversi. Il primo stabilì la tavola degli elementi basici della chimica, i mattoni dell'universo materiale, con le rispettive composizioni chimiche. Per quasi un secolo, la comunità scientifica ha fatto propria una descrizione dei mattoni dell'universo che definire approssimativa è poco. Eppure questa descrizione approssimativa è valida ancor oggi e serve ed è servita ad una infinità di operazioni pratiche. La tavola è una tassonomia di molecole elencate in ordine crescente di complessità nelle composizione. Le molecole sono aggregati di atomi/ cioè sono gruppi, di relativamente grande dimensione. Esse indicano un concetto molto sintetico e un livello di definizione "iper-atomico". Fra le competenze psicologiche del dirigente scolastico possiamo indicare come molecola il concetto di "sintesi", che è intuitivamente un composto pluriatomico. Con questa definizione molecolare, una volta trovato il consenso nella comunità psicologica, potremmo già operare a molti livelli significativi. Si tratta di un aggregato e di una capacità aspecifica (nel senso che non è tipica solo del dirigente), ma è pur sempre un punto di partenza. Se riuscissimo a fare la tavola di Mandeleieev degli elementi molecolari (cioè delle skills aspecifiche) del formatore psicologico, potremmo fare molti passi avanti. Dopo Mendeleicev, Bohr tentò con successo una descrizione del monto atomico, cioè
sub-molecolare, individuando il famoso modello "sole-pianeti". Lo schema di Bohr descrive il mondo atomico, non più come il democriteo mattone indivisibile, ma come un sistema plurale composto da un nucleo centrale (il sole) e uno o più elettroni orbitanti intorno ad esso (i pianeti). Il gruppo molecolare viene concepito come una comunità di gruppi. L'atomo diventa "tomabile" cioè tagliabile, ed è simile ad un programma applicativo a funzioni plurime, specializzate e non. Lo schema di Bohr indica anche il perché ed il come ogni atomo opera legandosi o meno ad altri, nel creare molecole. Ogni atomo è specializzato sia in relazione con gli altri atomi cui si lega, sia in dipendenza delle funzioni sub-atomiche che contiene. Atomi, molecole, elettroni, sono tre componenti e tre livelli di definizione della materia. Tornando dirigente scolastico, possiamo ipotizzare che la molecola "sintesi"sia un composto del tipo 3ulmlsld (3 atomi di Senso dell'Unità, legati a 1 di Mediazione, 1 di pensiero Sistemico, 1 di valorizzazione delle Diversità). A sua volta l'atomo di Senso dell'Unità comprende un nucleo (energia? forza?) ed almeno 3 elettroni:calore, fedeltà istituzionale, unità inferiore. Queste descrizioni subatomiche sono molto aleatorie, almeno quanto quelle di Bohr. La fisica quantistica, di cui Einstein è solo un nome, ha coperto finora, ma non sembra finita, oltre 40 oggetti orbitanti attorno al nucleo atomico: altrettante funzioni del programma applicativo cui ciascun atomo è dedicato. Anche in questa metafora scopriamo la complessità del problema della skills. Molecole, atomi e quark indicano diversi livelli di definizione; sono fra loro interattivi; determinano e sono determinati sia dall'ambiente fisico sia dal loro osservatore. Gli oggetti subatomici, come le funzioni del programmi applicativi, sono numerosissimi ed in continua espansione numerica: allo stesso modo delle skills basiche. Su questo punto il problema potrebbe diventare molto complesso , poiché non è escluso in fisica, quindi ancor meno può esserlo in psicologia, che i mattoni "finali"non esistano. Chi può dire che i quark non sono anche essi degli insiemi? Il carattere "infinito" del mondo esterno, come del mondo interno, fa ipotizzare la presenza di spirali ricorsive, simili alle scale di Escher, il cui punto di arrivo e quello di partenza coincidono.

