Franco Berardi
Bifo (fonte)
Che significa oggi autonomia?
Non soggetto ma soggettivazione
Non intendo fare una ricostruzione storica del movimento di autonomia,
ma solo cercar di comprendere la sua specificità storica
atraverso una rivisitazione di conceti come rifiuto del lavoro e
composizione di classe. I giornalisti usano la parola operaismo
per definire un movimento politico e filosofico che apparve in Italia
durante gli anni 60. A me non piace questo termine perché
riduce la complessità della realtà sociale al mero
dato di una centralità degli operai industriali nella dinamica
sociale della tarda modernità.
La centralità della classe operaia è stato un grande
mito politico del ventesimo secolo, ma il problema che ci dobbiamo
pore è quello del'autonomia delo spazio sociale dal dominio
capitalistico, e quello delle differenti composizioni culturali,
politiche, immaginarie, che il lavoro sociale elabora. Perciò
io preferisco usare l'espressione composizionismo, per definire
questo movimento di pensiero.
Quel che mi interessa enfatizzare nel'operazione filosofica del
cosiddeto operaismo italiano, è lo smontaggio della nozione
di soggeto che il marxismo ha ereditato dala tradizione hegeliana.
Al posto del soggetto storico, il pensiero composizionista cominica
a pensare in termini di soggettiv/azione.
Il concetto di classe sociale non ha una consistenza ontologica,
ma deve esere visto come un concetto vettoriale. La classe sociale
è proiezione di immaginazioni e progetti, efetto di un'intenzione
politica e di una sedimentazione di culture.
Il gruppo di pensatori che scrivevano su riviste come Classe operaia
o Potere operaio non usavano questo tipo di linguaggio, non parlavano
di investimenti sociali del desiderio, e si esprimevano in una forma
molto più leninista. Ma il gesto filosofico da loro compiuto
produse un mutamento importante nel panorama filosofico, spostando
l'atenzione dala centralità del'identità operaia ala
decentralizazione di un processo di soggettivazione. Félix
Guatari, che incontrò l'operaismo dopo il 1977 e fu conosciuto
dai pensatori del'autonomia italiana solo dopo il '77, ha sempre
insistito sul'idea che non si dovrebbe parlare di soggetto, ma piuttosto
di processo di soggettivazione.
Partendo da queste osservazioni possiamo cercar di capire cosa significa
rifiuto del lavoro.
Questa espressione non significa tanto l'ovvio fato che gli operai
non amano essere sfruttati, ma significa qualcosa di più:
cioè che la ristrutturazione capitalista, il mutamento tecnologico
e la generale trasformazione delle istituzioni sociali sono il prodotto
di una azione quotidiana di sottrazione dallo sfruttamento, di rifiuto
del'obbligo di produre plusvalore e di aumentare il valore del capitale
riducendo il valore della vita.
Come ho deto non mi piace l'espressione "operaismo" per
l'implicita riduzione a un ristreto riferimento sociale, e preferirei
usare la parola composizionismo. Il conceto di composizione sociale
o composizione di classe, largamente usato dai pensatori "operaisti"
sembra aver qualcosa a che fare piutosto con la chimica che con
la storia sociale.
Mi piace quest' idea che il luogo in cui si svolgono i processi
storici non è il solido roccioso territorio storico di origine
hegeliana, ma un ambiente chimico nel quale sessualità, malattia
e desiderio combattono e si incontrano e si mescolano e continuamente
mutano il panorama. Se usiamo il conceto di composizione possiamo
capire meglio quel che è acaduto nel'Italia degli anni 70,
e possiamo meglio capire cosa vuol dire autonomia: non la costituzione
di un soggeto, non l'identificazione degli esseri umani in una figura
sociale fissata, ma il cambiamento continuo delle relazioni sociali,
la identificazione e la disidentificazione sesuale, ed il rifiuto
del lavoro. Il rifiuto del lavoro è in effetti generato dalla
complessità degli investimenti sociali del desiderio.
In questo quadro autonomia significa che la vita sociale non dipende
solo dala regolazione disciplinare imposta dal potere economico,
ma dipende anche dagli spostamenti, scivolamenti e dissoluzioni
che sono il processo di auto-composizione della società vivente.
Lotta, ritirata, alienazione, sabotaggio, linee di fuga dal sistema
di dominio capitalista. Questo è il significato del'espressione
"rifiuto del lavoro". Rifiuto del lavoro significa molto
semplicemente: "non voglio andare al lavoro perché preferisco
dormire". Ma questa pigrizia è la fonte del'inteligenza,
della tecnologia e del progreso. Autonomia è l'autoregolazione
del corpo sociale, nella sua indipendenza e nele sue interazioni
con la norma disciplinare.
