L'avvento
dei semafori, più o meno intelligenti, ha fatto sparire una
delle più familiari figure di dirigente: quella del vigile
urbano che sulla pedana, appunto, dirigeva il traffico. E che di dirigente
si trattava è fuori di dubbio. L'etimologia della parola dirigere
contiene tra componenti distintive: il prefisso di(s) che indica la
continuità, il prefisso re- che indica la replicazione, la
radice ger- che indica il movimento rettilineo. La nostra lingua ci
dice che dirigere significa continuamente far ritornare il movimento
in linea retta, si osa troppo a sintetizzare il concetto con "riportare
le cose sulla via giusta"? Non credo. D'altra parte, il vigile
era colui che ritmava il flusso delle auto in modo che sciasuna potesse
andare sulla sua (retta) via. Se non vi piacciono i vigili, possiamo
pensare al rittore d'orchestra, anche lui governa e dà il ritmo
ad un flusso di suoni elementari in modo che il loro insieme segua
una via definita (la melodia scritta sullo spartito).
Vedere e farsi vedere
C'è un'altra analogia suggestiva, tutti e due stanno su
un piedistallo rialzato, un podio dal quale osservano lo svolgersi
dei processi che devono governare e dal quale inviano i segnali
che li regolano. Il dirigente deve vedere e farsi vedere, è
al tempo stesso un osservatore e un regolatore dei processi. Egli
adempie i suoi ompiti tanto meglio quanto più efficacemente
sa integrare le due funzioni. La prima senza la seconda è
tipica degli scienziati speculativi, la seconda senza la prima genera
tiranni.
Il dirigente non è e non deve essere nè l'uno nè
l'altro, il suo ruolo è quello di essere quel tanto di scienziato
che serve a capire ciò che deve governare e quel tanto di
decisore che è sufficiente a riportare i processi sulla via
rettilinea. In questo senso egli è un ricercatore nel senso
delal scienza contemporanea. Quest'ultima ha da tempo abbandonato
l'idea che soggetto osservatore e oggetto osservato siano cose distinte
e dà ormai per acquisiti il fatto che anche la semplice osservazione
interagisce e ridefinisce il sistema in cui viene effettuata. Quando
l'osservazione è un atto cosciente e intenzionale, essa necessariamente
cambia il sistema in cui avviene. Un suggestivo gioco di simmetria
ci porta a sostenere che, viceversa, ogni atto intenzionale e cosciente
di governo di un sistema complesso è un atto di conoscenza
e di osservazione, in una parola, di ricerca.
Ricercare per governare
In questo contesto non si dà funzione di direzione senza
ricerca e non ha senso una operazione di ricerca senza atto cosciente
di direzione. D'altra parte, sia pure sotto forme diverse, questo
concetto sta permeando anche l'organizzazione dell'attività
produttiva in senso stretto: basta sfogliare una qualche pubblicazione
dedicata al management che i termini come datamining, data-warehousing,
data-management sono citati a profussione e sempre come compiti
specifici del management moderno. Oltre a ciò anche una particolare
accezione di ricerca, quella valutativa, sta facendo il suo ingresso
anche nell'assetto legislativo legato alla produzione di servizi
pubblici.
Per indole (forse anche per vezzo)siamo portati a diffidare delle
mode improvvise e totalizzanti, tuttavia è difficile non
riconoscere in esse un nocciolo di fondatezza che sottolinea la
centralità del problema della ricerca e della osservazione
per governare efficacemente processi. Gli attuali sostenitori di
questa moda non ne hanno coscienza e conoscenza, tuttavia, una buona
parte dei concetti che vengono oggi proposti come novità
assolute sono stati ampiamente trattati e sperimentati più
di cianquanta anni fa da Kurt Lewin. Da leviniani di lungo corso,
siamo a metà compiaciuti e a metà indispettiti del
fatto che alcuni elementi dell'action-research stiano permeando
anche la cultura corrente.
Forse però questo sta ad indicare che il momento può
essere propizio per riproporre e sistematizzare alcune intuizioni
e alcune considerazioni che avevamo già messo per iscritto
alcuni anni fa a che oggi possono apparire meno pionieristiche e
trovare un terreno più disposto ad accoglierle.
