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Thomas Nagel
UNA BREVISSIMA INTRODUZIONE ALLA FILOSOFIA 
Rescogitans Philosophical Library
 
© Thomas Nagel, 1987 © Il Saggiatore, Milano 1989, 1996
Titolo originale: What Does It All Mean? A very short Introduction to Philosophy
Traduzione di Antonella Besussi 

Prefazione
Introduzione
Come conosciamo qualcosa?
Altre menti
Il problema mente-corpo
Il significato delle parole
Libero arbitrio
Giusto e sbagliato
Giustizia
Morte

Il significato della vita

Prefazione

La filosofia sembra consistere in una catena di domande e tentativi di risposte ricorrenti nel tempo. Domande e risposte sono di un tipo particolare e relativamente facile da riconoscere. Esse riguardano più o meno che cosa possiamo sapere, che cosa dobbiamo fare e che cosa possiamo sperare. Come ha scritto Michael Dummett: "Ciò che ha dato alla filosofia la sua unità storica, ciò che l'ha caratterizzata come un'unica disciplina attraverso i secoli, è la gamma di questioni che i filosofi hanno tentato di risolvere: ci sono state relativamente poche variazioni su che cosa si riconosca come un problema filosofico. Ciò che ha invece subito rivolgimenti incredibili è il modo in cui i filosofi hanno in generale caratterizzato l'ambito dei problemi che hanno tentato di risolvere e il tipo di ragionamento che hanno ammesso in risposta a tali problemi". (1)

Alcuni ritengono che l'attività filosofica, nella varietà dei suoi stili nello spazio e nel tempo, consista più precisamente nella soluzione di una gamma sufficientemente stabile di problemi filosofici. Le soluzioni, a loro volta, possono consistere in spiegazioni o dimostrazioni; in ogni caso, si ottengono grazie a argomenti o ragionamenti che si pretendono irresistibili e comunque migliori di tutti gli altri alternativi, disponibili al momento.

Altri filosofi sono convinti che la filosofia non sia essenzialmente in grado di risolvere la gamma dei suoi inevitabili problemi, almeno nel modo in cui riteniamo correntemente che la matematica o la biologia sono in grado di fornire soluzioni ai loro problemi. In questa prospettiva, la filosofia può al massimo gettar luce sulla natura dei nostri problemi e dei nostri dilemmi. È impossibile dimostrare che per ciascun problema esaminato esiste un'unica soluzione giusta: per questo, come sostiene Robert Nozick, la filosofia cerca piuttosto di esplorare possibilità di soluzioni alternative soppesando i pro e i contro di ciascuna con lo scopo essenziale e non fatuo di accrescere la nostra comprensione del problema e di darci strumenti per continuare a riflettere su di esso.(2) In ogni caso, molte delle domande filosofiche – e forse le più importanti – sono destinate tanto a rimanere senza una risposta conclusiva quanto a ripresentarsi sistematicamente. Una tesi filosofica è che ciò sia un fatto desiderabile.

"La filosofia è diversa dalla scienza e dalla matematica. Diversamente dalla scienza non fa assegnamento sugli esperimenti o l'osservazione, ma solo sul pensiero. E diversamente dalla matematica non ha un metodo formale di dimostrazione. La si fa solo ponendo questioni, argomentando, elaborando idee e pensando a argomenti possibili per confutarle, e chiedendosi come davvero funzionano i nostri concetti": così Thomas Nagel, nelle pagine di apertura a questa "brevissima" introduzione alla filosofia.

Nagel ha chiarito a più riprese in Questioni mortali e, in modo sistematico, in Uno sguardo da nessun luogo la sua interpretazione favorita della natura dei genuini problemi filosofici.(3) L'idea è più o meno la seguente: i problemi filosofici sono quei particolari problemi generati dalla tensione o dalla collisione fra le pretese di un punto di vista impersonale e oggettivo, esterno, che noi possiamo adottare su noi e sul mondo e quelle di un punto di vista personale e soggettivo, interno, che noi (sempre noi) possiamo al tempo stesso adottare su noi e sul mondo. È perché siamo esseri privi di una prospettiva naturalmente unificata che riconosciamo come effettivi problemi i problemi filosofici.