In sintesi
Le competenze psicologiche del dirigente sono un territorio ancora tutto da esplorare e sul quale la comunità dei professionisti e degli accademici deve iniziare ad interrogarsi. Come è vero che finora abbiamo (per usare una famosa metafora di Musatti) acceso e spento la luce senza aver risolto il conflitto fra teoria corpuscolare e teoria ondulatoria, è anche vero che le scuole vengono dirette e i dirigenti formati con un certo successo, senza sapere bene quante e quali siano le loro (e le nostre) skills psicologiche. Definire le skills ai livelli molecolare, atomico e subatomicoè un compito importante e ancora tutto da svolgere, ma occorre iniziare. Sapendo che:

• ogni skills del dirigente è comunque da riferire al campo presente nel quale esso opera;
• la tavola delle skills non può essere che il risultato di un consenso nella comunità scientifico-professionale;
• le skills vanno classificate in base a diversi livelli di definizione, ciascuno dei quali ha una sua validità operativa;
• la definizione della tavola e delle skills deve essere collegata alla costruzione consensuale dei relativi strumenti di misura
zione;
• poiché il mondo interno è concepibile come "insieme di infiniti", è possibile ipotizzare l'infinitamente piccolo come punto di una spirale ricorsiva.
Il concetto di skill è impreciso e sdrucciolevole, ma, come abbiamo dimostrato nel precedente paragrafo, può trovare una sua definizione attraverso una operazione consensuale. Alla radice di questa consuensualità c'è però un'ulteriore problema, anch'esso definibile per convenzione: quello del ruolo del dirigente.  

Le skills del dirigente scolastico
Dobbiamo infatti chiederci cosa deve fare in concreto il dirigente e cosa è giusto che il sistema cui è preposto, e la comunità che fa contenitore alla scuola, si aspettino. Solitamente questi discorsi vengono affrontati attraverso una analisi della legislazione e delle circolari ministeriali. Questo approccio formalistico da una parte rischia la tautologia, in quanto solitamente la legislazione non è così fine e dettagliata da esaurire le libertà interpretative; dall'altra porta all'astrazione, perché nessuna normativa può rispondere alla fattispecie concrete. Ma l'obiezione decisiva all'approccio formalistico è quella che riguarda la relazione fra ruolo e campo. L'idea che esistano competenze personali di un dirigente slegate dal campo o sistema m cui opera, è stata abbandonata da tutte le scienze sociali mezzo secolo fa. Secondo la teoria psicosociale di ispirazione lewiniana, tutti i comportamenti di ruolo sono in funzione della personalità del detentore e del campo circostante. Un dirigente molto severo in una scuola può ottenere ottimi risultati, ma può essere una catastrofe nella scuola vicina. Un dirigente presenzialista può risultare molto responsabile in un contesto impiccione nell' altro. L'approccio che proponiamo dunque non fa derivare le skills del dirigente da un ruolo astratto, pensato per campi uniformi e rigidi, ma dal rapporto risultati-risorse entrambi costantemente mobili anche grazie all'azione del dirigente. Il rapporto ruolo-contesto è il tipico esempio di circolarità nel senso che entrambi sono insieme causa ed effetto l'uno dell' altro.

Indichiamo in sintesi le skills del dirigente scolastico a livello molecolare:
• capacità di sintesi (senso dell'unità, capacità di mediazione pensare per sistemi, valorizzazione delle diversità);
• capacita di costruire (progettazione, reperimento, armonizzazione risorse);
• capacità di contenimento (autorevolezza, decisionalità, senso dei limiti e del rischio, norme, ordine, supporto, elaborazione conflitti);
• capacità di motivare (valorizzare, supportare, maturare qualificare, trascinare).
Abbiamo affermato prima che dirigere significa saper combinare al massimo grado il perseguimento di risultati e la crescita delle risorse, fino all'eccellenza di entrambi. Entriamo in questa parte del contributo sul difficile terreno di concetti la cui definizione è strutturalmente fonte di ambiguità, ma che potremmo definire come un bagaglio di risorse potenziali che si declinano in modi diversi in dipendenza del contesto.