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Autonomia e deregulation
C'è un altro aspeto del'autonomia che è stato poco
approfondito finora. Il processo di autonomizzazione di lavoratori
dal loro ruolo ha provocato un teremoto sociale che ha a sua volta
scatenato la deregulation capitalistica. La parola deregulation
fa la sua comparsa sula scena ideologica alla fine degli anni Sessanta,
e interpreta uno spirito destruturante che discende dal pensiero
libertario e antiautoritario dei decenni precedenti. C'è
tuta una tradizione del de-reglement che core lungo le filiere della
cultura hippy libertaria californiana, del pensiero autonomo italiano
e del'epistemologia desiderante francese che predica l'autonomia
della dinamica sociale dal dominio statale e autoritario. Il liberismo
raccoglie la spinta di queste culture e la trasforma in fanatismo
del'economia. L'autonomia sociale ha scatenato le potenze
del sapere e del'immaginazione coletiva, ma il liberismo traduce
questa liberazione sul tereno paranoico della competitività.
La deregulation che apparve sula scena mondiale nel'epoca di Thatcher
e di Reagan si può vedere come la risposta capitalistica
al'autonomizzazione dal'ordine disciplinare del lavoro industriale.
Gli operai chiedevano libertà dala regolazione capitalista,
e poi il capitale ha fato la stesa cosa, ma in maniera rovesciata.
La libertà dala regolazione di stato è diventata in
efeti dispotismo sul tessuto sociale, sula vita quotidiana delle
persone concrete. I lavoratori chiedevano libertà dala prigione
del lavoro a vita della
fabbrica industriale, e la deregulation rispose atraverso la flessibilizzazione
del lavoro e la fratalizzazione del lavoro.
Il movimento di autonomia negli anni 70 mise in moto un proceso
pericoloso, ma indispensabile. Un proceso che si sviluppò
dal rifiuto sociale del dominio capitalista ala vendeta capitalista
che prese forma di deregulation, libertà del'impresa da ogni
controlo statale, distruzione delle protezioni sociali, riduzione
ed esternalizzazione della produzione, taglio della spesa sociale,
detassazione, e, finalmente, flessibilizzazione. Il movimento di
autonomia mise in moto efetivamente la destabilizzazione del contesto
sociale uscito da un secolo di pressioni sindacali e di regolazione
statale. Commettemmo noi forse un terribile errore? Dovremmo pentirci
delle azioni di disenso e di sabotaggio, di autonomia, di rifiuto
del lavoro che sembrano aver provocato la deregulation capitalista?
Assolutamente no.
Il movimento di autonomia effettivamente anticipò la tendenza,
ma il fenomeno della deregulation era iscritto nelle linee di sviluppo
del capitalismo postindustriale, ed era naturalmente implicito nella
ristrutturazione tecnologica della globalizzazione produtiva.
C'è una stretta relazione tra rifiuto del lavoro informatizzazione
delle fabbriche, riduzione degli organici ed esternalizzazione delle
commesse, e flessibilizzazione del ciclo complessivo del lavoro.
Ma questa relazione è molto più complesa di quel che
può essere una catena di cause e di efetti. Il processo di
deregulation era iscrito nelo sviluppo delle nuove tecnologie che
permetevano alle corporation capitaliste di lanciare il proceso
di globalizazione. Un processo simile è acaduto anche nel
campo dei media, nelo stesso periodo.
Pensate ale radio libere italiane negli anni 70. In quegli anni
in Italia c'era un monopolio statale della telecomunicazione, e
l'emitenza privata era proibita. La sinistra politica, particolarmente
il PCI denunciava i mediativisti di Radio Alice perché li
acusava di rompere il sistema pubblico di comunicazione e di aprire
così la strada ai media privati. Dovremmo pensare che avesse
ragione la sinistra statalista che si opponeva ala proliferazione
comunicativa in nome della difesa del sistema pubblico? Non credo
proprio. Penso che la sinistra tradizionale si sia sbagliata per
varie ragioni. Prima di ttuto perché la fine del monopolio
di stato era iscritto nelle evoluzioni delle tecnologie di comunicazione,
in secondo luogo perché la libertà di espressione
è meglio che la centralizzazione statale dei media. In quel
momento la sinistra rappresentava una forza di conservazione statalista,
in Italia come nei paesi del'est europeo. Essa rappresentava una
cornice culturale che non poteva sopravvivere nella transizione
postindustriale. La stessa cosa potremmo dire a proposito della
fine del'impero sovietico.
