P.C. Stamane il dottor Antonucci nel suo intervento ha risposto
a tre domande di fondo poste dagli organizzatori del congresso.
I) Fino a che punto la psichiatria rispetta i diritti umani ?
Antonucci ha risposto che i diritti umani cominceranno a essere
rispettati soltanto quando la psichiatria sarà scomparsa,
in quanto la psichiatria è esclusivamente un'ideologia
e un metodo di persecuzione. Così come ha aggiunto non
si possono eliminare i campi di concentramento finché non
si elimina il razzismo. 2) Cosa è successo in Italia in
questi ultimi anni in rapporto alla psichiatria? Antonucci: un
primo movimento, il più noto sia in Italia che all'estero
fu iniziato a Gorizia da Basaglia, (con il quale Antonucci lavorò
per qualche mese) - il movimento chiamato antiistituzionale -
e rappresenta il tentativo di trasformare e aprire gli ospedali
psichiatrici con lo scopo di eliminarli totalmente; un secondo
movimento, chiamato antipsichiatrico - in certo modo collegato
con l'antipsichiatria inglese - è un tentativo di interpretare
le concezioni psichiatriche in una maniera diversa; e una terza
posizione, secondo me più importante oltre che veramente
utile, è rappresentata dal pensiero non-psichiatrico, che
considera la psichiatria un'ideologia priva di contenuto scientifico,
una non conoscenza, il cui scopo è di eliminare le persone
invece di provare a capire le difficoltà della vita sia
individuale che sociale per poi difendere gli individui stessi,
cambiare la società e costruire una cultura veramente nuova.
Secondo questo punto di vista coloro che sono vittime della violenza
sociale, e in particolare di quella psichiatrica, devono tornare
ad essere persone libere di scegliersi la propria vita.
3) Qui a Zurigo Antonucci ha concluso proponendo che la popolazione
vada a visitare l'ospedale psichiatrico e così si renda
conto personalmente del perché ci sono persone chiuse là
dentro. Poi intervenga per cambiare la situazione e chiudere il
manicomio.
A questo punto vorrei avere un suo commento, Prof. Szasz, al discorso
di Antonucci, inoltre, se possibile, mi interesserebbe sapere
quali sarebbero state le risposte sue alle stesse domande, poiché
credo ci sia un parallelo fra lei e Antonucci sia per quanto riguarda
il pensiero che la pratica di lavoro.
T.S. E vero.
P.C. Del resto in un articolo pubblicato recentemente su ''Collettivo
R.", Antonucci stesso ha riconosciuto di dovere a lei e ai
suoi libri vari aspetti del suo modo di pensare e di lavorare.
T.S. Sì, sono d'accordo su questo suo modo di esprimersi:
c'è senz'altro una concordanza, un accordo di fondo. Anch'io
non parlerei di differenza di opinioni, il che sarebbe senz'altro
troppo forte. Potrei dire invece che Antonucci ed io ci troviamo
a sottolineare aspetti diversi di uno stesso punto di vista generale.
Diciamo che se stessimo descrivendo una casa di sei o sette stanze
io potrei soffermarmi sull'importanza di una stanza invece che
di un'altra, ma siamo d'accordo sulla casa nel suo insieme: in
questo caso che la casa è tutta da demolire.
E ora riprendiamo il discorso punto per punto per fare un lavoro
sistematico come me lo ha proposto lei.
P.C. La prima domanda era: fino a che punto la nuova psichiatria
rispetta i diritti umani?
T.S. Vorrei dichiararmi subito d'accordo con quanto ha detto Antonucci,
e cioè che la nuova psichiatria, la vecchia psichiatria,
chiamiamola come vogliamo, è principio e pratica di violenza:
quindi, se siamo contrari alla violenza, la psichiatria va abolita.
Vorrei però aggiungere una precisazione, anche se più
semantica, e in realtà un po' complessa per una conversazione
così breve. Noi, parlando di psichiatria - dico noi per
dire io ma penso anche Antonucci - intendiamo parlare di ciò
che è tradizionalmente chiamato ''asylum psychiatry",
cioè psichiatria ospedaliera, psichiatria dei manicomi,
eccetera, piuttosto che psicoterapia intesa come attività
privata, dato che io non considero tale pratica come psichiatria,
e cioè come medicina. Non è questa la casa, per
riprendere l'immagine di prima, di cui stiamo parlando.
P.C. Infatti. Quello che lei dice mi fa venire in mente una frase
dal libro Vicoto Cannery di John Steinbeck: "il diritto che
ha un uomo di uccidersi è inviolabile, ma a volte un amico
può rendere non necessario questo atto".
