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Il welfare è stato ucciso dai contabili di E.Georgiakis

Prima del disastro di fine secolo e prima della catastrofe dei Trattati UE, c'era qualcosa che le nuove generazioni non conoscono: il welfare state. Inteso non solo come pensioni, ma come intervento pubblico finalizzato al benessere dei cittadini "dalla culla alla tomba". Il welfare state interpretava il benessere dei cittadini non come un fatto individuale, nè come un favore clientelare nè come un'elemosina, ma come un diritto sociale per tutti e come il principale obiettivo di ogni Stato democratico moderno. Il welfare state è stato un'invenzione del socialismo nord-europeo, che l'Italia ha adottato (con molte storture) dopo sanguinose lotte politiche, sindacali, extraparlamentari durate trent'anni (dal 1960 al 1990 circa).

Lo Stato italiano, ispirato al welfare, (direttamente o attraverso gli enti locali - Comuni, Province, Regioni)

  • ha lanciato la Scuola dell'Obbligo e le 150 ore
  • ha allargato gli accessi all'università
  • ha creato gli asili nido e le scuole materne pubbliche
  • ha chiuso gli ospedali psichiatrici
  • ha approvato il divorzio e l'aborto
  • ha lanciato i Centri di Aggregazione, gli Informagiovani e i progetti di prevenzione primaria
  • ha sperimentato il tempo pieno scolastico
  • ha moltiplicato le biblioteche di quartiere
  • ha organizzato la sanità pubblica locale con servizi sociosanitari per le donne, i tossicodipendenti, i pazienti psichiatrici
  • ha dato una forte spinta alla formazione degli insegnanti, dei presidi, degli operatori sociosanitari, degli educatori
  • ha creato case di riposo, centri per anziani, centri socio-assistenziali per disabili

Per realizzare tutto ciò, lo Stato e gli enti locali, seriamente impegnati a perseguire l'obiettivo del benessere universale, hanno dovuto formare e poi utilizzare nuovi professionisti, quasi assenti fino al secondo dopoguerra. Questi professionisti discendevano dalle scienze umane e sociali che per tutto il XX secolo hanno occupato lo scenario culturale, accademico e scientifico. La pedagogia, la sociologia, l'antropologia, le psicologie hanno dato vita a nuove figure professionali formate attraverso università o centri studi para e post-universitari, organizzate in associazioni e Ordini. Lo scopo di questo percorso era il tentativo di fare del welfare un fenomeno di qualità, produttore di risultati e dalla moralità controllata. Sono così stati impegnati nel welfare laureati in pedagogia e diplomati in educazione; laureati in psicologia e specializzati in psicoterapia, in psicoanalisi, o in altre delle tante branche della disciplina; laureati in sociologia e statistica; laureati in antropologia; diplomati in animazione socio-culturale o in biblioteconomia; formatori specializzati, per masters o corsi post-diploma o post-laurea.
Quello che lo Stato cercava e questi professionisti offrivano erano qualità, soddisfazione, etica, partecipazione e risultati. In primis veniva il benessere dei cittadini, poi venivano i controlli e i rendiconti.

Intorno agli anni Novanta è iniziato il declino del welfare. Con la caduta del muro di Berlino e la fine della guerra fredda, il turbocapitalisto ha iniziato a mettere il danaro prima delle persone. La battuta d'arresto decisiva è venuta col trasferimento all'Europa dei fondi e del potere relativi al welfare e la rinuncia della sovranità italiana sulle politiche sociali. Il famigerato Fondo Sociale Europeo (FSE) ha distribuito tutti i soldi che gli Stati hanno sottratto al welfare nazionale, ma è diventato il monopolista di controllo di tutte le attività socio-sanitarie, educative, culturali e socio-assistenziali italiane. Questo monopolio non solo ha sostituito l'impianto culturale di "qualità, soddisfazione, etica, partecipazione e risultati" con l'impostazione culturale "progettazione, programmazione, controllo, rendiconto". Le esigenze di metodo, le regole e l'etica professionali, le scelte su base qualitativa sono state azzerate, a favore delle esigenze contabili.
I professionisti del sociale, ispirati alle scienze umane e sociali, sono stati sostituiti da contabili e burocrati, che hanno preso la prima e l'ultima parola su ogni progetto di welfare; da volontari fuori controllo; da faccendieri abili solo nell' ottenere e gestire i fondi europei.

La sepoltura del welfare è poi avvenuta con la riduzione del FSE e il suo ri-orientamento verso il lavoro invece che sul benessere, e col "Patto di stabilità" che ha privato tutti gli enti locali di disponibilità per il benessere dei cittadini.

Oggi, l'elenco di voci che costituivano il welfare è dimezzato. Molti servizi sono morti, quelli che restano boccheggiano e sopravvivono grazie al lavoro nero e "volontario". I professionisti aspettano la pensione, le loro associazioni di categoria, gli Ordini, le riviste di settore sono già morti o in coma.