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PULIZIA ETNICA O LAVORO SOCIALE?

Il Lavoro Sociale sta vivendo una fase di regressione insensata e drammatica.

Difficile dire se in maniera consapevole o meno, ma il lavoro di migliaia di operatori sociali che si radicava in obiettivi quali la progettualità condivisa, il cambiamento partecipato, la modificazione collettiva di percezioni e atteggiamenti, si è trasformato, nel migliore dei casi, in azioni decorative e di arredo urbano oppure, nel peggiore dei casi, in vere e proprie operazioni di "pulizia etnica" mascherate da assistenza umanitaria.

Ci sono voluti decenni perché il mondo degli operatori sociali riconoscesse due principi, semplici da apprendere ma complessi da interiorizzare, da condividere e mettere alla base del proprio operare: il riconoscimento dell'ALTRO come portatore di DIVERSITA' e la necessità di lavorare a partire da questo riconoscimento per generare cambiamenti (in lui, l'utente, in sé stesso, l'operatore, nel contesto di appartenenza, gruppo, comunità, organizzazione).

E c'è voluto altrettanto tempo perché il lavoro sociale diventasse professione retribuita, convincendo le amministrazioni pubbliche, le comunità dei cittadini, le organizzazioni, che pagare qualcuno (l'Operatore Sociale, appunto) perché esperto della relazione con la diversità non fosse un lusso ma una necessità. Con la conseguente risultante significativa che la diversità, nelle sue diverse forme di espressione (psicologiche, fisiche, etniche, etc.)  potesse essere elemento da conoscere, riconoscere, valorizzare come motore di cambiamento e non semplicemente come oggetto disturbante da essere tollerato, compatito, oppure controllato e represso, come voleva in passato la logica conservativa della maggioranza "normale".

E' stata quella la stagione della società APERTA, frutto dell'espansione del campo delle cittadinanze, capace di portare anche lo Stato (come sempre da ultimo!) a stabilire normative che accoglievano e facevano dell'INCLUSIVITA' un patrimonio collettivo, culturale e di pratica quotidiana. Era il tempo dunque in cui il Lavoro Sociale poteva finalmente dirsi tale: non più volontaristica azione di pochi, ma finalmente professione che, a fianco della prassi, era costruttrice  di una cultura di gruppi, comunità, organizzazioni risultanti dell'incontro (talvolta conflittuale, ma proprio per questo possibile e opportuno) delle DIVERSITA'.

Chissà se oggi sono ancora queste le istanze e i sogni di chi (Dirigente di un'emerita organizzazione impegnata nel sociale) in una provincia dell'opulento, ma di centro-sinistra, nord est, nell’illustrare i risultati di due anni di lavoro con i ROM, dichiara che:  "… bisogna che tutti si convincano che bisogna assolutamente investire nel sociale, perché altro non è che l’altra faccia dell’investire nella sicurezza". Le due S iniziali (Sociale e Sicurezza) messe una a fianco l'altra hanno un grafo e un suono sinistro: SS. Se poi viene aggiunto dal Dirigente di uno degli istituti di ispirazione cattolica più famosi e accreditati del nostro Bel Paese, che "… c’era un patto preciso (con l'Amministrazione Committente, ndr): niente minori ai semafori e campo tenuto bene" l'ipotesi che ci aveva preso di aver letto/capito male crolla e apre scenari inquietanti.

Il Lavoro Sociale che è stato svolto altro non è che funzionale/complementare alle incursioni delle Forze dell'Ordine ai semafori e nella zona pedonal/commercial/cittadina, attuate a furor di popolo per ricondurre ad ordine l'habitat urbano. Negando la possibilità a chi è Diverso per colore della pelle, modo di vestirsi, vivere, pensare il futuro proprio e dei figli, di aver una voce che dica qualcosa anche sul nostro modo di farlo. Infatti, dice ancora il Dirigente, il successo di due anni di lavoro "cosiddetto sociale" sta nell'aver mandato a scuola bimbi e bimbe e aiutato adulti ad iniziare un lavoro regolare, tanto che potranno presto uscire con le loro famiglie dal progetto, perché autonomi! Ovviamente non nel senso di darsi una propria regola di vita, ma di adeguare perfettamente la propria tradizione e i propri costumi alle regole dell'opulenza occidentale.

Non una parola sui risultati di contesto! Quanto è cambiato il nostro modo di pensare la diversità ROM? Quanto sono mutati i pregiudizi della cittadinanza nei confronti di tale popolo? Quanto i diritti di vivere in altro modo, sono stati ascoltati, riconosciuti, fatti oggetto di riflessione, nella loro e nella nostra comunità? Ma il mandato (dell'Amministrazione, ostaggio della stragrande maggioranza dei cittadini) era chiaro: togliamoli dalla strada, spostiamo altrove il loro campo, includiamoli nella scuola, forziamoli al lavoro, così la città riavrà la sua quiete e il suo gradevole odore di provincia.

Chi ha fatto questo Lavoro Sociale ha chiesto ragione all'Amministrazione dei principi che hanno ispirato il mandato (e il relativo esborso economico)? Se NO, ha fatto male, e l'aver accettato è   già questo un peccato mortale; ma se ha accettato l'incarico e quelle motivazioni, non ha fatto nulla di diverso di quanto un buon Servizio di Vigilantes fa in una situazione di pulizia etnica: identificare, recludere, far sparire, negando identità e libertà. Ne è testimonianza l'intenzione, a due anni dall'inizio del lavoro, espressa dall'Amministrazione Comunale per l'immediato futuro: un nuovo campo per i ROM che prevede una recinzione di filo spinato.

Ecco, la tragica nuova frontiera del Lavoro Sociale: srotolare ferri appuntiti intorno a bimbi e donne dalle pelle scura e dagli occhi sbarrati!

Acarus, 1 settembre 2004