Prima Pagina Servizi di Ergopolis Strumenti per la Cittadinanza Pagine & Siti
STIMOLO Primavera 2006
Futuro del lavoro e lavoro del futuro (Ektor Georgiakis)

L'attuale dibattito pre-elettorale sul lavoro ha un carattere tragicomico. Entrambi gli schieramenti fingono di battersi per un lavoro che è in via di sparizione, senza affrontare nemmeno vagamente i veri problemi che attendono l'Italia e l'Occidente, dietro l'angolo. I disordini francesi, a difesa del lavoro giovanile, dicono che esiste un divario generalizzato a tutta l'Europa fra la cultura del lavoro ed il suo destino. Cerchiamo di spiegare il problema mediante cinque premesse e cinque scenari interconnessi.

Premessa 1 - Il lavoro scarseggia, mentre circa un milione di immigrati lavora in Italia in modo regolare e un altro milione lavora in modo irregolare (non parliamo qui di coloro che svolgono un lavoro illegale). (1)

Premessa 2 - La struttura produttiva dell'Italia è in larga misura basta sulla piccola e media impresa. (2)

Premessa 3 - Il lavoro stabile è un vantaggio per il lavoratore, ma anche per il piccolo e medio imprenditore, il quale (salvo in casi particolari) ha tutto da guadagnare da operatori continuativi e fedeli.

Premessa 4 - Il lavoro precario ha conseguenze tragiche per il lavoratore, ma è un danno anche per il piccolo e medio imprenditore. Questo ha costi maggiorati se si rivolge alle agenzie interinali; se invece fa da sè sopporta i costi di reclutamento e selezione; in ogni caso si trova a dover informare/formare in permanenza lavoratori che cambiano; e deve fronteggiare fenomeni di demotivazione, disaffezione, basso investimento.(3)

Premessa 5 - Il lavoro è anzitutto correlato allo sviluppo produttivo. Le leggi sul lavoro possono migliorare i sistemi di accesso, trattamento, uscita dal lavoro; possono far emergere il lavoro nero; possono anche agevolare l'occupazione. Tuttavia resta indiscutibile che il numero dei lavoratori può aumentare sensibilmente solo se aumentano il numero delle imprese e/o il loro fatturato, e questi crescono se l'economia è in sviluppo. L'impresa ricorre al lavoro precario quando sono precari il suo fatturato e la sua stessa esistenza.

Lo scenario macro-economico
Non occorre spendere tante parole, per ricordare che da una decina d'anni il sistema produttivo si è progressivamente informatizzato e globalizzato. La informatizzazione è stata e continua ad essere un potente riduttore di forza-lavoro. La globalizzazione ha portato ad un aumento dei profitti, allargando il mercato, ma ha favorito fortemente la crescita dell'emigrazione in Italia e della disoccupazione. Le imprese esistenti de-localizzano, le nuove imprese nascono preferibilmente in Paesi meno sviluppati, l'immigrazione cresce ogni anno. A questi fenomeni si aggiungono le crisi di molte industrie e di interi settori produttivi italiani.

Lo scenario sociologico
Lo sviluppo della società industriale e del lavoro si è basato sul concetto di progresso. In cambio di un lavoro faticoso e spesso insensato (4), l'industrialesimo prometteva un futuro pacificato, salubre, tecnologicamente benevolo, ricco di merci attrenti e di libertà per tutti. E' questa promessa che ha consentito la ricostruzione post-bellica ed il boom economico seguente. Ma è una promessa realizzata per metà e bruscamente contraddetta a partire dagli anni Novanta. Oggi lo scenario è più vicino al regresso che al progresso. Guerra e terrorismo sono un'emergenza quotidiana, i farmaci sono diventati un ausilio irrinuciabile, la tecnologia non ha reso la vita più semplice e le merci sono tornate a disposizione solo delle èlites. La libertà è vicina al grado zero. In questo scenario, per molte frange giovanili ha sempre meno senso accettare un lavoro faticoso, malsano e insensato.

Lo scenario produttivo
Sul piano della produzione si sta ridefinendo la divisione del lavoro a livello planetario. L'Italia è priva di risorse naturali e non gode di rendite imperiali. Il suo sviluppo è stato trainato dall'industria manifatturiera per i primi 30 anni del dopoguerra (utilitarie, frigoriferi e macchine da scrivere), e sulla nicchia delle manifatture d'èlite negli anni più recenti (il famoso "made in Italy"). La globalizzazione ha messo in crisi crescente la prima e si appresta a fare lo stesso con la seconda. Infatti è un'illusione che l'Italia possa salvarsi con la "genialità" e il made in Italy. Già oggi molti creativi italiani sono stipendiati dai cinesi, molti scienziati lavorano per gli Usa, e il "made in Italy è"made in Romania". Il futuro dell'Italia, sullo scacchiere planetario, non sarà manifatturiero nè tecnologico, e naturalmente non sarà estrattivo. Non sarà nemmeno agricolo, anche se possono svilupparsi le produzioni specializzate, d'alta qualità.
C'è un solo settore che può specializzare l'Italia nel mondo, e darle un ruolo produttivo futuro: quello dei beni culturali. Mentre i disegnatori di moda e di fuoriserie potranno essere "comprati" dalle nazioni economicamente emergenti d'Oriente, il Colosseo e Michelangelo sono beni intrasportabili e incedibili. Purtroppo la conversione del sistema Italia a questo ruolo, con tutte le conseguenze inevitabili, richiederà non meno di un decennio da oggi: un decennio di grandi conflitti sociali. Al centro dei quali sarà il rifiuto crescente del lavoro-merce o del lavoro precario, un aumento della disoccupazione unita alla richiesta di un salario minimo garantito.

