E difficile parlare del tema del protagonismo
infantile perché è molto vasto e dobbiamo anche vedere
di che bambini stiamo parlando. Si parla in genere del protagonismo
infantile dei bambini poveri, ma bisogna pensare anche a quello
dei bambini ricchi, e non fare esclusivamente riferimento ad una
categoria che connota solo una parte dellinfanzia. Per noi
è importante parlare di protagonismo in senso più
generale, aldilà delle divisioni di classe, perché
per i bambini non esiste questo tipo di divisione, tutti i bambini
si devono sentire protagonisti. Per noi il
bambino è protagonista dalla nascita. Quando si nasce bisogna
piangere per essere protagonisti; nella vita siamo abituati a riconoscere
protagonismo solo a chi protesta. Anche allinterno
della famiglia è difficile vedere il protagonismo infantile,
il bambino deve piangere per attirare lattenzione degli adulti.
Si può anche vedere il protagonismo a partire dallorganizzazione
naturale del bambino, per cercare di capire come si relaziona con
gli altri. I bambini sono molto autoritari ed egoisti, escludono
dal gioco chi non ritengono bravo, e quindi esistono situazioni
conflittuali allinterno del gruppo. Bisogna
definire in modo preciso quello che riteniamo essere lobiettivo
di unazione educativa, ed individuare il protagonismo infantile
riferito alla categoria particolare dei bambini di strada. La prima
cosa che riteniamo basilare è che i bambini sono soggetti,
ma in un rapporto educativo lo è anche leducatore.
Dobbiamo parlare anche di questo, perché altrimenti corriamo
il rischio di fare quello che in Brasile si chiama "populismo
pedagogico". Quindi non dobbiamo riferirci unicamente al protagonismo
infantile, poiché il rapporto pedagogico si instaura tra
due persone, bambino ed educatore. Anzi il protagonista per noi
si manifesta nella terza persona che è il risultato del rapporto
tra queste due persone. Se noi non riconosciamo il ruolo delleducatore
ci riferiamo in termini puramente istituzionali alla questione del
protagonismo. Nella definizione di soggetto
noi prendiamo in considerazione tre aspetti. Il
primo riguarda il minore come soggetto intellettivo, quindi
in grado di raggiungere una nuova consapevolezza nei rapporti con
la realtà, ed anche sviluppare la potenzialità di
cambiare il mondo. Il secondo aspetto è
che essi sono soggetti di diritti, intesi non nel senso di
diritti prestabiliti, che già esistono, come la "Dichiarazione
universale dei diritti dei bambini" oppure lo "Statuto
dei bambini e degli adolescenti". E necessario riconoscere
ai minori la capacità di creare norme etiche proprie, anche
in conflitto con quelle dominanti. A partire dalla loro esperienza
e dalle loro modalità di aggregazione, essi possono creare
un sistema di valori, e di darsi norme allinterno del gruppo
naturale.Un esempio abbastanza classico, molto
diffuso sia in Brasile che in molte altre parti del mondo, è
il seguente. Se un bambino preso dalla polizia e vittima della repressione
denuncia un membro del gruppo, ha solo due alternative: o scappa
da unaltra parte, oppure lo ammazzano. Dal nostro punto di
vista, si tratta di un comportamento insensato, mentre per loro
ha senso, perché a partire da questa denuncia tanti altri
bambini o ragazzi sono stati portati via dalle forze repressive,
hanno patito atti di violenza, quindi allinterno del gruppo
di minori questa norma etica è molto significativa. Dunque
il protagonismo degli educatori deve interagire con questo contesto,
in questa realtà. Se non partiamo soltanto dal fatto che
loro sono lunico soggetto, se non facciamo del "populismo
pedagogico", il protagonismo delleducatore consiste nella
capacità di critica, ma anche di autocritica rispetto alle
norme sociali ed etiche dominanti. Altrimenti abbiamo un approccio
populistico, e quindi o tutto quello che il bambino fa va bene,
oppure non gli riconosciamo la capacità di essere un soggetto
in grado di esprimere un proprio sistema di valori.La
nostra società è responsabile di garantire letica
sociale, quindi la relazione e i diritti tra gli uomini. Chi ne
è il garante? La polizia? Ma la polizia picchia quando si
fa sciopero, che è un diritto dei lavoratori, oppure picchia
i bambini, oppure organizza squadroni della morte. Quindi questa
è limmagine molto chiara che i bambini hanno della
polizia. La prima possibilità delleducatore
di essere protagonista è la capacità critica verso
la società, che in questo senso significa proprio fare una
critica del contesto sociale in cui siamo inseriti. A partire da
qui è possibile anche per i bambini avere una capacità
critica rispetto al proprio comportamento. Quando si ha questa capacità
critica dalle due parti emerge un nuovo soggetto che non sono io,
non è il bambino, ma è il risultato dellinterazione
tra le due parti .La terza questione è
il fatto di considerare il bambino soggetto di desideri.
