Chi fonda
la città prof. Pietro
M. Toesca
Nella Repubblica di Platone, Socrate attribuisce
alla poesia la capacità di fondare la città (con mille riserve e
misure critiche nei confronti della poesia qual è gestita dagli
intellettuali d'ufficio: contro questi bisogna farsi poeti, inventando
miti veri e veramente significativi).
Poesia vuol dire mito radicale, possibilità di porsi
di fronte al problema in termini universali, cioè affrontando nel
loro insieme, e quindi nel loro rapporto reciproco e con l'uomo
di cui sono attinenze, i problemi della giustizia, dell'economia,
della cultura e della felicità.
Solo ponendosi in questa prospettiva di giudizio si può fondare
una città, cioè porne il problema di valore per l'uomo che ci deve
vivere e trarne contesto per la propria realizzazione. Ma ad un
tempo questa universalità non può essere uno schema, bensì uno strumento
per identificare i percorsi attraverso i quali l'uomo concreto,
il singolo uomo, realizza i valori che la costituiscono, e dunque
si pone in grado di parteciparne.
La misura reciproca di giustizia, economia, cultura
e felicità, non può avere che due coefficienti opposti, grazie a
cui la città costruita o riguarda quell'uomo concreto oppure un'altra
realtà in cui quella concretezza diventa parte; e, perdendo egli
la sua vera e propria capacità sintetica, fa ricostruire la propria
realtà (che dunque se è isolata diventa astratta) da un insieme
dominante che vive, gode e crea al suo posto, a suo nome, e grazie
al suo contributo parziale e alla sua acquiescenza delegante.
Due umanità, due città.
Soltanto quella dell'uomo concreto è veramente «fondabile»,
nel senso che l'uomo stesso concreto se ne può porre il problema
sia mentalmente, come problema culturale, sia fisicamente, come
problema economico.
La città dominante è la città non fondata
né fondabile, ma funzionante per conto proprio, secondo regole rigorose
rispetto a cui ogni tentativo di problematizzazione non puramente
metodologica rappresenta un insopportabile interrompimento di sviluppo,
cosicché la qualifica di cittadino può essere correttamente attribuita
soltanto a chi accetti un ruolo di difesa di essa, o fisico o intellettuale
che sia; e nella difesa è ovviamente compresa l'espansione, non
soltanto territoriale, ma economica in generale e dunque pure di
accumulo di informazioni utili ed utilizzabili.
La città fondabile è invece la città che
può considerare propria caratteristica permanente quella di fondarsi,
di essere fondata dai propri cittadini; la città in cui il rapporto
tra politica ed amministrazione è un vero rapporto dialettico, dinamico,
nel senso che i beni posseduti non costituiscono un criterio ma
uno strumento, e il senso del loro uso non sta né nella loro conservazione
né nel loro accrescimento, ma nella loro possibilità di essere trasformati,
da beni di consumo, in strumenti per l'esercizio delle capacità
inventive umane, espressione e fruizione estetica comprese.
La città in cui la politica si identifica a tutti
gli effetti con l'amministrazione conservatrice e promozionale dei
beni di consumo, non può essere fondata, ma per sua stessa definizione
soltanto fatta funzionare; in essa gli intellettuali hanno il compito,
vario e lussureggiante, ma sempre precisamente incluso, di identificare,
descrivere e illustrare anche celebrandoli - i metodi adatti appunto
a quel funzionamento.
Per questo la fondazione di una città è utopica,
ed è rimandata all'età dell'oro in quel Paradiso perduto in cui
tutto sarebbe stato possibile poiché nulla esisteva.