La casa virtuale non ha spazio: è costruita di tempo e di alfabeti (di D.Del Giudice)
tratto da http://www.fub.it/telema/TELEMA15/DelGiu15.html

Le città ideali del passato, immaginate da chi sognava mondi perfetti, stavano tutte nelle pagine dei libri: rimandavano a luoghi, edifici, spazi pubblici e privati, ma erano fatte soltanto di parole, di alfabeti. Per nulla diversa la nuova città virtuale del cyberspazio: racchiusa in un hard disk, è fatta di bit, di segni in sequenze ordinate che rimandano alla lettura, e dunque alla temporalità. 1. Città virtuali. Ovviamente lo erano già le più antiche: La Repubblica di Platone o La città del sole di Tommaso Campanella, La città felice di Patrizi e le città isole nell'Utopia di Thomas More coniatore della parola stessa, o nella Nuova Atlantide di Bacone. Pure utopie, cioè luoghi che non avevano alcun luogo, trattandosi del pensiero e del desiderio di un perfetto ordinamento sociale e di un'armoniosa relazione tra gli uomini. Eppure tale pensiero per organizzarsi e rendersi esplicito aveva bisogno di una forma spaziale, una figura tridimensionale, quella appunto della città; in ciò confermando che il concetto astratto o il più astratto dei pensieri presuppongono pur sempre una dimensione spaziale implicita, senza la quale non sarebbero concepibili, come testimonia del resto la gran quantità di porte, ponti, scale, aldiqua e aldilà, sopra e sotto, di cui il discorso filosofico è colmo. Città-utopia, virtuali e in apparenza senza luogo, e tuttavia stavano in realtà da qualche parte. Dove? Nei libri, naturalmente. Cioè negli alfabeti. Lo spazio della città virtuale era volume, unità di misura tridimensionale del pieno, misurabile e calcolabile in pagine e caratteri, a stampa o manoscritti. La città virtuale d'oggi, nucleo lenticolare del cyberspazio, sembrerebbe anch'essa non possedere la fisicità di un luogo, e tuttavia sta da qualche parte della rete, che coincide con qualche parte della Terra. Dove? Nel disco rigido di un server, localizzabile per latitudine e longitudine come qualunque altro punto del pianeta. Anche il disco rigido e le sue partizioni prendono curiosamente il termine di volume o volumi, misura del pieno, contrassegnati da lettere dell'alfabeto, a cominciare dalla "C". Le dimensioni della città virtuale corrispondono dunque a quelle del disco. Si misurano in capienza, cioè gigabyte, velocità di rotazione del disco (attualmente di 10.000 giri al minuto il limite massimo), velocità di tempo di accesso delle testine (dai 7 ai 15 millisecondi), velocità di trasferimento dati (megabyte per secondo), velocità di scrittura e lettura. Se osserviamo le misure della città virtuale, che pure ha residenza in un luogo geografico fisicamente determinato, ci accorgiamo che sono tutte misure non di spazio ma di tempo, tranne una, il byte e i suoi multipli fino al gigabyte, che è appunto una misura di scrittura-lettura, cioè di ingombro caratteri. Il byte indica un gruppo di 8 bit, equivalente a un carattere; il bit, che in gruppo costituisce il byte, è una singola unità numerica binaria, in altre parole 1 o 0. E' la più piccola unità di dati, l'indivisibile, l'irriducibile della memoria fisica rappresentata da un hard-disk. Dunque la nostra città virtuale, così futura all'apparenza, è fatta della stessa antica sostanza delle passate città virtuali. E' volume. E' scrittura e lettura. Ha un luogo, come lo avevano i testi di Platone o Bacone o More. E come quelli è una città fatta di alfabeti. Come quelli si affida all'immaginazione del lettore-scrittore, immaginazione cui spetta il compito di trasformare caratteri in rappresentazioni spaziali, per collocare ciò che ha immediatamente sotto gli occhi - caratteri, solo caratteri - in un altrove. C'è però una differenza: tutto ciò che nella nostra percezione era misura di spazio si è trasformato in misura di tempo. Forse sarebbe più veritiero parlare di cybertempo, più che di cyberspazio. Questa accentuata relazione dello spazio-tempo, contrazione dello spazio nel tempo, crescente conversione dello spazio in tempo è forse l'unico vero "nuovo" delle città virtuali - bps, bytes per secondo, cioè caratteri moltiplicato tempo -, probabilmente il "nuovo" della percezione cui ci abitueremo negli anni prossimi del nuovo millennio. Filologicamente pertinente, dunque, il nome Byte-point che contrassegna il luogo della messaggeria nella avveniristica e telematica città di "Catanzaro on line". 2. Città immaginarie, città perfette, città imperfette. Quasi ogni città d'Italia, comune o frazione, si è duplicata in un proprio virtuale: Lecco è da tempo in un altrove come "Lecco virtuale", così Merate, replicata per partenogenesi in "Merate virtuale". Cosa accade nella futurissima e tecnologica Merate virtuale? Lo stesso che nella Merate in solido, per esempio una serata del cantante Luciano Taioli, col successivo arrivo di Nilla Pizzi, Wilma de Angelis e Tullio De Piscopo. Tanto high tech per Taioli? "Forlì virtuale" è una città inquieta, da poco ha cambiato indirizzo; cercandola in rete si trova un avviso: «Forlì città virtuale si è spostata». Ovunque sia andata, quando la si raggiunge, tra tante cose spicca la "Fiera dei Santi di Civitella e di Romagna", release '98, con esposizione di capi bovini e mercato di vitelli da ristallo. A "Prato virtuale" una modellazione 3D consente una "veduta della città all'alba del 21 marzo 1492". Tanto futuro per ricostruire il passato? Nel sito Intel, uno dei luoghi virtuali dove massimamente impera ogni