Sappiamo che oggi la popolazione russa sta peggio di come stava
venti anni fa, e la cosiddetta democratizzazione della società
russa ha portato sopratutto distruzione delle protezioni, scatenamento
di un incubo di competizione aggressiva, violenza, coruzione e msieria
esistenziale.
Ma la dissoluzione del regime socialista era inevitabile, perché
quel'ordine bloccava la dinamica del desiderio sociale, e perché
impediva la innovazione culturale. La dissoluzione dei regimi comunisti
era iscrita nella composizione sociale del'inteligenza coletiva,
nel'immaginario creato dai nuovi media globali, e negli investimenti
coletivi di desiderio. Ecco perché l'inteletualità
democratica, e le forze culturali disidenti presero parte ala lota
contro il regime socialista, anche se speso sapevano che il capitalismo
non sarebbe stato un paradiso. Ora la deregulation sta devastando
quela che un tempo era
la società sovietica, e si sperimenta lo sfrutamento e la
miseria e l'umiliazione a un punto forse mai raggiunto, ma questa
transizione era inevitabile e in un certo senso è stato un
mutamento progressivo.
Deregulation non significa solo emancipazione del'impresa privata
dala regolazione di stato e riduzione della spesa pubblica e delle
protezioni sociali. Significa anche flesibilizazione del lavoro.
La realtà della flessibilità del lavoro è l'altra
facia di questo tipo di emancipazione dala disciplina capitalista.
Non dovremmo sotovalutare il colegamento tra il rifiuto del lavoro
e la flessiblizzazione che lo ha seguito.
Una delle idee forti del movimento di autonomia era "precario
è belo". La precarietà del lavoro è una
forma di autonomia dal lavoro regolare che dura per tuta la vita.
Negli anni '70 era comune lavorare per qualche mese, poi licenziarsi
per andare a farsi un viaggio, tornare e riprendere il lavoro per
pochi mesi e così via. In condizioni di quasi pieno impiego
ed in presenza di una difusa cultura egualitaria, non competitiva,
non consumista, uno stile di vita di questo genere è possibile,
e fa bene alo spirito e al
corpo. L'ofensiva neoliberista degli anni otanta puntava a rovesciare
il rapporto di forza.
Deregulation e flesibilizazione del lavoro sono stati l'efeto ed
il rovescio del'autonomia operaia.
Dobbiamo capirlo non solo per ragioni storiche. Se vogliamo capire
cosa dobbiamo fare oggi, nel'epoca della piena flessibilità
del lavoro umano che però è anche fase della crisi
del neoliberismo, dobbiamo capire come poté verificarsi la
ocupazione del campo del desiderio sociale in quel pasaggio dagli
anni setanta agli anni otanta da parte di un immaginario economicista
e competitivo.
Negli ultimi decenni l'informatizzazione del machinario ha giocato
un ruolo cruciale nella flessibilizzazione del lavoro insieme ala
inteletualizzazione e immaterializzazione dei principali cicli di
produzione.
L'introduzione delle nuove tecnologie eletroniche e l'informatizzazione
del ciclo produtivo ha aperto la strada ala creazione di una rete
globale di infoproduzione, deteritorializzata, delocalizata e spersonalizzata.
Soggetto del proceso lavorativo sociale è divenuto sempre
più la rete globale di info-produzione, e il tessuto umano
delle persone che lo compongono si è frammentato fino a dissolversi.
Non ci sono più esseri umani che lavorano, ma frammenti temporali
assoggetati al processo di valorizzazione, atomi di tempo ricombinati
nel ciclo produttivo globale. I lavoratori industriali avevano rifiutato
il loro ruolo nella fabbrica, e in questo modo avevano guadagnato
libertà e autonomia dal dominio capitalista, dal controlo
sul loro tempo di vita. Ma questa situazione ha condoto i capitalisti
a investire in tecnologie che risparmiano lavoro, ed a cambiare
la composizione tecnica del processo lavorativo, per poter espellere
gli operai industriali e le loro forme di organizzazione autonoma,
per poter creare una nuova organizzazione del lavoro che potesse
essere più flessibile.
autonomia.
