TEORIE & TECNICHE DI ORGANIZZ-AZIONE

1.      TEORIE MOTIVAZIONALI

L'importanza degli studi sulle motivazioni al lavoro si giustifica col legame inevitabile fra bisogni dei lavoratori ed organizzazione. Uno dei problemi centrali delle organizzazioni in questo scorcio di secolo è quello di trovare risposte adeguate alle motivazioni delle persone che vi lavorano. Nella scuola il capitale costituito dagli insegnanti e dai genitori è di enorme importanza, ed il miglioramento di questa organizzazione è legato in larga misura alla soddisfazione delle motivazioni che questi attori via via presentano.

1.1-  Concezione strettamente economica (taylorismo)

  • gli individui cercano solo di massimizzare i loro introiti
  •   i sentimenti e le emozioni sono escluse dal rapporto economico
  • i comportamenti naturali dell'individuo vanno contro le regole di ogni organizzazione, per cui occorre stabilire un insieme  di controlli gerarchici e fiscali
  • il rapporto fra individuo e organizzazione è basato sulla razionalità e l'economicità

1.2-  Concezione relazionale (human relations)

  • i lavoratori oltre che da motivazioni economiche sono spinti anche da bisogni di relazione con gli altri
  • i rapporti con i colleghi e superiori è importante quanto l'aspetto economico
  • il "clima" complessivo dell'organizzazione influisce sulla produttività

1.3-  Concezione umanistica (A. Maslow)

  • le motivazioni dei lavoratori si presentano secondo una scala di "urgenza" da un livello 1 (sopravvivenza) ad un livello 2 (relazioni) ad un livello 3 (autonomia e autorealizzazione)
  • perché i lavoratori siano attivi, creativi, responsabili, occorre che l'organizzazione sia progettata in modo da soddisfare almeno in parte le motivazioni del livello 3

1.4-  Bilancio psicologico del lavoro (P. Morin)

COSTI: - monotonia// -fatica// -frustrazioni da bassa retribuzione//- sottomissione alla gerarchia//- distanza  fra azione e verifica risultati//- impossibilità di carriera senza cambiare ruolo

BENEFICI:- retribuzione//- relazioni interpersonali//- stato sociale//- affermazione del sé//- sviluppo del  proprio potenziale//- esercizio del potere

2.        DIFESE E RESISTENZE

I maestri, come tutti gli altri lavoratori, non solo fanno o non fanno qualcosa "per" qualche motivazione che viene soddisfatta o meno dalla scuola; ma fanno o no qualcosa anche per difendersi "contro" qualcosa che temono. Possiamo dire che il comportamento è generato dal grado di soddisfazione di certe motivazioni, ma anche dalla esigenza di difendersi da qualche evento.

Ogni uomo in una data situazione, struttura un campo di forze all’interno e verso l’esterno, che è la risultante di un equilibrio faticosamente raggiunto. Tale equilibrio è la risposta, più o meno efficace, che il soggetto trova di fronte ad un conflitto fra due o più entità contrapposte. Tali polarità contrapposte sono state individuate con diverse denominazioni ed a diversi livelli, da numerosi autori. Possiamo, così, parlare di conflitto fra piacere e realtà (Freud); oppure fra Es e Superio (Freud), oppure ancora fra Eros e Thanatos (Freud). Qualcuno ha parlato di conflitto fra il Bambino ed il Genitore che sono in ciascuno di noi (Analisi Transazionale).K. Horney parla di conflitto fra “tendenza naturale” e “tendenza a fissare”. S. Asch evidenzia il conflitto fra il singolo e il gruppo. French parla di conflitto fra desiderio e paura. Musatti accentua il conflitto fra coscienza e realtà. Comunque si voglia intendere il conflitto, resta il fatto che ogni individuo trova una soluzione di equilibrio che gli consenta di “vivere”. In genere, dunque, le difese sono strumenti fisiologici che costituiscono il carattere e la personalità di un soggetto, e che, dunque, bisogna rispettare. Solo in casi eccezionali queste difese assumono un carattere “patologico”: nei casi in cui la loro qualità e quantità sia tale da impedire al soggetto una vita soddisfacente, sia nelle relazioni che nel lavoro.