T.S.... e se è amico ha il dovere di aiutarlo!
P.C. Insomma il fatto è che non si tratta di problemi medici,
sono cose che non hanno nulla a che vedere con la medicina.
T.S. Esattamente, non sono problemi medici. Ma c'è di più:
bisogna che aiuto non significhi mai coercizione né che
una coercizione venga mal giustificata come un aiuto.
Con questo penso di aver dato la mia risposta alla prima domanda.
P.C. La seconda domanda era: cosa è successo in Italia
in questi ultimi anni nei rispetti della psichiatria. E la risposta
di Antonucci prendeva in esame le varie posizioni a cominciare
da quella anti-istituzionale di Basaglia...
T.S Ecco, esaminiamo queste posizioni una per volta. Per quanto
riguarda quelle legate alle istituzioni, in un certo senso ne
abbiamo già parlato rispondendo alla prima domanda. Però
anche qui vorrei fare una breve precisazione estremamente concisa
anche questa volta, dato che si tratta di argomento che richiederebbe
molto spazio.
Brevemente vorrei sottolineare il fatto abbastanza ovvio che esistono
due categorie di situazioni che tradizionalmente hanno portato
la gente a finire in ospedale psichiatrico, dove sono poi diventati
ricoverati fissi. I più vi sono stati trascinati in un
modo o in un altro contro la loro volontà, e sono persone
che, invece, la vita se la sarebbero potuta organizzare da sole.
Però esiste anche un altro gruppo di persone per le quali
ritengo sia necessario prevedere un certo spazio - e lasciamo
stare per ora il loro numero, che è faccenda complessa
ed esula dal nostro tema -: ci sono stati individui, nel passato,
e ci sono individui oggi, in America ma, immagino, anche in Italia
o qui in Svizzera, che, per qualche ragione -- né mi interessa
in questo momento accusarle, queste ragioni: diciamo per questioni
loro, per problemi o incapacità loro delle famiglie o della
società, per problemi di carattere economico particolare
o altro -- semplicemente non ce la fanno ad andare avanti e sono
più che contenti di ritirarsi in istituzioni che diano
loro un rifugio. Un po' come una volta tanti si ritiravano nei
monasteri o nel deserto oppure si iscrivevano alla Legione Straniera.
Ecco, io non sarei veramente d'accordo sull'eliminare, attraverso
leggi, tale possibilità di scelta. Cioè, lei capisce,
questa scelta verrebbe a mancare al momento che venissero chiusi
tutti i così detti ospedali psichiatrici, mentre a me piacerebbe
lasciarla purché però non sotto il controllo della
medicina, non sotto controllo psichiatrico: questo sì è
proprio estremamente importante. Bisogna tener presente che questa
è una necessità a cui dava risposta la psichiatria
e che tale funzione degli ospedali non andrebbe eliminata... altrimenti
si finisce, come si dice in America, con il "buttar via l'acqua
con il bambino".
Ripeto, la psichiatria manicomiale è al novantanove per
cento malvagità e violenza, però fra le sue funzioni
c'era anche quella di dare un tetto e qualcosa da mangiare a chi
non ne aveva. Bene, uno spazio che provveda a queste necessità
va conservato: è questione di coscienza e di senso comune.
P.C. A questo proposito mi farebbe piacere che lei venisse a Imola
a vedere quello che ha fatto Antonucci per rendere possibile l'esistenza
a quei ricoverati che, dopo anni di violenza psichiatrica, non
hanno mezzi e prospettive per vivere fuori.
T.S. Lo so e sono ansioso di vernici. Ma, per tornare a quanto
dicevamo, ho l'impressione, da quanto ho letto e visto del lavoro
di Basaglia -- e non vorrei sbagliarmi, dato che non sono poi
così al corrente con quanto è successo in Italia
-- ho l'impressione, dicevo, che lui fosse un po' troppo disinvolto
nel chiedere che fossero abolite le istituzioni. Forse lasciava
troppo spazio anche all'abolizione di questa funzione che io consideravo
positiva.
P.C. A parte il fatto che non è stato abolito mica tanto!
T.S. Giusto, ottimo!
P.C. Allora passiamo al secondo movimento che è quello
antipsichiatrico, quello, per intenderci, collegato con l'antipsichiatria
inglese di Laing, Cooper eccetera, che Antonucci definisce "un
tentativo di interpretare concetti psichiatrici in maniera diversa".
T.S. Sono completamente d'accordo con tale definizione e penso,
spero, che Antonucci sia contrario a quel movimento.