Capacità di sintesi
Qual è il risultato eccellente di una scuola ? Definire questo risultato come il massimo grado di apprendimento del maggior numero di alunni, facilita di poco il problema perchè lo sposta sul concetto di apprendimento. Che è concepito in modi diversi dal Ministero, dal corpo docente, dalla comunità territoriale, dalle famiglie e dagli allievi. La legislazione è la prima a mettere, e giustamente, il concetto di apprendimento nelle mani di attori diversi e spesso conflittuali Ira loro. Essendo il dirigente un quadro intermedio, come abbiamo visto nel paragrafo...., la sua pluriappartenenza è non solo una necessità, ma un preciso carattere funzionale all'Organizzazione. Il dirigente deve
sentirsi simultaneamente, ed operare come l'esecutore degli obiettivi dello Stato, il coordinatore del corpo docente, il garante della qualità verso la comunità territoriale e le famiglie, il difensore del diritto ad apprendere di tutti gli allievi. Il suo essere responsabile della direzione della scuola si fonda dunque con tutta evidenza su una skill personale che possiamo indicare come "capacità di sintesi", nel senso chimico del termine. Il dirigente infatti deve saper trovare giorno per giorno il livello più alto di sintesi in ordine al risultato "apprendimento" così come lo intendono gli attori del sistema. Il dirigente scolastico non può dirigere nel senso di timonare una nave verso una meta decisa dall'armatore, il che peraltro non accade più per quasi nessuna organizzazione. Per il semplice fatto che l'armatore della scuola (lo Stato) gli chiede di dirigersi verso una meta imprecisata, imponendogli anche di negoziarla coi marinai, coi passeggeri, con le famiglie restate a casa, e financo con le altre navi che incrociano nello stesso spazio di mare. La capacità di sintesi e correlata a quella di pensare ed agire per sistemi, cioè comprende il "senso dell'unità" . Il dirigente è una sorta di punto di convergenza fra le diverse forze interne e di polo di riferimento per le risorse esterne Ogni parte dell'organizzazione scolastica (docenti, non docenti, allievi, famiglie) ha il diritto di essere parziale e questo diritto è tutelato dalla sicurezza che oltre il dirigente nell'assumersi il compito della visione unitaria. Si può non chiedere alla parte di ragionare per il tutto, lasciandola libera di esprimersi come parte, se l'insieme viene rappresentato, tutelato e promosso dal dirigente. Chi dirige con stile laizzer faire, alimenta fantasmi di disgregazione dell'insieme e di fatto limita la libertà d'azione e di pensiero delle parti. Dirigere per sintesi non è solo una necessità data dalla varietà degli attori,ma un modo di valorizzare le diversità interessate al sistema-scuola. Al punto che ove qualche componente (per es. la famiglia) non fosse attiva, è compito del dirigente renderla tale. Il Territorio a sua volta non può ne deve rapportarsi ad un sistema attraverso le sue parti, ma deve poter interagire con chi rappresenta il sistema nella sua totalità. Il dirigente è responsabile, nel senso di "competente a rispondere", per l'intero sistema-scuola. Questo ragionare per sistemi può essere considerato parte della "capacità di sintesi", e richiede una capacità intellettiva legata all'emisfero destro (quello artistico) ed una capacità emotiva legata al controllo dell'ansia e dell'ambiguità.