Si potrebbe sostenere che gli esseri umani sono essenzialmente animali filosofici: animali per i quali hanno significato i problemi filosofici. Questo darebbe un senso lievemente meno assurdo alla serietà con cui i filosofi si sono impegnati e si impegnano nel tempo a risolvere razionalmente enigmi per i quali sanno in anticipo di non poter aspirare a una soluzione irresistibile e conclusiva. Nonostante l'autocompiacimento intellettuale della professione, la filosofia non è di per sé importante: essa riceve la sua importanza (se è il caso) da quanto si assume i problemi intorno a cui si affanna siano importanti per esseri del tipo quali noi siamo, con tutta la nostra cultura e la nostra biologia. Come ha osservato Bernard Williams a proposito della moralità e dei suoi problemi, un tratto particolarmente importante di tali problemi è l'importanza che noi attribuiamo loro, alla fin fine.(4) Credo sia necessaria una certa dose di umiltà e di sobria consapevolezza dei limiti della filosofia come attività intellettuale: essa è un tentativo al tempo stesso eroico e goffo e comunque intrinsecamente inadeguato di prendere sul serio la sfida della migliore comprensione possibile di ciò che fa problema per noi, ciò che tocca le ragioni che abbiamo per credere e per agire.

Imponenti tradizioni filosofiche hanno finito per ritenere più importante il lessico solenne (e spesso oscuro) della filosofia dei problemi di cui esso tratta. Altre tradizioni hanno finito per subire il fascino indiscreto e rassicurante del metodo, ritenendolo analogamente più importante dei problemi cui si applica. Nel primo caso, in cui non è difficile riconoscere una silhouette di maniera della tradizione continentale, la filosofia è lo stile (retorico); nel secondo, più vicino a una silhouette, altrettanto di maniera, di un lungo tratto della tradizione analitica, la filosofia è il metodo (logico). In entrambi i casi, i problemi e le domande per cui ha senso l'attività filosofica sembrano destinate a passare in secondo piano. La filosofia come stile trasforma problemi e domande nelle loro controparti in un mondo espressivo e metaforico (molto metaforico). La filosofia come metodo è meno ospitale; ma, sfortunatamente, essa finisce per escludere problemi importanti perché relativamente intrattabili (alla luce dei criteri disponibili e accettati). Sembra di poter dire che negli ultimi anni i filosofi hanno cominciato a avvertire il particolare disagio di un destino oscillante fra la profondità oscura e la chiarezza futile. Più precisamente, ritengo che questo sia un merito da ascrivere alla più recente filosofia analitica che si usa chiamare post-empiristica.

Thomas Nagel è uno dei protagonisti più acuti e sensibili di questo slittamento nell'ambito della filosofia analitica. Nella Introduzione a Uno sguardo da nessun luogo, egli ha sostenuto che uno dei compiti più difficili per la filosofia è quello di esprimere nel linguaggio problemi informi, ma intuitivamente percepiti, senza perderne il senso.(5) (Ciò conferma quanto, per altre ragioni più sistematiche, ha asserito Dummett: che i filosofi sono costretti a forzare il linguaggio fino al limite di rottura.) (6) La filosofia, concludeva Nagel, è "l'infanzia dell'intelletto, e una cultura che cerchi di farne a meno non crescerà mai". (7)

Una brevissima introduzione alla filosofia prende le mosse da questa convinzione. L'idea che la filosofia sia l'infanzia o, come preferirei dire, l'adolescenza dell'intelletto non è (solo) una metafora. "Le nostre capacità analitiche sono spesso altamente sviluppate prima che abbiamo imparato gran che sul mondo, e intorno ai quattordici anni di età le persone cominciano a pensare per conto loro ai problemi filosofici – su quello che esiste davvero, se possiamo conoscere qualcosa, se qualcosa è veramente giusto o sbagliato, se la vita ha qualche significato, se la morte è la fine. Si è scritto per centinaia di anni su questi problemi, ma il materiale filosofico grezzo viene direttamente dal mondo, e dalla nostra relazione con esso, non dagli scritti del passato. Ecco perché quei problemi si ripresentano continuamente nella testa della gente che non ha letto nulla in proposito." Questo libro di Nagel è destinato prevalentemente a chi ha o riconosce immediatamente come problemi quel tipo di problemi ricorrenti su cui si è arrovellata nel tempo la comunità dei filosofi. Tra questi numerosi problemi, Nagel ne ha selezionati nove: come conosciamo qualcosa, il problema delle altre menti, il problema mente-corpo, la natura del linguaggio, il libero arbitrio, il fondamento della moralità, l'idea di giustizia sociale, la natura della morte, il significato della vita. In nove concisi capitoli, il lettore esperto riconosce, sia nella composizione della lista dei problemi sia nelle principali tesi filosofiche, esposte con esemplare chiarezza, le questioni canoniche dello scetticismo, del solipsismo, del relativismo e del determinismo, del fisicalismo, ecc. La lista dei problemi rivela quella tendenza post-empiristica, cui ho accennato e conferma la tesi sulle ragioni dell'importanza non intrinseca della filosofia.