P.C. Naturalmente, è quanto ha detto tante volte.
T.S. Anch'io sono completamente contrario. L'antipsichiatria è
in errore esattamente come la psichiatria tradizionale. Anche
se, per quanto ha rappresentato una critica alla psichiatria,
cioè a quella tradizionale, va anche difesa. Su questo
punto bisogna essere molto chiari.
P.C. Infatti l'ordine con cui Antonucci ha esposto i vari movimenti
rappresenta un giudizio sistematico, un modo di avvicinare criticamente
la situazione.
T.S. Anche in questo caso mi sembra che Antonucci ed io siamo
quasi - direi anzi completamente - d'accordo. Penso che quanto
affermano gli antipsichiatri inglesi e cioè, come piace
dirlo a me, che: a) la schizofrenia non esiste; b) che loro sanno
curarla, dimostri la loro disonestà e stupidità.
E questo è proprio psichiatria... ed è un peccato.
P.C. La terza posizione, quella di Antonucci e quella che, secondo
noi è, a questo riguardo, anche la sua, è quella
rappresentata dal pensiero non-psichiatrico, che considera la
psichiatria un'ideologia senza contenuto scientifico...
T.S. Sono completamente d'accordo. Anzi è peggio: è
un contenuto pseudo-scientifico, il che è peggio che non
scientifico. Si tratta di una scienza fasulla.
P.C....che ha lo scopo di eliminare le persone invece di capirne
la storia.
T.S. Giusto. Perciò il nostro compito consiste nel tornare
dal gergo e dal linguaggio pseudo-scientifico, dall'ideologia
psichiatrica, al linguaggio di tutti i giorni e affrontare quei
problemi di morale, quei problemi economici, politici e umani
che la psichiatria nasconde.
P.C. Ed è su queste basi che Antonucci è arrivato
all'ultimo punto del suo intervento, cioè alla proposta.
Proposta legata alla sua esperienza di Reggio Emilia, quando convinse
gruppi di persone ad entrare, in certo modo con violenza, dentro
il manicomio.
Antonucci aveva detto alla popolazione, e dimostrato con fatti,
che i ricoverati si trovavano in ospedale psichiatrico per ragioni
che non avevano niente a che fare con i problemi veri della loro
vita. Ciò che li aveva condotti al manicomio erano le idee
e il potere degli psichiatri e tali ricoveri erano in totale contrapposizione
ai loro bisogni reali. Il risultato fu che più di cinquecento
persone - contadini, operai e studenti - entrarono a forza nel
manicomio di San Lazzaro: e molte capirono bene attraverso quell'esperienza
cosa significhi psichiatria.
Fra le varie conseguenze ci fu una diminuzione dei ricoveri e
il fatto che molti, anche fra quelli che lavoravano nei "gruppi
di igiene mentale" smisero di usare il gergo psichiatrico,
o meglio, ancora più importante smisero di pensare in termini
di psichiatria. Quelle persone, entrate a forza nel manicomio,
videro con i loro occhi in che condizioni erano tenuti i loro
concittadini e fecero domande, domande precise.
Una donna rispose "sono dentro perché non andavo d'accordo
con mio marito e lui, con l'aiuto di uno psichiatra, mi fece rinchiudere.
Sono qui da vent'anni".
Problemi di rapporto fra marito e moglie: perché la psichiatria
?
T.S. Infatti.
P.C. Un altro era un contadino, un partigiano, a cui i tedeschi
avevano fatto scavare la fossa per fucilarlo e che poi, all'ultimo
momento, era stato lasciato andare. Questi, dopo una tale esperienza
viveva pieno di paura, di una paura tremenda e non riusciva a
dimenticare. Ora, da trent'anni, era là, rinchiuso in manicomio,
invece di ricevere aiuto.
T.S. Tremendo. Però non ho capito bene se nel suo discorso
era implicita una domanda. Può rifarmela?
P.C. Antonucci ha proposto alla popolazione un intervenuto diretto
nelle istituzioni non solo allo scopo di criticare la teoria e
la pratica psichiatriche, ma perché tutti si rendano conto
dei problemi reali alla base dei ricoveri. Vedere i problemi veri
della società e degli individui significa far crollare
le fondamenta stesse della psichiatria. Lei cosa ne pensa di questa
proposta?
T.S. Non so bene cosa posso dirne in così poco tempo e
non vorrei apparire troppo pessimista, ma quest'idea mi piace
diciamo così, nel cuore ma non nella testa.