Capacità di costruire
Per evitare che la capacità di sintesi sia intesa come puro atto di mediazione
dell'esistente, dobbiamo assegnare al dirigente scolastico un'altra competenza a carattere proattivo: la "capacità di costruire". Egli infatti non deve solo tracciare la rotta nautica per un viaggio la cui meta hanno deciso altri, sia pure attraverso il suo ruolo di sintesi.. Il dirigente deve anche saper immaginare il futuro, disegnarlo, anticiparlo e poi trovare ed organizzare le risorse per costruirlo. La Scuola tradizionale era una specie di rigido cristallo codificato, preconfezionato allo scopo di omogeneizzare la nazione, ma anche specchio di una società a sua volta cristallizzata ed omogenea. Dalla Scuola Media Unica in poi, via via con le decine di mutamenti istituzionali interni alla Scuola, e con la progressiva frantumazione sociale causata dal declino della modernità, la Scuola è, e sempre più sarà,un arcipelago in costante evoluzione, una rete di diversità articolate, una organizzazione proteica e multiforme. Già negli anni recenti, ma sempre più in futuro, la qualità delle scuole sarà affidata alla loro capacità di costruirsi, di evolvere in senso biologico, di trasformarsi attraverso progetti sul proprio futuro. La Scuola sta diventando più un organismo che un meccanismo. Quello del dirigente è un ruolo cruciale per lo sviluppo biologico dell'organismo scolastico: ad esso spetta di inventare il futuro e di dirigere la scuola verso di esso. Un'operazione che non deve, ne può, fare da solo, ma che lo vede primo responsabile per la posizione apicale che occupa. Abbastanza vicino al terreno (territorio) ma anche abbastanza sollevato da esso, per poter vedere più in là. Esso non ha il compito delle grandi strategie che continuano a competere allo Stato, ma ha quello delle piccole e medie strategie, per la costruzione concreta del futuro.

Capacità di contenimento
L'arcipelago di forze e risorse che costituiscono il sistema scuola è inevitabilmente foriero di un costante senso di insicurezza per le diverse isole. Ciascuna di queste forse sa chi è e cosa vuole (anche se ciò non è sempre vero), ma non può tenere conto di tutte le altre isole, non ne conosce la direzione, non riesce spesso neppure a intavolare un dialogo. I frammenti del campo scolastico agiscono al meglio all'interno di una cornice rassicurante fornita da un dirigente che sia autorevole, capace di far decidere o decidere da solo, col senso dei limiti ma anche capace di rischiare garante delle norme e dell'ordine, disponibile a supportare gli operatori in difficoltà, abile nel facilitare la elaborazione costruttiva dei conflitti. Chiamiamo questa molecola "capacità di contenimento" per sottolineare la funzione confinaria del dirigente. Questi è infatti paragonabile al doganiere che ha la doppia valenza di custode dei confini e di segnalatore della frontiera. Il contenimento è rivolto alle ansie persecutorie e depressive che inevitabilmente assalgono tutti i soggetti coinvolti m un flusso di cambiamento. La paura di essere attaccati e perseguitati, cioè la sensazione di minacciati, svalorizzati, incompresi e puniti è il risultato di una posizione (persecutoria) che attribuisce ogni valenza negativa all'esterno di sé. Il timore di essere inadeguati e colpevoli, privi di risorse e valore, impotenti e paralizzati è invece il risultato di una posizione (depressiva) che attribuisce ogni valenza negativa all'interno. Il contenimento di questi due ordini di ansie è la condizione per l'azione ordinata e costruttiva di ogni sistema. Ed essa è garantita solo da un terzo, un arbitro autorevole, abile nel porre e difendere le regole del gioco, unica garanzia per la elaborazione costruttiva dei conflitti. Grazie ad un dirigente capace di contenimento viene evitata o superata la trappola dell' onnipotenza, cui si oppone il senso del limite, o dell'impotenza, che viene attenuata col senso del rischio possibile. Il contenimento tuttavia non va inteso nel solo senso della repressione: esso ha anche una valenza promozionale ed espressiva. Il dirigente contenitivo è anche quello capace di sostegno e supporto verso i soggetti (gruppi o individui) in difficoltà, m modo che le ansie non vengano semplicemente sopite ma tradotte in risorsa. . La carriera dell'operatore scolastico è minata dalla immobilità verticale ed orizzontale. Chi entra nella scuola in una posizione (docente o non docente) ha scarsissime possibilità di cambiarla.