L'obiettivo di queste righe è dare concretezza e contenuto
alle affermazioni finora presentate ed è ciò che faremo
nelle pagine che seguono, descrivendo quale sia il ruolo della ricerca
in una organizzazione complessa e sofisticata come la scuola. In
particolare affronteremo due temi legati al rapporto tra dirigente
e ricerca: quello che attiene al problema della valutazione del
complesso del sistema scuola (conoscere per governare), e quello
legato al tema della ricerca come elemento per rendere riconoscibile
all'esterno il sistema scuola (conoscere per farsi conoscere).
Valutazione moderante
La scuola è sempre stata l'istituzione valutativa per eccellenza.
Da quando esiste la scuola, gli insegnanti hanno messo in atto procedure
valutative del profitto degli allievi.
Negli ultimi anni, soprattutto in seguito alle leggi che promuovo
l'autonomia degli istituti, il sistema formativo italiano si sta
interrogando sui modi e gli strumenti per valutare non solo il prodotto
ma anche il processo di produzione dell'intera azienda-scuola. La
nostra impressione è che di questo tema si parli molto, come
di un evento "alla moda" ma che, in realtà, la
cultura della valutazione, non solo nel mondo della scuola ma in
generale nel settore sociale, sia ancora a livello embrionale. Esiste
una mole considerevole di dati sull'istruzione, raccolti in modo
sistematico i tutti i paesi aderenti all'OCSE (Organizzazione di
cooperazione e sviluppo economico); inoltre, dagli anni 1950, si
lavora per rendere comparabili i dati sulle scuole dei diversi paesi.
Nonosante questi sforzi, come afferma Bottani, "i progressi
in questo campo sono stati lentissimi e non sono per nulla comparabili
con quelli realizzati in altri settori, come per esempio nell'industria
o nell'agricoltura". Questa realtà si configura come
indicatore indiretto del fatto che il settore dell'istrruzione è
ancora oggi considerato di non primaria importanza nell'economia
di una nazione.
L'OCSE ha varato, nel 1988, un progetto per elaborare un insieme
di indicatori sul funzionamento e la qualità dei sistemi
scolastici, cui ha aderito anche il Ministro della Pubblica Istruzione.
Il progetto ha portato all'individuazione di 38 indicatori, ripartiti
in tre settori (il contesto dell'insegnamento; i costi e le modalità
di insegnamento; i risultati). Non è compito di questo contributo
addentrarsi nel commento ai risultati della ricerca che sono, perarltro,
molto interesanti anche se poco lusinghieri per il nostro Paese.
Citiamo questo progetto, per sottolineare che, se c'è vero
interesse nei confronti di un tema, si riescono a superare le difficoltà
addirittura a livello internazionale. Ci sono voluti, infatti, oltre
10 anni perchè i Paesi aderenti all'OCSE si accordassero
su quegli indicatori che potevano dare una misura della qualità
dell'istruzione. Questo risultato è stato raggiunto per tappe
intermedie e, probabilmente, gli indicatori subiranno dei cambiamenti
nel corso dei prossimi anni, in relazione alle esigenze misurative.
D'altronde, in ogni processo di misurazione si è proceduto
per accordi intermedi e per prove ed errori.
Lo stesso CENSIS (1993) "accusa" il mondo scolasctico
italiano di essere, in qualche modo, impermeabile nei confronti
di un'autentica cultura valutativa, sostenendo che è ormai
indispensabile definire un processo di valutazione di progetti,
sistemi ed istituzioni.
A fronte di tante critiche va segnalato, per riconoscerne i meriti,
che alcune Scuole, Provveditorati ed IRRSAE stanno invece percorrendo
la strada della sperimentazione. Basta collegarsi ad Internet per
trpvare siti in cui sono descritti interessanti progetti facenti
capo allo stesso provveditorato, a volte anche in raccordo con associazioni
di categoria del mondo produttivo. Nel 1997 è stata fondata
in Italia l'AIV (Associazione Italiana Valutatori) che pubblica
un'interssante rivista dal titolo Rassegna Italiana di Valutazione;
inoltre è di questi giorni la proposta del Ministro della
pUbblica Istruzione, Berlinguer, di istituire un nuovo ruolo nel
mondo dell'istruzione, quello del valutatore.