Ogni cambiamento significativo che si richiede al soggetto (ed è significativo ogni cambiamento di ruolo) provoca quella che R. Thom ha chiamato una “catastrofe” del suo equilibrio interiore e verso l’esterno, cioè un “salto” o un mutamento. Né vale sottolineare che certi cambiamenti sembrano, visti dall’esterno, poco rilevanti: per il soggetto il cambiamento di una parte del suo sistema psichico equivale ad un cambiamento di tutto il sistema. Tale “catastrofe” provoca sentimenti di colpa (verso l’equilibrio che viene lasciato, cioè “tradito”) e di incertezza (verso il nuovo equilibrio prospettato). Due sentimenti “costosi”, dai quali ogni soggetto tende naturalmente a difendersi. Possiamo classificare le varie difese dal cambiamento in due grandi categorie. Una è quella definibile come “depressiva”: il soggetto di fronte alla prospettiva di mutare il suo equilibrio si sente inadeguato e colpevole. Il risultato apparente di questa posizione può essere un comportamento di assenza o fuga, uno o più disturbi di tipo psicosomatico, un atteggiamento passivo, dipendente o impotente.

L’altra categoria si può definire “schizoparanoidea”, e si traduce in azioni tendenti a rimuovere o negare la realtà. La posizione depressiva si traduce insomma in una negazione o punizione del “dentro”; la posizione schizoparanoide in una negazione o colpevolizzazione del “fuori”.

Tali meccanismi difensivi sono categorie nelle quali possono rientrare numerosi comportamenti e atteggiamenti quotidiani, espressi “normalmente” da individui, gruppi, organizzazioni e comunità. Essi rientrano nell’area clinica solo in rari casi nei quali, come sistemi difensivi di minacce ad un equilibrio funzionale, diventano impedimenti sostanziali ad una vita e ad un lavoro mediamente soddisfacenti.

Occorre attentamente distinguere i comportamenti e gli atteggiamenti realistici, cioè oggettivamente motivati, da quelli interpretabili come difese. Il che richiede nell’interpretante (psicologo o dirigente/coordinatore didattico che sia) una elevata capacità di analisi dei propri comportamenti o atteggiamenti difensivi. D’altra parte le difese hanno la caratteristica di non essere mai totalmente infondate razionalmente. La loro natura di difese si disocculta quando diventano un modo totalizzante di rapportarsi alla realtà. Per esempio, attribuire responsabilità delle disfunzioni scolastiche al Ministro, non è una difesa “schizoparanoide”: potrebbe esserlo la attribuzione al Ministro di tutte le responsabilità.

Esempi di difese tra le più comuni:

  • attribuire ad altri propri sentimenti (proiezione)
  • attribuire a sé sentimenti altrui (introiezione)
  • attribuire tutto il negativo all’interno di una situazione ed il positivo all’esterno (fuga nell’esterno)
  • attribuire tutto il positivo all’interno ed il negativo all’esterno (fuga nell’amore)
  • attribuire tutto il positivo al passato o al futuro (fuga nel passato o nel futuro)
  • attribuire il negativo a leggi, organizzazioni, strutture, sistemi (alibi strutturalista)
  • identificare un “falso nemico” su cui portare in permanenza tutte le nostre aggressività (falso nemico).

Le difese possono collocarsi a livello individuale, interpersonale, di gruppo, di organizzazione o di comunità.A ciascuno di questi livelli le difese assumono vesti particolari.

Una organizzazione che intende ottimizzare le proprie risorse umane può strutturarsi in modo da soddisfare le motivazioni e/o da modificare i sistemi difensivi. Va ricordato che tali difese non possono essere intaccate con azioni impositive, oltre che per motivi etici, per motivi di efficienza. Ogni difesa intaccata con mezzi repressivi, si disloca in aree non controllabili. Né è possibile attaccare le difese direttamente se non a rischio di rafforzarle. Un lavoro sulle difese può essere fatto solo offrendo le occasioni ottimali affinché i soggetti “decidano autonomamente” di abbandonarle, accettando di cambiare. Lo studio dei modi più efficaci per offrire queste occasioni riguarda le strategie di cambiamento organizzativo.