Capacità di motivare
Non esistono incentivi economici significativi. I riconoscimenti
sono esili e volatili, perlopiù non pubblici. Qual è dunque la spinta motivazionale su cui si basa il lavoro scolastico? Solitamente si ricorre al concetto di motivazione ulteriore o vocazione, la cui natura idealistica tuttavia mal si concilia sia col clima culturale generale, sia con la natura burocratica della scuola. Passato il periodo dell'entusiasmo da neo-inserimento, diventa quindi naturale la esposizione alla sindrome del burn-out che colpisce tutti coloro che lavorano con le persone. Il docente che inizia la sua carriera con alti dosi di idealismo, non tarda molto ad incontrare frustrazioni che si traducono in apatia, distacco, demotivazione e, in casi particolari, auto ed eterodistruttività Le capacità del dirigente di motivare gli operatori, sono cruciali, m senso metaforico possiamo dire che il dirigente è colui che "insegna a lavorare al meglio" agli operatori scolastici. Egli deve anzitutto valorizzare i contributi attuali e le risorse potenziali degli operatori, facendo percepire loro il valore sociale del lavoro scolastico e dell' apporto di ciascuno. Poi deve sostenere, supportare, accompagnare gli operatori nel loro processo di crescita professionale continua attraverso strumenti come il colloquio, la supervisione, l'aggiornamento, non importa se realizzati in via diretta o forniti mediante esperti esterni Indispensabile è anche la funzione di trascinamento degli operatori verso sfide di qualità professionale, di innovazione permanente, di progetti che alimentino e rinnovino l'investimento energetico. La capacità di motivare è anche la capacità di ricreare periodicamente un clima organizzativo da "stato nascente", nel quale le energie di ciascuno si concentrino in una identità e in un progetto collettivi. L'entusiasmo individuale viene infatti limitato o incrementato dal clima del contesto, che può essere routinario, depresso, conformista, repressivo o euforico, ottimista,espressivo, creativo.