Una brevissima introduzione alla filosofia è, da questo punto di vista, una lettura molto attraente per i filosofi o gli studiosi di filosofia; ma essa offre, al tempo stesso, un percorso intellettuale accessibile e importante per chi avverte e riconosce come importanti i problemi affrontati, senza saper quasi nulla di filosofia. (Sempre che si sia disposti a ammettere, come suggeriva Pascal, che vi sono cose che è possibile dimostrare solo con l'indurre il lettore a riflettere su se stesso; e che, almeno una volta, in questo posto strano e complicato che è il nostro mondo, ci sia accaduto chiederci: "What does it all mean?".) Il libro si presta efficacemente a questa duplice lettura: per filosofi e per non addetti ai lavori.

È sul secondo tipo di lettura che vorrei suggerire, in margine, qualche spunto di riflessione a proposito di quella situazione istituzionale in cui uno è letteralmente alle prese con la filosofia come adolescenza dell'intelletto. Alludo al difficile problema dell'insegnamento della filosofia nelle nostre scuole superiori. Credo che poche istituzioni siano importanti per una società quanto la scuola e che poche siano, come la scuola, sistematicamente sottovalutate. Prendere sul serio la scuola significa prendere sul serio regole, modelli, istituzioni e persone che vi sono coinvolte. Non mi addentro nell'esame e nella discussione della vicenda intricata e a tratti deprimente della riforma degli ordinamenti della scuola superiore italiana. Mi limito a una modesta proposta. Chiunque di noi si trovi a praticare quella professione che Freud riteneva essere fra quelle praticamente impossibili e comunque molto difficili che è l'insegnamento, è al corrente dei problemi ordinari e quotidiani e della querelle pluriennale su come insegnare filosofia.

A partire almeno dal 1970, la questione del ruolo e dello spazio della filosofia nell'ambito delle discipline degli istituti superiori, è stata al centro di intense discussioni, diverse proposte, accese controversie. Un volume come L'insegnamento della filosofia (Rapporto della Società filosofica italiana), a cura di Luciana Vigone e Clemente Lanzetti, (8) può dare un quadro e un'informazione interessante sullo stato della questione. Sembra che non goda più del prestigio di un tempo l'idea un po' enfatica secondo cui la filosofia costituisce qualcosa come il "coronamento della formazione umanistica". D'altra parte, non vi è accordo su che tipo di sapere sia quello filosofico, ma si rifiuta prevalentemente la sua assimilazione a altri tipi di conoscenza e si tende comunque a riconoscere una certa autonomia e specificità alla filosofia in quanto tale. Modelli di insegnamento della filosofia che si articolino per reti di problemi, piuttosto che sulla storia delle idee, non raccolgono grande successo; e, tuttavia, si lamenta che l'insegnamento della filosofia si riduca a una sorta di "dossografia" accelerata. A chi sostiene la tesi dei problemi, si obietta ragionevolmente che i problemi non sorgono e si formulano nel vuoto pneumatico ma entro contesti e che ciò ha luogo in relazione a forme di vita, tradizioni e, naturalmente, altri tipi di conoscenza e comprensione, scientifica, religiosa, culturale o artistica che sia. Tuttavia, questa ragionevole obiezione ci riporta inesorabilmente al dilemma della dossografia.

Non ho idea di come si possa risolvere un insieme così intricato di questioni. Mi chiedo se, rifiutando la tesi della filosofia come "coronamento" e accettando quella più generale, che mi sembra essere condivisa, per cui la scuola dovrebbe sempre più essere un'istituzione in cui "si impara a imparare", non si potrebbe prendere più sul serio l'idea della filosofia come "adolescenza dell'intelletto". Se non altro, solo come un primo passo elementare; come la celebre "scala", se uno preferisce la citazione dotta: come un modo per consentire ai nostri figli e nipoti di riconoscere, riflessivamente, l'importanza dei problemi per cui la filosofia è importante e di capire che senso ha continuare a leggere Platone o Cartesio, Leibniz, Hume o Kant, Frege o Wittgenstein.

Se è vero che la filosofia è l'adolescenza dell'intelletto, una scuola che la escluda dalla sua dieta o ne fornisca un surrogato "dossografico", privo di importanza riconoscibile, non favorirà, per quanto le è possibile, quella maturità cui dovrebbe nei suoi limiti, aspirare una istituzione educativa degna di questo nome.

Salvatore Veca

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