NUOVE IDEE / ESPERIENZE PER L'EVO IMMATERIALE
Il mondo è pieno di idee nuove e di sperimentazioni rivoluzionarie. Qui cerchiamo di presentarne alcune. Segnalaci quelle di cui sei a conoscenza.

Aiutare le persone e l'ambiente

Trees for the Future (Alberi per il Futuro) è un'organizzazione non profit fondata nel 1989 da Dave e Grace Deppner per proteggere le foreste e aiutare la gente a viverci. L'iniziativa è nata per aiutare il pianeta a contrastare la deforestazione, la desertificazione, i mutamenti del clima e la perdita di bio-diversità. TFTF promuove e sostiene un uso sostenibile della terra, piantando alberi in cooperazione colle comunità locali in ogni parte del mondo. L'iniziativa prevede di fornire ai partners strumenti, consigli e supervisione perchè traggano un beneficio concreto dalle opere di riforestazione.

ANCHE IN ITALIA C'E' CHI FA QUALCOSA

Pordenone

In fondo bastano 135.000 lire, oltretutto spalmate su un'intera esistenza. Fanno 90 caffè, oppure 25 pacchetti di sigarette, oppure sì e no un pieno di benzina. E ne vale la pena, visto che con quell'inezia riuscireste a salvare il mondo. Per davvero, mica per scherzo: ciascuno di noi, in media, nei Paesi del cosiddetto Primo Mondo, produce ogni giorno 34 chilogrammi di anidride carbonica. Sprigionandola nell'aria, scassinando la coltre di ozono che ci difende, e portando una pietruzza alla slavina che tra poche decine d'anni renderà subacquee le città costiere, cominciando da Venezia.

Per evitare tutto ciò, bisognerebbe che ciascuno si preoccupasse di smaltire questa anidride, dopo averla prodotta: un po' come fa per i rifiuti. E il metodo semplicissimo c'è, basta piantare degli alberi. Un investimento modesto: quando siete arrivati a quota 270 alberi a cranio, avete pareggiato il conto con la vostra produzione di sporco atmosferico. Non vi pare che ne valga la pena?

Gabriele Centazzo, seduto dietro il suo tavolo della Valcucine, nella zona industriale di Pordenone, di cui è titolare, non ha neppure bisogno di munirsi di carta e penna, per fare questi conti: li snocciola a memoria, visto che se li rigira in testa da una vita. Oltretutto, li ha riportati nell'appendice di un sacro testo ambientalista quale «L'uomo che piantava gli alberi», scritto da Jean Giono nel 1953, e diventato un libro cult. Anche per Centazzo, che ne ha fatte stampare a sue spese 15.000 copie, e che ne sta curando un'ulteriore ristampa, con tanto di integrazione a scopo educativo.

Per farlo, si affida a un'immagine: la Terra come un'astronave. Immagine realistica, visto che anche se non ve ne accorgete, mentre leggete queste righe state filando nello spazio a una trentina di chilometri al secondo, robe da ritiro della patente cosmica ammesso che esistesse. C'è una carrozzeria, naturalmente, che è costituita dallo strato di ozono che ci avvolge. E noi stiamo dentro una cabina pressurizzata, che sarebbe l'atmosfera, e che è proprio mignon rispetto alle dimensioni del cosmo, se pensiamo che è alta appena una dozzina di chilometri. Solo che dentro quello spazio ci comportiamo come una scolaresca di liceali in vacanza: ne facciamo di tutti i colori, perfino bucando le lamiere.

Centazzo mette i dati in fila: ogni anno, produciamo 29.000 miliardi di chilogrammi di anidride carbonica, 12.000 dei quali causati da un miliardo di persone, vale a dire un sesto della popolazione mondiale. Metà di questa spazzatura la smaltiscono le foreste; l'altra metà si sta accumulando nella cabina dell'astronave, cioè l'atmosfera, ridotta a una discarica cosmica. Ma c'è appunto un modo per pareggiare i conti, ristabilendo l'equilibrio ecologico, spiega Centazzo: basta rivolgersi al migliore dei fornitori, cioè la natura.

Lui lo fa da una vita, inseguendo anzi materializzando i sogni che coltivava da bambino. Nato a Maniago, ai piedi della montagna, a cinque-sei anni se ne andava già in giro per i boschi, arrampicandosi sui tronchi e facendone strage. E quando è diventato industriale, guarda caso nel settore mobili, ha tradotto le fantasie in realtà, facendo di quella che oggi con termine moderno si chiama la sua «mission» la scelta di piantare, e far piantare, alberi a rotta di collo.

Spiega, di getto: «Uno vede un industriale che pianta alberi, e gli viene da chiedersi dove stia il trucco. Ma è semplice: a parte che l'ambiente in futuro può diventare importante per il marketing, c'è soprattutto un fatto etico. Un industriale è una persona come tutte le altre. Perché coltivare una sorta di professionismo dell'ecologia? L'ambiente è di tutti: anche noi industriali abbiamo figli che respirano, che vivono, che vanno in giro. La differenza la fa la cultura, non la professione che si fa. E gli industriali sono persone che tra l'altro hanno in mano la leva economica: dunque, se hanno la cultura giusta, possono fare».

Di lui si è detto che sarebbe stato a Genova, nel corteo anti-G8. Ma non ci ha mai pensato neanche per un attimo: «La contestazione bisogna lasciarla ai giovani, che non hanno potere economico, ma che possono e devono contestare per tenere desta l'attenzione sui problemi veri. Invece, un cinquantenne che va in piazza è ridicolo: a quell'età, deve dedicarsi al fare. E si può fare qualcosa; anzi, parecchio». Senza aspettare che si muovano i politici, per carità: «Qualcuno ha detto, e a ragione, che il sistema democratico non permette programmi a lunghissima scadenza: dopo cinque anni di legislatura i politici devono dimostrare che è aumentato il Pil. Con l'ambiente, non si può ragionare su queste scale temporali».

E di nuovo, Centazzo espone dati e pensieri: ci sono voluti nove anni perché i tecnici si mettessero d'accordo su quanta percentuale di anidride carbonica abbattere; adesso tocca ai politici ratificare la decisione; poi bisognerà decidere come; poi allestire i sistemi di controllo. Tempi eterni, «perciò da subito dev'esserci un movimento che, partendo dalla gente comune ma anche dagli industriali, si dia da fare per invertire la tendenza».

Già, ma come? È un problema, «soprattutto perché gli imprenditori su questo versante non hanno cultura; mica per colpa loro: a scuola, nessuno parla di ambiente; invece bisognerebbe introdurla come materia, fin dalla prima elementare». E lui, nel suo piccolo, ha cominciato a farlo, con Bioforest (vedi la scheda a fianco), che svolge una serie di attività, compresa una persona che va in giro per le scuole friulane a spiegare cosa sono le piante autoctone. Non solo: la Forestale dà i semi, in prima media i ragazzi li piantano nei vasi, in terza li trasferiscono su un terreno messo a disposizione da Bioforest. Per la quale, Centazzo ha un sogno: che diventi l'associazione ambientalista degli industriali. Cominciando da quelli del suo settore: per ogni mobile realizzato, un albero impiantato.

Francesco Jori