3- ORGANIZZARE IL CAMBIAMENTO NELL'ORGANIZZAZIONE

“Non è lecito definire utopistico qualcosa in cui non abbiamo ancora messo a prova tutta la nostra forza”(da Martin Buber). Per cambiamento intendiamo qui un insieme di attività progettate e realizzate intenzionalmente con lo scopo di mutare qualcosa. Tutti, se lo vogliono, possono farsi promotori di cambiamenti grandi o piccoli (personali, micro o macrosociali): ma i dirigenti/coordinatori didattici annoverano il cambiamento della scuola fra le loro principali attribuzioni e fra i loro principali doveri. Essi devono farsi pro-motori del cambiamento ogni qualvolta si accorgono  di una discrepanza fra la situazione reale e la situazione ideale. Il cambiamento è permanente nel senso di ciclico: cioè da effettuare ad intervalli, che si possono identificare con la applicazione e la conservazione del cambiamento effettuato. Nulla è più statico di un cambiamento che non sia seguito da una conservazione.

  • Modello di K. Lewin: unfreezing (disgelo), changing (cambiamento attivo e partecipato), refreezing (ricongelamento).
  • Modello Palo Alto: cambiamento 1 (all’interno del sistema); cambiamento 2 (cambiamento del sistema).
  • Modello di Blake/Mouton (adattato): per cambiare davvero un'organizzazione
    • occorre proporsi di cambiarla tutta
    • occorre la guida o il consenso attivo del dirigente/coordinatore didattico
    • occorre l’impegno personale della maggioranza, a partire da una profonda autocritica
    • occorre far uso di metodi sistematici e strategie pluriennali
    • occorre analizzare insieme tutte le sue componenti (umane, strutturali, tecniche).

A

Modello di Lawrence/Lorsch (adattato)

Obiettivi del cambiamento
 
Sistemi di cambiamento
Rapporto fra aspetti razionali ed emotivi

lievi mutamenti di comportamento

profondi mutamenti di comportamento
area operativa
erogazione
amministrazione
canali di comunicazione
orari e tempi
procedure/attrezzature
RAZIONALITA'
EMOTIVITA'
 
area metodologica
contenuti
competenze
connessioni
organizzazione
ricerca e valutazione
formazione/supervisione
 
atteggiamenti
relazioni
clima
nuovi stili direzionali
ricerca permanente
piani formativi
  
 
B                                                                                               C

TIPI DI CAMBIAMENTO E  DURATA  REALIZZAZIONE (adattamento da) Hersey/Blanchard

elevata difficoltà
Comportamento/Clima organizzativo
Atteggiamenti individuali
Comportamenti individuali
Tecniche e procedure
bassa difficoltà

tempo breve tempo lungo

 

          

 

PROCESSO DI CAMBIAMENTO
Modello Lawrence/Lorsch (adattato)


Diagnosi divario fra effettivo ed auspicabile
 
Pianificazione

 
Azione su pre-condizioni  

Attuazione
   
 
Valutazione   
 
D

 Modello socio-analitico (Elliot Jacques)

“…Le organizzazioni fungono da meccanismi difensivi contro le ansie persecutorie e depressive…”

Il cambiamento organizzativo espone a queste ansie (v.paguro) e quindi significa una rielaborazione dei meccanismi di difesa dalle stesse.

3.1- Tecnologie  di cambiamento organizzativo  (Spaltro/Pollina)

  • il piccolo gruppo come cinghia micro-macro
  • la strategia metabletica (tecniche di regolazione della velocità-Lewin; Golembievsky)
  • evocazione della seconda dimensione del conflitto
  • reimportazione del conflitto (socioanalisi)
  • analisi delle contraddizioni
  • strategie di cambiamento individuale
  • strategie tecnostrutturali
  • strategie informative (data-based)
  • sviluppo organizzativo (OD)/ ricerca- intervento (AR)
  • analisi istituzionale
  • strategie coercitive

4.CONCLUSIONI

La organizz/azione (azione organizzata intenzionale) del cambiamento richiede una serie di capacità delle quali ogni dirigente deve essere in possesso. In particolare: saper diagnosticare le situazioni (ascoltare, decodificare, interpretare); saper lavorare con le persone  (individui, piccoli e grandi gruppi); saper decidere (insieme ad altri ma anche da soli). A monte di queste capacità, tuttavia, ne occorrono altre due non meno importanti e che toccano l’atteggiamento del dirigente verso il FUTURO: saper essere creativi e saper pianificare.