Il ruolo del dirigente nel processo di evaluation
Come già altrove sostenuto definiamo l'evaluation "un
processo formalizzato di verifica e valutazione dell'efficacia,
dell'efficienza e della soddisfazione di un'organizzazione o di
un intervento".
L'evaluation, quindi, non si esaurisce nel momento della valutazione
ma lo comprende insieme alla verifica. I due termini sono spesso
usati erroneamente come sinonimi ma, in realtà, hanno significati
molto diversi. La verifica (verum-facere) è quella fase dell'evaluation
in cui si misura la distanza tra il progetto iniziale e l'obiettivo
raggiunto; la valutazione è invece, quella fase in cui si
interpretano (cioè si da valore) i dati raccolti con la verifica.
In quanto processo formalizzato deve prevedere una serie di azioni
intenzionali e programmate, spiegabili e trasferibili in situazioni
analoghe. E' un processo che prevede una raccolta di informazioni,
secondo obiettivi e schemi pre-definiti, applicabili a situazioni
analoghe, al di là e al di sopra dell'occhio clinico. Una
ricerca valutativa pensata con la scuola e per la scuola deve poter
essere applicata a tutte le scuole di quel tipo. E' da anni che
sosteniamo che la scuola è un sistema complesso ed un'organizzazione
particolare; proprio per questo costruire un procedimento valutativo
del sistema-scuola è al contempo difficile ed indispensabile.
Anche se crediamo che i motivi per procedere a questa evaluation
siano intuibili, pensiamo che valga la pena ricordarli. I principali
possono essere riassunti come segue: per conoscere quanto ed in
che modo una scuola funziona, per controllare la discrepanza fra
obiettivi proposti e risultati ottenuti, per riflettere su ciò
che ha ostacolato o facilitato un progetto o una sperimentazione,
per sapere se l'istituzione fa fronte alle richieste del territorio,
per conoscere ed eventualmente migliorare il grado di soddisfazione
dei suoi attori.
Cosa, come, chi votare
Come si vede le variabili da tenere sotto controllo sono molteplici
e qui entra in campo, in modo decisivo, il dirigente che deve porsi
almeno tre interrogativi fondamentali: cosa valutare, come valutare,
con chi valutare.
Proviamo a rispondere ai quesiti. L'evaluation fa parte della famiglia
dell'action-research, per cui segue il principio cardine del "conoscere
per cambiare attraverso il sapere". Perchè questo processo
circolare abbia successo è necessario che il soggetto e l'oggetto
della ricerca si identificano. L'applicazione di questi principi
teorici al mondo della scuola si traduce in una ricerca partecipata
ad opera di tutte le componenti: allievi e famiglie, personale docente
e non docente, dirigente, operatori del territorio cha hanno rapporti
con la scuola. In questa ricerca-intervento il dirigente deve, inoltre
ricoprire il ruolo di promotore e di garante. Secondo questa ottica,
quindi, il dirigente non deve essere l'unico valutatore del sistema
scuola, ma uno dei protagonisti della valutazione. In altri termini,
deve favorire nell'organizzazione la creazione di un sistema di
monitoraggio che evidenzi non solo i problemi, ma anche le risorse,
le potenzialità, le capacità presenti nella scuola.
Questo lavoro dovrebbe far sì che tutte le componenti siano
messe in grado di modificare, ognuno per il ruolo che ricopre, ciò
che non funziona o potenziare gli aspetti positivi.
Come fare tutto questo?
Ci sono delle indicazioni di carattere psicologico ed altre di carattere
tecnico.