Questa magari è una delle cose più difficili da spiegare,
perché, mentre gli altri aspetti del problema sono immediatamente
tangibili, questo non lo è. Bisogna far emergere questo desiderio
a partire da un percorso educativo. Facciamo un esempio. Nel seminario
dellanno scorso ho parlato di come anche il nostro pensiero
sociale, la nostra visione rispetto ai bambini permette un cambiamento
della loro identità. Cè un senso comune dominante
e duplice. In Brasile è molto presente lidea che i
bambini di strada sono tutti delinquenti e che bisogna farli sparire.
Oppure, e anche noi siamo responsabili di questo, cè
una visione pietistica dei bambini di strada.Qual
è il risultato di questi punti di vista? Quando vai da un
bambino di strada e gli chiedi come mai è finito lì,
la prima risposta che dà è questa: "Mia madre
mi ha abbandonato, i miei genitori mi hanno abbandonato!" Il
che non è vero, perché più del 70% dei bambini
di strada mantiene un rapporto con la madre e con la famiglia, in
base a quanto risulta da una ricerca fatta da noi, ma anche da altre
indagini nel resto del Brasile. In realtà questo è
un modo per avere una nuova identità, in quanto "abbandonati".
Ma il risultato è quello di togliere di mezzo il ruolo della
famiglia, la famiglia in quel momento non cè, mentre
sono le strategie per sopravvivere che definiscono la nuova identità.Come
fare emergere il desiderio della famiglia dove questa viene in apparenza
negata? Non attraverso il dialogo verbale diretto ma attraverso
lattività educativa, a partire da una diversa forma
di linguaggio. Allinizio si propone un disegno. La prima cosa
che un bambino disegna è una casa; anche il bambino che sostiene
di essere assolutamente abbandonato, messo di fronte ad un foglio,
come prima cosa disegna una casa, perché la casa identifica
un contesto relazionale. Per un bambino abbandonato sarebbe più
semplice disegnare due linee per rappresentare un marciapiede, perché
quello rappresenta la sua casa effettiva. Se proponiamo altre attività
manuali, per esempio con largilla, poiché è
molto difficile fare una casa con largilla i bambini fanno
un tavolino, o un altro arredo domestico che in strada non ha alcun
significato. Ciò dimostra che la famiglia cè,
e le attività educative possono far emergere questo desiderio.
E un aspetto difficile su cui lavorare,
perché noi spesso partiamo dal presupposto che loro non sono
soggetti di desiderio, sono soggetti di necessità, sono persone
che dipendono dalle necessità e per questo non hanno desideri,
quindi qualunque cosa per questi bambini va bene. Quando noi pensiamo
a cosa mangiare manifestiamo un desiderio, non ci limitiamo a manifestare
una necessità. Invece ai bambini di strada non vengono riconosciuti
desideri, limportante è sfamarli. E questo è
un modo di ragionare anche nostro, degli operatori di strada. Quando
i bambini manifestano dei desideri, ad esempio nellalimentazione,
si tende a frustrarli, senza capire che questa manifestazione del
desiderio è già un risultato concreto. Invece noi
siamo abituati a ragionare e lavorare solo in termini di necessità.
Per essere protagonisti sul piano sociale,
che è la cosa più difficile, è tuttavia necessario
passare dallessere soggetto di desiderio ad essere soggetto
desiderato, creando così un rapporto nuovo con la società.
Non è sufficiente che i bambini imparino a individuare i
propri desideri, ad esempio ad abbandonare la strada e tornare a
scuola, è necessario che la scuola che ha espulso questi
ragazzi si prenda cura di loro. Quando la scuola entra nella logica
di "desiderare" questi ragazzi emerge un terzo soggetto
che si confronta con il resto della società. Lo stesso succede
con la famiglia, ed è ancora più difficile: si tratta
del cambiamento dellatteggiamento dei ragazzi rispetto alla
famiglia, ma anche di un cambiamento della famiglia nei loro confronti.
Infatti i genitori pensano di avere dei figli delinquenti quando
non vengono più a casa, in base agli stereotipi negativi
trasmessi dalla televisione, e tendono a rifiutarli. In
conclusione noi riteniamo che il protagonismo infantile vada promosso
a partire da questa dimensione, e quindi dallaspetto più
soggettivo, e solo in seguito, quando i bambini si sentono più
desiderati, si possa affrontare laspetto più specificamente
sociale.
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