Ricerca "Contro il lavoro come servitù
moderna"
|
FILIPPINE: i Batak di Palavan di Sergio Trippodo |
Il Popolo dei pigri, che forse sono solo dei furbi. I Batak non vogliono lavorare e sono perseguitati, ma ne ricavano alcuni vantaggi I Batak di Palawan non credono a nulla . Dallassenza di rituali e di luoghi dedicati al culto si potrebbe dire che sono atei, eppure hanno i loro comandamenti . Ne hanno due,in particolare: primo, non lavorare; secondo, far lavorare gli altri: Questa, in assenza, la loro unica e scomoda fede. Infatti si sa che il mondo produttivo può accettare tutto, anche lateismo e la blasfemia, ma non lozio. Comunque i Batak sono sempre stati pronti a tutto, pur di non muovere un dito. La loro odissea è iniziata secoli fa, quando abbandonarono la pacifica isola indonesiana di Sumatra per non dover sottostare alle regole imposte dagli invasori musulmani e induisti. Erano sempre stati nomadi raccoglitori e tali volevano restare: senza dio, senza casa, senza lavoro, senza leggi. Non tutti ebbero però il coraggio di opporsi alla vita sedentaria e soltanto un piccolo gruppo decise di prendere la via del mare su minuscole imbarcazioni e di puntare a est. Gli altri, i sedentarizzati , si accontentarono di costruire le abitazioni a forma di barca. La flottiglia dei ribelli non ebbe vita facile e, dati gli innumerevoli rifiuti di accoglienza da parte delle popolazioni locali, percorse migliaia di chilometri lungo le coste del Sudest asiatico prima di approdare nellisola filippina di Palawan. Lì trovò un ambiente naturale favorevole al dolce far nulla : rari abitati costieri, una fitta giungla ricca di frutta e piante commestibili, numerosi corsi dacqua. Bastava praticamente il kaingin ( il disboscamento di una ristretta zona pianeggiante e il riutilizzo dei rami tagliati per la costruzione di capanne provvisorie) e al resto pensava Madre Natura. Quando scarseggiava il cibo da raccogliere, il gruppo mollava tutto lì e si spostava in una zona più ricca. A nulla valsero i tentativi di inglobamento culturale effettuati dai Mori, i commercianti arabo-musulmani insediati nelle vicine isole di Mindanao e Sulu, dalle forze coloniali spagnole e dalle spedizioni missionarie dei gesuiti. Neppure la presenza dei giapponesi durante la Seconda guerra mondiale e, fino a poco tempo fa, quella degli americani nelle basi navali, ha intaccato la pigra cocciutaggine dei Batak. Una passione per lozio che ha avuto ragione anche della politica repressiva del regime di Marcos. Il dittatore filippino, infatti, aveva ordinato che i Batak venissero rinchiusi in una riserva ed educati al lavoro produttivo. Per dare maggiori possibilità di riuscita al progetto di " reinserimento sociale " Marcos tagliò ogni contatto tra i nomadi e il mondo degli studiosi, subordinando eventuali indagini di carattere antropologico allinsuperabile vaglio dellapposito ufficio governativo chiamato Panamin. Il risultato fu che i Batak evasero dalla riserva e tornarono liberi nella giungla. E ancora oggi non demordono, nonostante lantipatia che ispirano. CON LA BIBBIA ACCENDONO IL FUOCO . Pastor Robin, un giovane prete di Port Barton nato in zona batak, dice che il popolo dei pigri non ha rinunciato alle sue usanze. Aggrappato come una scimmia alle vivaci cromature della sobbalzante jeepney (una vecchia jeep americana ,cabinata e riadattata al trasporto di persone) racconta deluso le sue esperienze dirette: " Ormai ho perso ogni speranza. Ho portato loro alcune copie della Bibbia, ma le hanno utilizzate per accendere il fuoco. Allora ho tentato di farmeli amici regalando delle compresse di chinino, visto che qui il tasso malarico è tra i più alti del mondo e che i bambini muoiono come mosche, ma le hanno buttate via " . Infatti le coppie batak preferiscono fare un figlio lanno e tenersi quelli che sopravvivono: pochi, come vuole Madre Natura. Tra galline starnazzanti, sacchi di verdure che sobbalzano con i passeggeri ossia quasi sempre e voraci bocche di neonati che riguadagnano a ogni fermata il seno materno, si passa per Roxas e San Josè, fino a Calamay. Da qui partono i sentieri che portano nella giungla dei Batak. Prima di inoltrarsi nella fitta boscaglia, pastor Robin saluta unanziana signora che lavora nei campi. E sua madre, che domanda un po indispettita: "Dove andate? Dai pigri? Furbi quelli! Se ne vanno in giro senza far niente, mentre noi ci spacchiamo la schiena sotto il sole! ". I Palawanos, che abitano lungo la costa, non nutrono grandi simpatie per i nomadi. Il fatto è che i Batak lhanno spuntata anche con loro. Infatti, dopo la deforestazione selvaggia che ha messo in pericolo la loro sopravvivenza, i pigri hanno dovuto elaborare uno stratagemma per poter continuare a raccogliere senza lavorare. Da qualche tempo "affittano" i terreni ripuliti con il kaingin ai Palawanos, che non posseggono terra fertile per la coltivazione del riso e non hanno dimestichezza con la giungla. In cambio, ricevono una parte del raccolto. LA SOLA CALAMITA SONO I TURISTI . Da Caramay, dopo aver aperto la strada a colpi di bolo ( il macete locale ) ed essersi scrollati di dosso le sanguisughe a ogni guado, si arriva a uno spiazzo dove una vecchia capanna batak sta per essere reinghiottita dalla vegetazione. Pastor Robin è esausto, perché paradossalmente è lui a essersi beccato la malaria cronica nonostante le sue pillole di chinino , e sbuffa: " Non cambiano mai, sono come la storia delle palme. Da bambino vedi un ciuffo che spunta dalla terra. Da adulto torni sul posto e vedi una palma enorme. Ma, se ci ritorni da vecchio, la palma non cè più. Con loro non cè neppure bisogno di aspettare tanto ". Però li si trova in unaltra valletta, qualche chilometro più avanti. Sono tutti riuniti nella capanna principale, a non fare un bel niente. Il capo, che viene eletto tra i giovani e non tra gli anziani perché deve essere il più abile a trattare con i Palawanos, sfoggia una T-shirt barattata con gli abitanti della costa e invita subito a sederci assieme agli altri. La nonna veste ancora allindonesiana : a torso nudo, con un sarong solo. La stampa locale è preoccupata per loro. Il Palawan Times annuncia la creazione del Penro, lufficio per la difesa delle risorse naturali che dovrà combattere la deforestazione illegale. Il Bandillo ng Palawan teme che anche i Batak vengano colpiti dalla "sindrome del messia" come altri tribali, ovvero che si lascino incantare dal nuovo "certificato di proprietà terriera ancestrale" inventato da qualche "influente concessionario forestale" pronto a sfruttarli. Ma, a giudicare dallo sguardo furbo del capo, i pigri della zona di Calamay troveranno una soluzione anche a questo. In fondo, solamente al turismo non cè rimedio.
|