Innanzitutto, è necessario ampliare la cultura della valutazione,
intesa come condivisione di responsabilità del funzionamento
di un sistema. Una scuola (un'organizzazione, una classe, un gruppo)
non funziona bene o male solo per merito o per colpa di una sola
componenete. Per fare un esempio, il rendimento degli allievi, assimilabile
al prodotto di un'azienda, è correlato sicuramente all'impegno,
all'intelligenza e alla motivazione degli stessi ma anche a quella
degli insegnanti. Questa affermazione, che pare lapalissiana, è
il primo grosso rospo da imparare a dirigere. L'evaluation non ha
finalità di fare emergere il colpevole, ma quella di aumentare
il senso di responsabilità di tutti nei confronti del funzionamento
del sistema che si sta valutando. Inoltre essere valutati, cioè
essere messi in discussione, non è sempre piacevole, ma acnhe
esprimere giudizi in modo codificato su colleghi e superiori è
un'operazione che costa psicologicamente.
Superato questo scoglio, il viaggio nell'oceano valutazione si fa
più tranquillo.
Parametri di valutazione
La seconda operazione consiste nella scelta degli indicatori. Nel
linguaggio comune un indicatore è un rilevatore di un fenomeno.
Non esiste nè l'indicatore per antonomasia, nè un
numero ottimale di indicatori. E' importante, invece, che l'organo
di governo della scuola scelga consensualmente quali fenomeni si
vogliono tenere sotto controllo e convenzionalmente i parametri
di misura.
Questa operazione si può tradurre operatuvamente nel seguente
modo. Il dirigente mette in calendario, per la fine di un anno scolastico,
alcune riunioni di collegio dei docenti o di consiglio di circolo
che abbiamo come unico ordine del giorno la scelta delle aree da
monitorare almeno nell'anno successivo (ma sarebbe meglio parlare
di triennio o quinquennio). La misurazione di queste aree drovrà
fornire lo stato di salute dell'organismo scuola. Ma, come si sa,
la misura in sè non ha valore se non si stabilisce un termine
di paragone; ad esempio 10 è il massimo dei voti in una scala
che va da 1 a 10 ma è "insufficiente" in una scala
da 1 a 30. L'operazione che viene richiesta ad un gruppo che si
appresta a progettare una evaluation è, quindi, quella di
scegliere per convenzione la soglia di successo, cioè il
termine di paragone con cui confrontare i risultati raggiunti.
ecco alcuni esempi di possibili contenuti dell'evaluation di una
scuola: organizzazione interna, rapporti interni e con l'esterno,
clima, tipo di comunicazione, costi economici e psicologici, fiducia
reciproca, turn-over, soddisfazione, prodotto didattico-educativo
(gli allievi).
Una volta decisi i contenuti, indicatori e "pietre di paragone"
è necessario procedere alla scelta degli strumenti e dei
tempi in cui utilizzarli.
Gli strumenti possono essere "presi in prestito" dalla
ricerca sociale: intervista, questionario, griglia di osservazione.
Non è sempre indispensabile reinventare tutto, si può
anche copiare (col concenso!) o riadattare strumenti prodotti da
altri. E' invece essenziale, ancora una volta, l'accordo preventivo
sugli strumenti; questo ulteriore patto serve per prevenire alibi
del tipo "lo strumento non funziona", nel caso in cui
le informazioni con esso raccolte non soddisfano qualcuno. Altra
operazione delicata e, nuovamente, convenzionale è la scelta
dei tempi di applicazione degli strumenti. Le cadenze vanno decise
in base alle informazioni che si vogliono raccogliere, unica regola
aurea è che, visto che la ricerca valutativa misura la distanza
tra un prima ed un dopo, è importante che si effettuano almeno
due rivelazioni.
Come in ogni progetto è necessario individuare dei ruoli
operativi. Come detto in precedenza, il dirigente dovrebbe coordinare
tutto il processo, verificare che siano rispettati i tempi ed i
modi; ma non può anche distribuire i questionari o applicare
griglie di osservazione, magari in situazioni in cui non è
di solito presente (ad esempio in classe). Vanno quindi scelte collegialmente
quelle persone che si occuperanno, in modo operativo, della realizzazione
della ricerca valutativa.