Ascesa e caduta del'alleanza di
lavoro cognitivo e capitale ricombinante
Intelletualizzazione e immaterializzazione del lavoro sono una faccia
del mutamento delle forme di produzione sociale. L'altra faccia
è la globalizazione planetaria. Immaterialità e globalizzazione
sono due facce complementari. La globalizzazione è un processo
che implica aspetti di pesante materialità, perché
il lavoro industriale non sparisce nel'epoca postindustriale, ma
emigra verso le zone geografiche in cui è possibile pagare
bassi salari, e in cui la legislazione non protegge il lavoro e
favorisce la libera impresa anche a scapito del'ambiente e della
società. La prospetiva del'estensione planetaria del processo
di produzione industriale era stato previsto da Mario Tronti in
un articolo uscito nel'ultimo numero della rivista Classe operaia,
nel 1967. Tronti aveva scrito: il fenomeno più importante
dei prossimi decenni fino ala fine del secolo ventesimo sarà
lo sviluppo della classe operaia su scala planetaria globale. Questa
intuizione non era fondata sul'analisi del processo di produzione
capitalistico, ma era basato sulla comprensione delle trasformazioni
nella composizione del lavoro. La globalizzazione e l'informatizzazione
potevano essere previsti come un efetto del rifiuto del lavoro nei
paesi industriali del'occidente.
Durante gli ultimi due decenni del ventesimo secolo abbiamo assistito
a una sorta di alleanza tra il capitale ricombinante e il lavoro
cognitivo. Chiamo ricombinante il capitale che non è strettamente
conneso a una particolare applicazione industriale, ma è
rapidamente trasferibile da un posto al'altro, da un'applicazione
industriale al'altra, da un setore di atività economica a
un altro. Si può definire ricombinante il capitale finanziario
che prende un ruolo centrale nella politica e nella cultura degli
anni 90. L'aleanza di lavoro cognitivo e capitale finanziario
ha prodoto efeti culturali importanti, come la identificazione ideologica
del lavoro e del'impresa. I lavoratori sono stati spinti a vedersi
come auto-imprenditori, e in questa visione c'è una parte
di verità, nel periodo di fioritura delle dotcom, quando
il lavoratore cognitivo poteva creare la sua impresa investendo
la sua forza inteletuale (un'idea, un progetto, una formula) come
un bene valutabile in termini finanziari.
Era il periodo che Geert Lovink, nel suo importante libro "Dark
Fiber" ha definito dotcommania. Cosa è stata la dotcommania?
La partecipazione di massa al ciclo del'investimento finanziario
negli anni '90 mise in moto un proceso di auto-organizazione dei
produtori cognitivi. I lavoratori cognitivi investivano la loro
esperienza, sapere e creatività, e trovarono nel mercato
azionario i mezzi per creare imprese. Per parecchi la forma impresa
divenne il punto in cui si incontrarono il capitale finanziario
e il lavoro cognitivo ad alto potenziale produtivo.
L'ideologia libertaria e liberale che dominava la cibercultura (soprattuto
americana) negli anni 90 idealizzava il mercato presentandolo come
un ambiente puro. In questo ambiente, naturale come la lotta per
la sopravvivenza del più forte che rende possibile l'evoluzione,
il lavoro trova i mezzi necesari per valorizzarsi e per divenire
impresa. Una volta lasciato ala sua dinamica, il sistema economico
di rete era destinato a ottimizzare i profiti economici per tuti,
proprietari e lavoratori, anche perché la distinzione tra
proprietari e lavoratori diveniva sempre più impercetibile
quando si entra nel circuito produtivo virtuale.
Questo modelo, teorizato da autori come Kevin Kely e trasformato
dala rivista Wired in una sorta di Weltanschauung digital-liberista,
arogante e trionfalista, ha fato bancarota al'inizio del nuovo milennio,
insieme ala new economy e insieme a una larga parte del'esercito
di imprenditori cognitivi che avevano abitato il mondo delle dotcom.
La ragione della bancarota sta nel fato che il modelo di un mercato
perfettamente libero è una menzogna teorica e pratica. Quel
che il neoliberismo ha rafforzato nel lungo periodo non è
il libero mercato, ma il monopolio.
nella seconda metà degli anni '90 si è sviluppata
una vera e propria lota di classe al'interno del circuito produttivo
delle alte tecnologie. Il divenire della rete è stato segnato
da questa lota, di cui oggi non è chiaro l'esito. Certamente
l'ideologia di un mercato libero e naturale si è rivelata
un inganno. L'idea che il mercato funzioni come un ambiente puro
di confronto tra idee progeti, qualità e utilità dei
servizi è stata spazzata via dal'amara verità della
guera che i monopoli hanno condoto contro la moltitudine dei lavoratori
auto-imprenditori e contro la patetica masa dei micro-traders. La
lotta per la sopravvivenza non è stata vinta dal migliore
e dal più fortunato, ma da quello che ha tirato fuori il
cannone: il cannone della violenza, della rapina, del furto sistematico,
della violazione di ogni norma etica e legale. L'aleanza Bush
Gates ha sanzionato la liquidazione del mercato, e a quel punto
la fase della lotta interna della classe virtuale è finita.