possibilità di cyberspazio o cybertempo, per mostrare la potenza 3D dei nuovi processori c'è un modello della Città proibita cinese: la schermata iniziale è una tavoletta con la mappa della città, ogni numero corrisponde a un palazzo, a una sala, a una porta, Porta del Valore Spirituale, Palazzo della Purezza Celeste, Sala della Concordia Protettrice, Porta della Suprema Concordia, Sala della Cultura della Mente, e quasi al centro Sala della Perfetta Armonia. La stessa tavoletta, con i suoi percorsi per linee parallele che voltano ad angolo retto, somiglia straordinariamente ai circuiti stampati di una motherboard o alle pipelines interne di un processore. Per falsa coscienza, o perché il non-materiale sarà forse più prossimo allo spirituale, c'è dappertutto nella rete, e specialmente nei siti più avanzati, una curiosa relazione tra alta tecnologia e antica spiritualità (corroborata ampiamente dalle nostalgie di materia e corpi, con bordelli, luoghi di nefandezze e turpitudini). Intanto le avanzatissime e cibernetiche Lecco e Merate e Catanzaro virtuali, e centinaia d'altre città con loro, differiscono profondamente dalle antiche cittadelle d'utopia in questo: lì gli abitanti dimoravano in un sogno d'ordine e ricomposizione, qui presso "gli sportelli virtuali" gli abitanti inferociti lamentano disordine e decomposizione esperibili nella attardata città reale e nel suo sfilacciato tessuto. 3. La casa pagina. "Homepage": il termine inglese dice bene, e lo dice fin dall' origine, come il cyberspazio sia fatto di scrittura e lettura, e dunque articolato in pagine. La casa pagina è fabbricata con pagine di testo html (anche le icone e le immagini sono fatte a loro volta di codice alfanumerico); testi sono i suoi piani, le stanze, testi il mobilio, e tutto ciò che la casa contiene. Quel che non è testo è link, cioè testo raccorciato in indirizzo cliccabile per andare oltre, per andare altrove. E' dunque sempre, e nel medesimo tempo, casa stabile e casa di passaggio. Link, legame, nodo: trama e possibilità stessa della rete. Congiunzione fondamentale (@="et" negli indirizzi) nella sua natura di testo. Meriterebbe una riflessione a parte il concetto di legame in questa sua nuova forma, forma di finesecolo. Una delle poche città che non è fatta di case-pagina è la memorabile SimCity, lì troviamo prevalentemente modelli architettonici e addirittura plastici urbani di città intere: alcune copie di città reali ma proiettate in un futuro anteriore, un "dopo" nel quale appaiono modificate e stravolte dalla catastrofe: Chicago dopo un'inondazione che l'ha resa più acquosa, Boston dopo un devastante incendio che ne ha tracciato la nuova viabilità, Los Angeles dopo un terremoto che ha compiuto definitivamente il suo destino, e le ha cambiato per sempre i connotati. Anche in quest'altro senso, più tradizionale, è dunque il tempo che agisce sullo spazio. 4. Cyberspace, cybertime. Se le case pagina hanno un luogo geografico coincidente in coordinate con l'hard-disk del server o del computer che le ospita in forma di scrittura lettura, anche l'intero cyberspace coincide con uno spazio apparentemente infinito ma comunque limitato: lo spazio della cablatura, lunghezza ed estensione delle linee telefoniche. La nostra stessa capacità di phantasia, che ci permette di vedere La città di Dio di Campanella non come le pagine del libro che stiamo leggendo ma come una città spazialmente realizzata, ci porta ad immaginare il cyberspace come uno spazio cosmico e un mondo parallelo, quale è descritto da William Gibson in Neuromancer, libro e autore che appunto al cyberspace hanno dato nome e origine. Eppure si tratta del solito e vecchio telefono, dei suoi relais, del suo doppino. Tecnologia assai più antiquata del segnale radio, del segnale video, per non parlare del segnale satellitare. Com'è che sollevando la cornetta per chiamare un qualunque numero di un qualunque luogo del mondo (operazione del tutto equivalente nella rete a scegliere, con l'automatismo di un link, un qualunque IP address) non proviamo alcun brivido? Com'è che la nostra mente facendo un numero al telefono non si apre su nuovi, sconfinati orizzonti? Forse perché il telefono fu appunto il primo passo nella trasformazione dello spazio in tempo, del cybertime, passo pieno di scariche e fruscii, ma, perfino in questo, del tutto equivalenti al "disturbo" che nella rete rallenta la velocità con cui le case pagine si edificano sui nostri schermi. Il cyberspazio o il cybertempo, più prosasticamente identificati come rete telefonica, sono già in un racconto di Primo Levi, A fin di bene, un racconto dei primi anni Settanta compreso nella raccolta Vizio di forma. Qui la rete telefonica passa improvvisamente dal genere inanimato a quello animato, e per propria iniziativa prende a connettere tutti in tutto il mondo, parlando tutte le lingue, «attingendo lessico e sintassi e inflessioni dalle conversazioni che intercetta», incoraggiando i timidi, redarguendo i violenti, smentendo i bugiardi. Naturalmente viene scoperta dai direttori della rete, che non sanno bene come agire: «Le parliamo - propone uno - e le diciamo che se non la smette sarà punita». L'altro domanda: «Pensi che possa provare dolore?» - «Non penso niente: penso che sia una simulatrice del comportamento umano medio, e se è così, imiterà l'uomo anche nel mostrarsi sensibile alle minacce». Alle minacce la rete reagisce: facendo squillare e subito ammutolire tutti i telefoni, fusi i contatti a stagno, perforati i cavi coassiali.