Le reti neurali aiuteranno a spiegare
come nasce il pensiero
Domenico Parisi illustra il funzionamento
delle reti e i presupposti teorici alla base dei sistemi
artificiali di tipo connessionista
Come sono fatte le reti neurali e come mai sono in grado
di riconoscere forme come quelle dei caratteri?
Le reti neurali sono ispirate al sistema nervoso, nel senso
che una rete è un insieme di nodi, di unità, che sono simili,
in un modello semplificato, alle cellule nervose. Queste
unità sono collegate fra loro da connessioni che simulano
i collegamenti sinaptici fra neuroni. Attraverso tali connessioni
questi neuroni artificiali, emettendo eccitazioni o inibizioni,
rappresentano il modo in cui ogni neurone comunica con gli
altri. Tale modalità è dovuta però al peso particolare di
ciascuna connessione. L'apprendimento, ad opera di una rete
neurale, equivale, in sostanza, al modificarsi dei pesi
sulle connessioni di modo da produrre capacità che la rete
non presentava all'inizio dell'apprendimento.
Quali sono le caratteristiche più interessanti che i
sistemi neurali esibiscono rispetto a modelli di simulazione
di tipo tradizionale?
Mentre l'intelligenza artificiale tradizionale cerca di
riprodurre le capacità degli esseri umani in termini di
simboli e regole per manipolare questi simboli, le reti
neurali sono invece modelli ispirati alle caratteristiche
fisiche del corpo, in particolare del sistema nervoso. Una
differenza cruciale, per esempio, consiste nel fatto che
un sistema di intelligenza artificiale in genere non apprende,
perché è previamente programmato. Al contrario, è tipico
delle reti neurali e, in genere, di tutti i sistemi che
si ispirano alle caratteristiche degli organismi biologici,
che le capacità di tali sistemi sono frutto di un apprendimento
autonomo, spontaneo, avvenuto all'interno del sistema. Questa
modalità di cambiamento neurali corrispondono, nel sistema
individuale, ai cambiamenti che avvengono nel corso della
vita di un individuo, in un processo di co-variazione che
tiene conto dell'evoluzione di popolazioni di individui.
C'è, quindi, una forma di auto organizzazione, di auto
apprendimento autonoma, che non esiste nei sistemi tradizionali
. Questo può essere un vantaggio nel senso che per certi
problemi non si ha idea di come programmare il computer
in modo che possa risolverli.Queste forme di autoapprendimento,
invece, fanno sì che lo stesso sistema trovi da solo le
soluzioni più interessanti a cui noi non avremmo pensato
se avessimo dovuto programmarlo.
Con 'Life' attuate delle simulazioni in un ambiente
evolutivo. questa simulazione di un ambiente evolutivo.
Ci può indicare i temi principali della ricerca nella vita
artificiale?
La vita artificiale è il tentativo di riprodurre tutti
i fenomeni del mondo vivente in un sistema artificiale,
un computer, per esempio, oppure un robot. Le reti neurali
sono quindi degli esempi di modelli di vita artificiale
perché riproducono un particolare pezzo del corpo di un
organismo, il suo sistema nervoso e il suo comportamento.
Se inseriamo una rete neurale in un ambito di vita artificiale
la rete controllerà il comportamento di un organismo che,
oltre al sistema nervoso, avrà un corpo, una dimensione,
una forma, vivrà in un ambiente fisico. Ciò che si simula,
dunque, non è semplicemente il comportamento del singolo
organismo ma di un intero ambiente in cui ci possono essere
altri organismi, artefatti tecnologici, oggetti naturali.
Uno degli aspetti della vita artificiale è la robotica
evoluzionistica perché nel suo ambito si cerca di fare evolvere
il sistema nervoso che controlla il comportamento di un
robot. Ma il robot, avendo il vantaggio di possedere anche
un corpo fisico, presentano dei vincoli fisici e ambientali
connessi alla sua forma e dimensione.
Vita artificiale ed intelligenza artificiale. Quali
differenze?