Lo scenario occupazionale (4)
Sullo sfondo degli scenari descritti, possiamo dare solo una cosa per certa: il lavoro diminuirà costantemente, negli anni a venire, qualsiasi saranno i provvedimenti a sua difesa. E' realistica l'ipotesi di quattro livelli di risposta alla progressiva crisi del lavoro:

  1. il lavoro d'èlite: imprenditori e finanzieri, amministratori, alti burocrati, show business, tecnologi specializzati, professionisti (da 2 a 4 milioni)
  2. il lavoro-merce: operai manufatturieri e servizi , operai dell'ospitalità, manovali generici e tecnici edili, burocrazie (da 6 a 8 milioni, suddivisibili un due gruppi: garantiti e non garantiti)
  3. il lavoro di nuova emigrazione: giovani pensionati, ricercatori e tecnologi iperspecializzati, neo-imprenditori (da 1 a 2 milioni)
  4. il lavoro precario, temporaneo e sussidiato: operatori del lavoro sensato, operatori del lavoro-merce, operatori d'èlite esclusi dalle cordate clientelari e familistiche (da 8 a 13 milioni)

Non esisterà altro tipo di occupazione, per il semplice e drammatico motivo che il ruolo dell'Italia (e dell'Europa) nel mondo non consentirà alcuno sviluppo economico, per i prossimi decenni.

Lo scenario esistenziale
Il primo fattore dello scenario esistenziale è quello di un abbassamento del prodotto interno lordo e dunque dei redditi e degli stili di vita. La popolazione si dividerà in tre ceti: agiato, con reddito e stile di vita elevati; proletario, con reddito e stile di vita parsimonioso; sotto-proletario, con reddito e stile di vita precario. Quest'ultimo ceto, destinato ad allargarsi nel tempo.

Il secondo fattore è l'aumento considerevole del tempo a disposizione. L'allungamento del periodo di studio e di quello del pensionamento, i lunghi periodi di esclusione dal lavoro (fra un'occupazione precaria e l'altra), ma anche le tipologie del nuovo lavoro derivante da uno sviluppo centrato sul ruolo dell'Italia come "museo del mondo", metteranno nelle mani degli individui lunghi periodi di tempo disponibile.

Il tempo disponibile, la riduzione generalizzata del reddito, la precarizzazione alimenteranno forti conflitti sociali, dove il problema non sarà più come stabilizzare il lavoro, ma come garantire a tutti casa e cibo senza farli derivare da un reddito da lavoro. Questo produrrà forme di lavoro distribuito e a corvèe, retribuito con forme di salario minimo garantito. Il terzo fattore dello scenario esistenziale sarà la riduzione sensibile della qualità del lavoro e delle prestazioni, con la conseguente perdita di valore della formazione professionale. Un lavoro precario varrà un altro e lo stesso operatore si troverà a passare da un lavoro in pizzeria, ad un altro nel supermercato ad un terzo nell'educazione: tutti dequalificati.

Quarto ed ultimo elemento: la necessità di una nuova educazione-formazione centrata su una forte rivoluzione culturale. Vivere e lavorare nei prossimi decenni richiederà competenze, abilità e conoscenze del tutto diverse da quelle tradizionali.
Nota1 - L’Istat rende disponibile un’analisi dell’immigrazione in Italia a partire dai dati sui permessi di soggiorno, che si attestano a quota 2.320 mila unità al 1° gennaio 2005, secondo una stima effettuata dall’Istat in attesa delle necessarie ulteriori informazioni da parte del Ministero dell’Interno. Fonte ISTAT
Nota2 - Le piccole e medie imprese (PMI) rappresentano oggi più del 95% delle imprese, forniscono il 60-70% dell’occupazione, e generano una larga parte dei nuovi posti di lavoro nelle economie dei paesi dell’OCSE.
Nota3 - Il settore sociale è fra quelli col più alto tasso di precarietà del lavoro. E' anche quello costituito quasi soltanto da piccole e micro imprese. Chiunque conosca il settore sa bene che il lavoro precario in questo settore è un dramma per gli addetti, ma anche per le imprese ed i servizi che prestano. Per la natura della proprietà di queste imprese, che è quasi sempre collettiva, non è ipotizzabile che il precariato sia conseguenza di un interesse padronale.
Nota4 - Per i concetti di lavoro-merce e lavoro insensato v. Contessa G."Ideatari", Ed.Arcipelago