Una politica per la formazione
Naturalmente non ignoriamo che il ruolo del dirigente comprende conoscenze teoriche e abilità strumentali specifiche. Il fatto è che queste ultime vengono spesso indicate sia nella legislazione, sia nelle circolari ministeriali (oltre che nei concorsi) in maniera fin troppo particolareggiata. Al contrario sulla voce skills le indicazioni sono sempre nel vago. D'altronde chiunque abbia esperienza di scuola può confermare che difficilmente le crisi sono causate da ignoranza dei dirigenti di informazione, nozioni, cognizioni. Eventuali lacune su questo fronte vengono facilmente colmate con il ricorso a fonti informative scritte od orali sempre disponibili. A volte le crisi vengono causate da carenze strumentali, ma non sulle aree amministrativa, burocratca, manageriale perché anche qui i supporti sono numerosi e di facile accesso (Ispettori, Provveditorato, colleghi, personale non docente, manualistica). Le più frequenti carenze strumentali riguardano le tecniche legate alle skills suelencate. Per esempio: la conduzione delle riunioni, la progettazione e gestione di progetti interistituzionali, l'azione sul clima scolastico, ecc. Insomma i problemi principali derivano dalle skills e dalle tecniche ad esse correlate. I dirigenti scolastici del resto sono considerati alla stregua di tutti i dirigenti della Pubblica Amministrazione. La quale si basa sull'astrattezza delle procedure e delle norme come unico metodo gestionale. Con l'aggravante che i dirigenti scolastici operano in una organizzazione nella quale i fattori umani ed immateriali sono prevalenti. La scuola è ben diversa dall'anagrafe, dal catasto o da un'esattoria. La gestione per norme e procedure va forse bene per organizzazioni che hanno per oggetto cose materiali, numeri, danaro, certificati. È invece del tutto mutile, quando non anche dannosa, per organizzazioni come le scuole, gli ospedali, i musei che hanno per oggetto persone e idee. Il paradosso è che oggi anche le imprese che producono beni o servizi materiali, pongono più attenzione e cura alle skills personali dei dirigenti, di quanta ne ponga l'impresa scolastica. A parte iniziative sporadiche e di solito brevi, non esiste in Italia un iter formale per la formazione di base di un dirigente scolastico. Qualche anno di insegnamento, la lettura di uno o più manuali di diritto amministrativo e legislazione scolastica e infine un concorso ispirato a criteri burocratici: et voilà, ecco fatto un dirigente scolastico! Per i dirigenti d'impresa esistono ormai numerosi Masters post-lauream e comunque le organizzazioni produttive si fanno carico di una formazione iniziale e poi continua dei loro dirigenti, intermedi o alti che siano. I dirigenti scolastici passano per corsetti brevi in preparazione dei concorsi e brevissime iniziative di aggiornamento durante la loro carriera. Queste iniziative intanto sono opzionali, il che significa che esistono dirigenti che non hanno fatto un solo giorno di formazione specifica in tutta la loro carriera. Partecipare non offre alcun vantaggio e non partecipare alcun danno. In secondo luogo, la maggior parte delle iniziative formative rivolte ai dirigenti sono a carattere meramente informativo e perlopiù legate all'area burocratico-amministrativa. La scuola sembra essere un'organizzazione arcaica nella quale prevale ancora il "principio di incompetenza". Secondo il quale i quadri di una organizzazione sono sempre al più basso livello di competenza possibile. Un bravissimo insegnante, stanco e demotivato, diventa un mediocre dirigente. Se questi rimane poco competente, resta nel suo posto di dirigente. Se diventa bravo come dirigente, prima o poi aspira a diventare funzionario del Provveditorato o dell'IRRSAE, Ispettore ministeriale, professionista dell'aggiornamento o ricercatore universitario. Se in una di queste nuove posizione il nostro soggetto è mediocre, resta dov'è; altrimenti cerca di spostarsi in un ruolo più elevato, in termini di prestigio, potere e rimunerazione. Il fatto è che i passaggi di carriera non sono quasi mai legati all'acquisizione di competenze specifiche per i diversi ruoli, ma a criteri meramente burocratici (quando non anche clientelari). Naturalmente esistono molti dirigenti che restano fermi nel loro ruolo e cercano di migliorarsi per propria motivazione. Il fatto è che costoro non sono aiutati ne premiati in alcun modo; e prima o poi entrano in crisi di motivazione, rischiando per primi di accusare i sintomi del burn-out. Una politica della formazione dei dirigenti scolastici dovrebbe prevedere servizi di almeno tre livelli: orientamento, formazione di base, manutenzione.

Orientamento
Dirigere è un compito delicato e complesso. Il dirigente è il primo responsabile e garante dell'efficienza e dell'efficacia della scuola; è la figura professionale cui lo Stato, la Comunità territoriale, la famiglia, affida l'istruzione dei giovani; è il ruolo che deve fornire al personale l'organizzazione adatta a sviluppare al meglio i propri compiti. Non sembra dunque illegittimo avanzare la proposta che la posizione di dirigente sia affidata solo a soggetti che dispongano di una adeguata motivazione e di sufficienti competenze personali di base. Un insegnante sbagliato guasta il processo di apprendimento di una classe; un dirigente sbagliato danneggia decine di classi. Non si tratta necessariamente di prevedere sbarramenti selettivi, basati sulla personalità, che purtroppo sono inapplicabili ad una cultura burocratica come quella della scuola italiana. Ma almeno si potrebbero approntare servizi e strumenti di orientamento, che eviterebbero danni sia alla Scuola sia all'aspirante dirigente. Non sono rari i casi di dirigenti incapaci e addirittura dannosi per la scuola; ma non sono nemmeno rari i casi di dirigenti "pentiti" che hanno iniziato una carriera sulla base di motivazioni equivoche come quella di evitare l'insegnamento, o quella di godere dell'esercizio del potere. Un processo di orientamento preventivo, basato su colloqui, test, tecniche di valutazione del potenziale, stages di affìancamento, potrebbe garantire una base minima di qualità agli aspiranti dirigenti, sicuramente giovevoli a loro come alla Scuola. Queste tecniche sono largamente usate nell'impresa ed anche in alcune aree della Pubblica Amministrazione (per esempio nelle Forze Armate): qual è l'obiezione ad usarle anche per la dirigenza scolastica?