Una parte della clase virtuale è entrata nel complesso militar-industriale,
un'altra parte (la larga maggioranza) è stata espulsa dal'impresa
e spinta ai margini di una esplicita proletarizzazione. Sul piano
culturale stanno emergendo le condizioni per la formazione di una
coscienza sociale del cognitariato e questo potrebbe essere il fenomeno
più importante degli anni a venire, la sola chiave che possa
ofrire soluzioni al disastro.
Le dotcom sono state il laboratorio di sperimentazione di un modelo
produtivo e di un mercato. Ala fine il mercato è stato conquistato
e soffocato dale corporation monopolistiche, e l'esercito degli
auto-imprenditori e dei microcapitalisti di ventura è stato
rapinato e dissolto. Così una nuova fase è cominciata:
i gruppi che sono divenuti predominanti nel ciclo della net-economy
forgiano un'alleanza con il gruppo dominante della old-economy (il
clan mafioso di Bush o di Berlusconi, l'industria militare o
quela del petrolio ec.), e in questa fase si manifesta un blocco
del processo di globalizzazione produtiva. Il neoliberismo ha prodoto
la sua negazione e coloro che erano i suoi più entusiasti
sostenitori sono diventate le vitime marginalizzate.
Con il dotcom-crash il lavoro cognitivo si è separato dal
capitale. Gli artigiani digitali, coloro che negli anni novanta
si sono sentiti imprenditori del proprio lavoro, si accorgeranno
poco ala volta di esere stati raggirati, derubati, espropriati,
e questo creerà le condizioni di una coscienza di tipo nuovo
dei lavoratori cognitivi. Questi si renderanno conto che pur possedendo
tuta la potenza produtiva, sono stati espropriati dei suoi fruti
da una minoranza di speculatori ignoranti ma abili a maneggiare
gli aspeti
legali e finanziari del proceso produtivo. Il ceto improdutivo della
clase virtuale, gli avvocati e i ragionieri, si appropriano del
plusvalore cognitivo prodoto dai fisici dagli informatici, dai chimici
dagli scritori e dai mediaoperatori. Ma questi posono separarsi
dal castelo giuridico e finanziario del semiocapitalismo, e costruire
un rapporto direto con la società, con gli utenti: E alora
inizierà forse il processo di autorganizzazione autonoma
del lavoro cognitivo. Un processo che del resto è già
in ato come dimostrano le esperienze del mediativismo, e la creazione
di reti di solidarietà per il lavoro
migrante.
Era per noi necessario atraversare il purgatorio delle dotcom, l'ilusione
di una fusione tra lavoro e impresa capitalista, e anche l'inferno
della recesione e della guera infinita, per poter veder emergere
in problema in termini chiari. Su un piano il sistema inutile e
ossessivo del'acumulazione finanziaria e la folia della privatizzazione
della conoscenza pubblica, l'eredità della vecchia economia
industriale.
Dal'altra parte il lavoro produtivo sempre più iscrito nele
funzioni cognitive della società. Il lavoro cognitivo comincia
a vedersi come cognitariato, e comincia a costruire istituzioni
di conoscenza, di creazione, di cura, di invenzione e di educazione
che sono autonome dal capitale.
Frattalizazione psicopatia suicidio
nella net-economy la flessibilità si è evoluta in
una forma di frattalizzazione del lavoro. Frattalizzazione significa
frammentazione del tempo di attività. Il lavoratore non esiste
più come persona. E' soltanto un produtore intercambiabile
di micro-frammenti di semiosi ricombinante che entra nel flusso
continuo della rete. Il capitale non paga più la disponibilità
del lavoratore ad essere sfrutato per un lungo periodo di tempo,
non paga più un salario che copra l'intero campo dei bisogni
economici di una persona che lavora.