Le spiego perché: una delle ragioni per cui ci sono problemi
di questo tipo in questo mondo -- e dopo tutto ci sono tanti altri
problemi nel mondo oltre quelli legati alla psichiatria -- è
che la maggior parte delle persone, quasi sempre, non vuole sapere
cosa veramente succeda, anzi vuole negarlo; e usa proprio la psichiatria
per negarlo.
Quando lei e Antonucci sostenete che le persone devono andare
dentro gli ospedali psichiatrici a vedere quello che vi succede,
date per scontato che lo vogliano sapere, mentre l'evidenza mi
dimostra il contrario: non lo vogliono sapere affatto.
Le dirò di più, per precisare meglio il mio punto
di vista: io non credo che sia necessario entrare in un manicomio
per sapere quanto sia terribile, così come non c'è
bisogno di andare ad Auschwitz o in una piantagione con schiavi
per sapere quanto siano tremende. I manicomi ormai sono stati
descritti per ogni verso da almeno cento anni, da Cechov, da Ken
Keasey nel suo libro "Qualcuno volò sul nido del cuculo",
da me e da tanti altri. Se ne può leggere in articoli,
in libri; se ne può pensare, si possono leggere testi classici,
per esempio quelli di Shakespeare, e rendersi conto attraverso
i loro scritti che il termine "malattia mentale" non
significa niente. E per questo che mi fa più impressione
l'ambivalenza della gente, della gente diciamo così qualsiasi,
di fronte a questo problema: da una parte si sente spinta ad una
certa compassione nei confronti dei cosiddetti malati mentali,
o persone con problemi, ma, da un'altra parte, non vuole averci
niente a che fare. In un modo o in un altro, con ogni sforzo,
tende a cercare una maniera comoda per mantenere le distanze fra
sé e chi sta male: cosa che ottiene tramite la psichiatria.
Vede, è la persona qualsiasi, secondo me, il complice,
anzi il mandante dei crimini perpetrati dalla psichiatria: sono
l'uomo e la donna qualsiasi, l'avvocato, il poliziotto, il legislatore,
il giudice, i cospiratori, anzi, come dicevo, i mandanti degli
psichiatri. Lo psichiatra non è altro che un servo, non
fa che eseguire.
E per questo che io penso che il nostro compito, adesso, sia più
che altro quello di educatori morali, come coloro che si trovarono
al momento culminante dell'Inquisizione o della schiavitù,
quando la maggioranza era favorevole a quelle istituzioni allora
dominanti. Oggi la maggior parte della gente - anche qui, in un
paese altrimenti piacevole come la Svizzera - non vuole sapere
cosa succede negli ospedali.
Ora stia a sentire: in questi ultimi due giorni, qui al convegno
non si è fatto che descrivere ripetutamente crimini della
psichiatria. Bene: quando sono tornato, oggi dopo pranzo, era
ancora presto e mi sono fermato a chiacchierare con le tre signorine
che tengono il banco dei libri. Lo sa che cosa dicevano? Abbiamo
fatto un po' amicizia e alla fine mi hanno confessato: ''Sa, abbiamo
sentito tutte queste critiche alla psichiatria eppure non ci sembra
possibile che sia vero".
P.C. Lo so, lo so. Ma si tratta anche di conformismo.
T.S. Certo, è conformismo, è non voler sapere. Ma
c'è un altro fattore molto, molto importante: la professione
medica - psichiatri e dottori - ha in qualche modo il ruolo combinato
di sacerdote e buon padre e madre, e la gente non vuol sapere...
P.C. E di protettori del moralismo...
T.S. Certo, e di protettori del moralismo. Nessuno sa quanto possono
essere pericolose, addirittura malvagie, persone con questo tipo
di potere, morale e politico. Ora io penso che siano queste le
cose che dobbiamo porre in discussione e cercare di far arrivare
alla gente, e ciò si può fare sia educando che nel
modo seguito da Antonucci in Italia... Secondo me bisogna usare
tutti i sistemi possibili perché il metodo migliore può
essere diverso da un paese all'altro e secondo il temperamento
e le tradizioni locali. Io penso che gli italiani siano, in un
certo senso, più portati alla comprensione reciproca che
non gli scandinavi, per esempio, o gli americani, e forse il vostro
metodo va meglio in Italia che non qui in Svizzera.
P.C. La cosa importante, in ogni modo, è criticare fino
in fondo tutto quel che la psichiatria rappresenta.
T.S. E poi c'è un'altra cosa: si dà il caso che
la nostra critica totale sia giusta al cento per cento e che la
psichiatria sia al cento per cento menzogne. Tocca a noi sfruttare
questo vantaggio.