La formazione di base
È ormai accettato da tutte le scienze sociali che la dirigenza sia un ruolo specifico e non solo una funzione, insomma si tratta di un mestiere autonomo, con proprie regole e un proprio statuto culturale. Un dirigente non è un coordinatore, cioè un mestiere che si fa carico anche di funzioni dirigenti. Un dirigente non è un insegnante che dedica parte del suo tempo a svolgere compiti organizzativi. Lo specifico del dirigente è dirigere, e dirigere è un mestiere che si può e si deve imparare, esattamente come fare il pilota, il chirurgo, il pianista. Va da sé che una scuola con quasi un milione di addetti che non prevede alcuna forma di preparazione specifica, ha qualche difficoltà a pensare di formare i dirigenti. È ormai condivisa l'ipotesi di una formazione degli insegnanti, in quanto operatori dell'apprendimento e non solo esperti di una disciplina. Ora occorre pensare ai dirigenti come gestori di organizzazioni e non solo come traduttori e applicatori di circolari. E' legittimo perciò ipotizzare la creazione di appositi Master post-lauream per la preparazione di base di managers scolastici. In simili Master dovranno trovare posto ovviamente le conoscenze teoriche e le nozioni informative, necessario allo svolgimento delle funzioni buro-amministrative del dirigente scolastico. Ma un uguale peso dovranno avere le abilità strumentali e le competenze psicologiche (skills). A cavallo fra queste due capacità si situano compiti che quotidianamente impegnano i dirigenti, come:

- gestione delle riunioni;
- progettazione, organizzazione e valutazione progetti;
- decisione, negoziazione, soluzione conflitti;
- promozione e supporto risorse umane;
- marketing e pubbliche relazioni.
I compiti indicati possono essere espletati in modo professsionale da dirigenti che siano in possesso delle relative tecniche, ma anche delle skills correlate (sopra indicate come sintesi, costruzione, contenimento e motivazione). Va detto che l'apprendimento di abilità strumentali e capacità psicologiche come quelle indicate non avviene attraverso cicli di conferenze. Qui emerge un altro paradosso della scuola italiana. Ormai il dibattito sulla didattica verso gli allievi è piuttosto sofisticato in larghe frange degli operatori scolastici. Docenti e dirigenti sono m larga parte sensibili ed attrezzati verso la progettazione didattica, che non è più solo limitata alla lezione frontale, ma prevede sempre più spesso esercitazioni, simulazioni, tecniche informatiche e audiovisive, lavori di gruppo. È impressionante invece l'incuria che la Scuola pone verso la didattica degli adulti. I Seminari ed i Corsi per docenti, dirigenti e genitori sono in larga misura (ovviamente esistono eccezioni) primitivi, limitati alla stantìa metodica della lezione unidirezionale, a stento rimodernata con discussioni di gruppo. È giunto il momento che il mondo della Scuola applichi alta formazione degli operatori la stessa attenzione didattica che viene fornita agli allievi. E allora diciamo che un possibile Master per dirigenti dovrebbe prevedere un addestramento delle abilità strumentali basato sulle più efficaci e moderne tecniche didattiche: dalle esercitazioni attive al metodo dei casi; dalle simulazioni video-registrate ai computer games; dall'action learning alla ricerca-intervento; fino al lavoro di gruppo etero ed auto-centrato. Per quanto riguarda l'apprendimento delle skills, lo strumento più efficace si è dimostrato proprio il gruppo auto-centrato. Un tipo di gruppo che si fonda sul compito della riflessività e della confrontazione interpersonale; nel quale i partecipanti sono chiamati a riflettere su e misurarsi con i problemi che emergono "qui ed ora". Non esiste tecnica che, più efficacemente di un gruppo autocentrato ben condotto, può stimolare l'apprendimento di skills personali come quelle indicate per i dirigenti scolastici: pensiero per sistemi, gestione delle differenze, competenza decisionale, efficacia relazionale.

