Introduzione
In molti saggi di questo libro si parla di modelli e simulazioni applicati
a vari aspetti della psicologia. In tutti questi casi gli autori tendono
a costruire un sapere psicologico fondato su modelli quantitativi
e non verbali. In pratica tentano di raggiungere l'obiettivo che la
psicologia scientifica persegue dalla sua fondazione: la definizione
di leggi formali dei "fatti" psicologici come accade per
i "fatti" fisici. Questo è stato il denominatore
comune di ogni approccio nato all'interno della psicologia scientifica
o sperimentale, come dir si voglia. È storicamente noto che
questa ambizione si è sempre scontrata con il numero enorme
di variabili che occorre considerare ogni qual volta si vuole quantitativamente
spiegare un dato comportamento. Il comportamentismo è morto
anche a causa dell'enorme numero di variabili intervenienti che ogni
modello assumeva e non controllava. Il cognitivismo agonizza strangolato
dal groviglio di "scatole" e "frecce" che propone
in ogni sua spiegazione. Uno spiraglio per il rilancio del programma
"formalista" è rappresentato dai (relativamente)
nuovi modelli "emergentisti" accoppiati con la grande potenza
di calcolo degli attuali computer. Infatti, la possibilità
di delegare alla capacità di un modello, come nel caso delle
reti neurali, di trovare (apprendere) una soluzione a dei problemi
con molte incognite (o variabili), sembra aver dato nuova linfa alla
psicologia scientifica. L'impressione generale è che si abbiano
a disposizione degli strumenti in grado di affrontare l'enunciazione
di grandi teorie formali (o simulate, direbbe qualcuno) circa il linguaggio,
la formazione dei concetti, i moduli mentali, ecc. Secondo una visione
ancora più ottimistica questi nuovi strumenti potrebbero consentire
di superare i confini disciplinari tra le varie scienze (biologia,
neuroscienze, psicologia, sociologia) per
arrivare ad una Teoria Generale della Vita [Parisi 1999]. L'obiettivo
è ambizioso, tuttavia ci sembra che l'approccio emergentista
stia introducendo qualcosa di qualitativamente nuovo nel nostro modo
di fare ricerca. Ci sembra che questi strumenti, oltre che "rifare
la realtà nel computer", come sostiene il titolo di un
recente libro di Parisi [2001], consentano di ricreare delle realtà.
Da quando il metodo galileano si è imposto
come pratica gnoseologica, i modelli formali (matematici) prodotti
dalla scienza sono il frutto di un'opera analitica del ricercatore
che per spiegare un dato fenomeno impone una certa struttura di relazioni
tra variabili ben definite. Ovviamente quanto maggiori sono il numero
di variabili e le leggi di relazioni
assunte dal modello, tanto più grande è la quantità
di calcolo necessario per predire, a partire dalla struttura formale,
i dati empirici. Alla base delle grandi teorie fisiche del Settecento
e dell'Ottocento c'era il lavoro massacrante e organizzato di centinaia
di esseri umani. All'epoca il calcolatore (o computer) era sinonimo
di persona delegata a fare calcoli [Bailey 1996].
Fortunatamente, questa attività ripetitiva e priva di qualsiasi
forma di creatività è stata progressivamente automatizzata
fino ad arrivare alla sua totale meccanizzazione. L'attuale potenza
dei computer ha consentito di affrontare il calcolo di modelli matematici
complicatissimi. Questo è il campo ben noto delle cosiddette
simulazioni numeriche entrato nella pratica comune sia nella ricerca
di base che in quella applicata. In questo caso, però, il progresso
è stato solo quantitativo. La logica sottostante alla costruzione
delle Teorie scientifiche è rimasta sostanzialmente la stessa
da 300 anni a questa parte. È cambiata solo una cosa: un tempo
il calcolatore era un essere umano, ora è una macchina.
Esiste comunque una nuova possibilità che la grande potenza
di calcolo oggi a disposizione consente: la riproduzione (o simulazione)
dei meccanismi di adattamento, apprendimento, evoluzione sottostanti
alla vita di ogni sistema biologico. In questo caso, una particolare
competenza o comportamento del modello emerge come risultato di questi
processi di adattamento simulati. Per esempio, immaginiamo di voler
spiegare alcuni indici comportamentali relativi all'orientamento spaziale
di un ratto in un labirinto. Secondo l'approccio emergentista, il
ricercatore addestra un sistema artificiale a produrre i dati empirici.
La competenza di orientarsi nello spazio, quindi, non viene direttamente
imitata/simulata, ma è un prodotto dei processi di adattamento/apprendimento
inseriti nel modello simulato. A questo punto possiamo dire che la
competenza così ottenuta rappresenta un modello del comportamento
di orientamento spaziale dei ratti? La risposta non può essere
netta. In qualche misura è affermativa perché, in fin
dei conti, la soluzione appresa dal modello spiega e predice i risultati
empirici osservati. D'altra parte è anche vero che il modello
acquisisce autonomamente la competenza di orientamento spaziale. Ed
è questo scarto di autonomia che fa la differenza con la modellistica
tradizionale e le simulazioni
numeriche in generale. La libertà data al modello di apprendere
un compito potrebbe aver portato il sistema a produrre i medesimi
indici comportamentali del ratto, ma la logica (o la psico-logica)
con cui li ha ottenuti potrebbe essere completamente diversa. Tutto
sommato le formiche e gli esseri umani possono presentare dei comportamenti
di orientamento spazialedel tutto simili. Ma basta questo per dire
che la formica è un buon modello dell'attività di
orientamento spaziale umana (o viceversa)?
Questo è il punto. Modellare i processi di adattamento/apprendimento/autorganizzazione,
come accade nel caso delle reti neurali artificiali, può trasformare
le strutture formali in sistemi autonomi molto simili a nuove forme
di vita più che alla "fotografia" schematica di un
pezzo del reale. A certi condizioni, che vedremo nelle pagine seguenti,
questi modelli possono essere considerati alla stregua di veri e propri
organismi artificiali, insomma come una nuova realtà e non
solo delle simulazioni della realtà.
Continua >>>>>
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