Conoscersi per farsi conoscere
Una scuola è un elemento di un sistema di relazioni più
vasto che comprende diverse aggregazioni di persone, enti, istituzioni,
ecc., ciò che viene denominato "il territorio".
In questo ambiente la scuola è origine e destinazione di
relazioni significative che qualificano come un soggetto attivo
della comunità in cui opera. utilizzando a volte, strumentalmente,
la specificità della sua finalità educativa, la scuola
ha spesso preferito estraniarsi dal contesto in cui era collocata,
rivendicando uno spazio ed una autonomia che, molte volte, sono
coincise con l'isolamento e il disinteresse. In questa operazione
ha sovente incontrato la compiacenza delle famiglie e delle istituzioni,
ben contente di delegare buona parte dei loro compiti educativi.
Questo patto scellerato si sta, per fortuna, spezzando e la scuola
viene chiamata ad interagire con il resto della comunità,
così come si richiamano gli altri soggetti a non abdicare
alla loro funzione educativa e formativa.
Questo stato di cose implica, però, che la scuola sia capace
di rendersi visibile e riconoscibile non solo come luogo fisico
di didattica, ma come elemento attivo del "territorio".
Su questo piano la scuola ha sicuramente una miniera di risorse
da impiegare, un filone che sta al dirigente scoprire, valorizzare
e offrire agli altri soggetti. Ci riferiamo alla consuetudine che
identifica nelle cosiddette "ricerche" una metodologia
didattica ormai tradizionale. Tutti noi ci siamo incontrati (o scontrati)
con il termine "ricerca" nel corso del nostro iter scolastico
e abbiamo spesso imparato a frequentare biblioteche e a sfogliare
volumi per trovare notizie sugli argomenti più disparati.
Questa lodevole pratica contiene in sè un potenziale esplosivo,
se finalizzata non solo all'apprendimento, ma anche alla interazione
a alla conoscenza dell'ambiente in cui opera la scuola. Molto spesso
questo potenziale rimane inutilizzato perchè non esiste nessuna
figura delegata a questo scopo. Come gli insegnanti sono i responsabili
e i garanti della valenza didattica delle "ricerche" in
classe, così il dirigente dovrebbe essere il garante della
finalizzazione pubblica delle stesse. E' ancora una volta la scoperta
dell'acqua calda, in molti casi lo si fa già sicuramente,
ma il dirigente ha il compito di orchestrare e organizzare le iniziative
singole.
Ricordo ancora un tema di ricerca che mi fu affidato, riguardava
un particolare tipo di volatile, un passeraceo, mi pare che si chiamasse
"cannareccione". Trovai qualche riga su di esso solo sulla
proverbiale Treccani. Me la cavai copiando 10 righe e facendomi
fare da mio padre (io sono negato) un magnifico e grande disegno
di un uccello che forse poteva essere un cannareccione. Non so se
quella ricerca sia servita a me (forse sì, me ne ricorso
ancora), ma sicuramente il suo potenziale di interesse all'esterno
del rapporto tra me e la mia insegnante fu nullo. Che differenza
avrebbe fatto, per la didattica, se mi avessero detto di ricercare
il numero di occupati nel mio paese, oppure quanti turisti arrivano
l'estate, o come funziona una barca da pesca (vivevo allora in un
paese di mare)? Nessuna penso, ma il tema avrebbe trovato qualche
orecchio interessato anche al di fuori della scuola.
E' questo che va studiato, organizzato e coordinato, ed è
ovvio che solo un dirigente può farlo. E' probabilmente difficile,
ma ci sono molte cose che aiutano. Si pensi, innanzitutto, al potenziale
di energie racchiuse in una task-force di scolari ben motivati,
alle prospettive che si aprono con l'introduzione di corsi di informatica
e statistica, alle potenzialità offerte dalla autonomia e
dai progetti finalizzati.
E' una frontiera in gran parte inesplorata e forse difficile da
conquistare, ma sicuramente qualificherebbe la scuola coma una sorta
di osservatorio permanente della realtà territoriale e come
centro di produzione della conoscenza al servizio della comunità.
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