Manutenzione
II termine può sembrare irridente perché richiama alle macchine, ma non esiste una parola italiana migliore, che comprenda tutti i concetti necessari. Il problema non è solo quello del mantenimento delle competenze originali ed acquisite nel corso della formazione di base; ne quello del solo aggiornamento, o della supervisione; o ancora della consulenza organizzativa. Per manutenzione intendo tutte queste attività insieme più qualcosa che mantenga e rafforzi nel tempo una qualificata identità di ruolo. La prima difficoltà che il dirigente scolastico incontra deriva dalla sua particolare condizione di solitudine. In un certo senso tutti i dirigenti scontano questo problema, ma il dirigente scolastico soffre di una solitudine tutta speciale. Intanto non dispone di colleghi pari grado all'interno della sua scuola; non ha uno staff personale di fiducia (se se lo crea fra gli operatori viene subito accusato di parzialità) ne può ricorrere a consulenti; non ha "capi" diretti con cui confrontarsi e confidarsi, ma dipende da anonimi uffici locali o nazionali. Questa solitudine impedisce o riduce molto la possibilità di confronto costruttivo, solidarietà, supporto, crescita professionale. Gli apprendimenti teorici e le informazioni acquisite oggi per il concorso ed in futuro in un eventuale Master diventano obsolete prestissimo, data la furiosa prolificità della normativa scolastica. Questo richiede un aggiornamento continuo. Le abilità strumentali e le skills personali non hanno un carattere binario, come l'andare in bicicletta (o non si sa o si sa per sempre). Esse hanno un carattere discreto, cioè possono avanzare o, se non vengono costantemente "lucidate", adattate alle diverse situazioni, corrette da un'esperienza controllata, arretrare. Per esempio la capacità di condurre riunioni, acquisita in un apposito addestramento, può trovare speciali difficoltà ad essere applicata ad un certo contesto, oppure può gradualmente slittare verso disfunzioni, oppure semplicemente appannarsi per scarso esercizio. Ciò che serve al solitario dirigente, dopo la formazione di base e l'insediamento, è una possibilità di sottoporsi periodicamente a momenti di formazione aggiuntiva, o di supervisione sui problemi di ruolo, o di consulenza su casi particolari. Infine, il nostro solitario dirigente, ha bisogno di poter periodicamente rafforzare a approfondire la sua identità di ruolo. Il che richiede la possibilità di incontrarsi con altri dirigenti per scambiare esperienze, rafforzare l'appartenenza al ruolo, rispondere con soddisfazione alla domanda sul valore e la direzione da darsi.

1. Su questo tema esiste una nutrita letteratura; fra gli altri cfr. Drudi I., Sardella MV. Lo misura e le determinanti del burn-out e Contessa G., La prevenzione del burn-out rispettivamente sul n. 1 (genn-giu. 1993) e sul n. 5 (genn-giu.1995) della rivista GRUPPI, ORGANIZZAZIONI, COMUNITÀ edita da Arips.
2. Per un panorama completo delle tecniche di formazione psicologica cfr. AA.W, La formazione psicologica. Città Studi Edizioni, Milano, 1994.

Tratto da "Dirigenti Scuola", n°4, genn.-febb. 1999, Editrice la Scuola, Brescia, pag. 65-80