Il lavoratore (macchina che posiede un cervelo che può essere
usato per frammenti di tempo) viene pagato per la sua prestazione
puntuale, occasionale, temporanea. Il tempo di lavoro è frattalizzato
e celularizzato. Le celule di tempo sono in vendita sula rete, e
le aziende possono comprarne tanto quanto ne vogliono senza impegnarsi
in nessun modo nella protezione sociale del lavoratore. Il lavoro
cognitivo è un oceano di microscopici frammenti di tempo,
e la celularizazione è la capacità di ricombinare
frammenti di tempo nella cornice di un singolo semio-prodoto. Il
telefono cellulare può essere visto come la catena di montaggio
del lavoro cognitivo.
Questo è l'efetto della flesiblizzazione e della fratalizzazione
del lavoro: quel che era autonomia e potere politico del lavoro
è divenuto totale dipendenza del lavoro cognitivo dal'organizazione
capitalistica della rete globale. Questo è il nucleo centrale
della creazione del semiocapitalismo. Quel che era rifiuto del lavoro
è divenuto dipendenza completa delle emozioni e del pensiero
dal flusso di informazione. E l'efeto di questo è una specie
di crolo nervoso che colpisce la mente globale e provoca quel che
abbiamo preso l'abitudine di chiamare dotcomcrash. La crisi del
capitalismo di masa finanziario si può vedere come un efetto
del colasso del'investimento economico del desiderio sociale. Uso
la parola collasso in un senso che non è metaforico ma piutosto
una descrizione clinica di quel che sta accadendo nella mente occidentale.
La parola collasso esprime un crolo patologico vero e proprio del'organismo
psico-sociale. Quel che abbiamo visto nel periodo seguito ai primi
segni di crollo economico, nei primi mesi del nuovo secolo è
un fenomeno psicopatico, è il colasso della mente globale.
Vedo la depressione economica attuale come un efetto colaterale
di una depressione psichica. L'intenso e prolungato investimento
lavorativo del desiderio e delle energie mentali e libidinali ha
prodotto l'ambiente psichico ideale per un colasso che ora si sta
manifestando nel campo del'economia con la recessione e il crolo
della domanda, nel campo politico in forma di aggressività
militare, e nel campo culturale nella forma di una tendenza suicidaria
di massa.
L'economia del'attenzione è divenuta un soggetto importante
negli ultimi anni. I lavoratori virtuali hanno sempre meno tempo
di atenzione disponibile, perché sono coinvolti in un numero
crescente di compiti mentali che occupano ogni spazio del loro tempo
di atenzione, e non hanno più il tempo da dedicare alla loro
vita, al'amore, ala tenerezza, al'afeto. Prendono Viagra perché
non hanno il tempo per i preliminari del sesso. La celularizzazione
ha portato una specie di occupazione permanente del tempo di vita.
L'efetto è una psicopatologizzazione della relazione sociale.
I sintomi sono evidenti: milioni di scatole di psicofarmaci si vendono
nele farmacie, l'epidemia di disturbi del'atenzione si difonde tra
i bambini e gli adolescenti, la difusione di farmaci come il Ritalin
nele scuole diviene normale, e un'epidemia di panico sembra difondersi.
Lo scenario dei primi anni del nuovo milennio sembra dominato da
una vera e propria ondata di comportamento psicopatico. Il fenomeno
suicidario si difonde molto al di là dei confini del fanatismo
islamico. Dal'11 setembre 2001 il suicidio è divenuto l'ato
politico cruciale sula scena politica globale. Il suicidio aggresivo
non deve esere visto solo come un fenomeno di disperazione e di
aggresione, ma va visto come una dichiarazione della fine. L'onda
suicidaria sembra suggerire che il genere umano è fuori tempo
massimo, e la disperazione è divenuta il modo prevalente
di pensiero sul futuro.
E alora? Non ho risposte da dare. Quel che possiamo fare è
solo quello che stiamo effettivamente già facendo: L'autorganizzazione
del lavoro cognitivo è la sola via per andare oltre il presente
psicopatico.
Non credo che il mondo possa esere governato dala ragione. L'utopia
del'Illuminismo è fallita. Ma penso che la disseminazione
di conoscenza autorganizzata psosa creare la cornice sociale di
un numero infinito di mondi autonomi. Il proceso di creazione della
rete è così compleso che non può essere governato
dala ragione umana. La mente globale è troppo complesa per
esere conosciuta e padroneggiata da menti localizzate subtotali.
Non posiamo conoscere, non possiamo controlare, non posiamo governare
l'intera forza della mente globale.
Ma possiamo governare il processo singolare di produzione di un
mondo singolare di socialità. Questo è oggi
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