La vita artificiale è ispirata alla biologia, mentre l'intelligenza
artificiale è ispirata alla logica. La vita artificiale,
inoltre, non mira specificamente a riprodurre l'intelligenza
ma la vita. In questa prospettiva si possono dunque riprodurre
organismi molto semplici, a cui noi non attribuiremo forme
di intelligenza, in senso alto. Quando la vita artificiale
si occupa dell'intelligenza umana la fa emergere gradualmente
dal comportamento di organismi semplici attraverso una lenta
storia evolutiva, cercando di rintracciarne le radici biologiche
invece di affrontarla partendo 'dall'alto' come fa l'intelligenza
artificiale.
Come funzionano i robot che avete progettato?
I nostri robot consistono in una piccola rete neurale evolutasi
attraverso un processo evoluzione biologica selettiva. Il
robot ha inoltre ha dei sensori che gli permettono di vedere
la vicinanza a un ostacolo. La rete neurale è evoluta attraverso
un processo di evoluzione biologica, per mezzo di una riproduzione
di generazioni successive di robot fino ad arrivare ai robot
di ultima generazione che possiedono la capacità di muoversi
in uno spazio, cercare i cilindretti bianchi, abbassare
i due braccetti di cui dispongono, stringere il cilindretto,
sollevarlo, poi portarlo fuori dallo spazio recintato, come
se avessero il compito di sgomberare un'area da un insieme
di oggetti. Il robot ha dei sensori ad infrarossi che gli
indicano la posizione di modo che sappia quando incontra
degli ostacoli e riesca a discriminarli. Questo è un modo
concreto di come la vita artificiale possa fare evolvere
degli organismi che non sono semplicemente simulati dentro
al computer, ma sono anche degli sistemi biologici che vivono
ed operano in un ambiente fisico.
Quali sono le differenze fra l'approccio connessionista
e l'approccio computazionale classico?
L'intelligenza artificiale classica si basa sull'idea che
la mente sia formata da un insieme di simboli, manipolati
da regole logiche di inferenza. E' quindi una visione della
mente come qualcosa di molto razionale, di molto avanzato.
Tale modalità di funzionamento è tipica degli esseri umani
ma rappresenta soltanto la punta dell'iceberg della mente,
dell'intelligenza. Sotto è presente un modo di funzionare
più biologico che il connessionismo cerca di mettere in
evidenza. Il connessionismo, infatti, parte dal sistema
fisico per riprodurre un sistema fisico reale. Riprodurrà,
quindi, in un robot, le caratteristiche del corpo, le caratteristiche
del cervello, dei neuroni, delle sinapsi così via, con l'intento
di arrivare a spiegare e descrivere quel pensiero razionale
da cui invece parte lo studio dell'intelligenza artificiale.
Credo che il connessionismo sia un approccio più sensato
e produttivo semplicemente perché segue il percorso storico
naturale in cui a partire dall'iniziale presenza di sistemi
privi di intelligenza e razionalità, si sono sviluppati
sistemi che esibiscono funzioni cognitive di ordine superiore
come coscienza, linguaggio. L'approccio connessionista cerca
quindi di riprodurre questo stesso andamento naturale dell'evoluzione
dell'intelligenza mentre l'intelligenza artificiale in un
certo senso va contro natura perché parte dal punto di arrivo
e cerca di riprodurne le caratteristiche.
È effettivamente possibile fare emergere comportamenti
simbolici dalle reti neurali o vi sono difficoltà ad applicare
questo tipo di modello?
Ci sono indubbie difficoltà, connesse, se non altro, alla
natura del cammino della scienza. In ogni caso se noi riusciamo
a cogliere, ad analizzare e a spiegare questo processo di
evoluzione progressiva in cui si assiste all'emergenza dei
simboli del linguaggio, avremo risolto il problema a cui
lei fa riferimento. È chiaro che se invece si parte direttamente
dal linguaggio senza cercarne di chiarire l'evoluzione,
si segue una via innaturale che non porta da nessuna parte.
Biografia di Domenico Parisi
Domenico Parisi è direttore di ricerca presso l'Istituto
di Psicologia del Cnr a Roma. Insegna Psicologia generale
all'Università dell'Aquila e alla Lumsa, e dirige la rivista
"Sistemi intelligenti". Si occupa di simulazione di comportamenti
di individui e società usando le reti neurali, gli algoritmi
genetici e i modelli della Vita Artificiale. Tra le sue
ultime opere: Intervista sulle reti neurali (1989) e, con
altri colleghi, Rethinking innateness: a connectionist perspective
on development (1996), Mente: i nuovi modelli della Vita
artificiale (1999).
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