Contributi
sul lavoro di strada come lavoro di comunità PROGETTO SPECIALE PERIFERIE (Eleonora Artesio, Ass. al decentramento Comune TO) |
Solitamente le periferie sono denominate in termini di differenza, ossia in base alla differenza delle opportunità rispetto alle aree centrali. Dunque "periferia" nellinterpretazione collettiva diventa sinonimo di negazione, è un contesto che è non-centro, oppure è sinonimo di esclusione e di rottura di uno sviluppo prima armonioso. Basta pensare a come sono state identificate le periferie torinesi degli anni 60, viste come espressione di un processo di urbanizzazione forzata, che rompeva una crescita che altrimenti sarebbe stata più "naturale", più continua, più quieta nel rapporto tra case e servizi. Si tratta in genere di luoghi caratterizzati da un minor grado di desiderabilità: questa è la percezione con la quale chi si pone a definire le periferie urbane tende a descriverle, sia pure con livelli più o meno sofisticati di approfondimento. Provare a ribaltare quella logica vuol dire scommettere sullidea che le periferie urbane, oltre a essere i luoghi della differenza (e qui spetta alla politica costruire percorsi che superino le diseguaglianze), sono anche i luoghi delle risorse. Ad esempio si può cominciare ad affermare che le nostre periferie urbane sono dei luoghi che hanno avuto e che hanno tuttora delle forti identità, delle identità fisiche, sono luoghi costruiti intorno a borghi, a strutture che hanno una storia, un senso per quella parte di territorio. Mi vorrei soffermare soprattutto sul discorso delle potenzialità, perché lì si sono sviluppati spazi di innovazione e sperimentazione sociale che hanno rappresentato unanticipazione delle politiche messe in atto nel resto della città, e in alcuni casi nel resto del paese. Negli anni 70 lantagonismo, la vertenzialità sociale, partivano dalle periferie urbane, in particolare dalle periferie torinesi, per legare il diritto di abitare in un quartiere con il diritto a dei servizi. Queste rivendicazioni hanno prodotto, per esempio nel campo della formazione scolastica lesperienza delle scuole a tempo pieno, nate non casualmente nei quartieri periferici, anticipando la legge di generalizzazione del tempo pieno della fine degli anni 80. In questi quartieri si sono sviluppate forme di protagonismo, capacità di organizzazione e di rappresentanza dei residenti che hanno consentito lo sviluppo di progetti fortemente innovativi nel campo dellassistenza come nella scuola. Perché oggi questa capacità di una comunità di definire collettivamente obiettivi e di aprire una vertenza alta con il potere costituito per la realizzazione dei propri obiettivi è scomparsa, almeno in quelle forme? Vi do una risposta non in quanto amministratore ma partendo dalla mia collocazione politica. Credo che la situazione attuale derivi in gran parte dal fatto che negli anni 70 esisteva la possibilità di trasferire sui luoghi del territorio e dellambiente una battaglia per i diritti che si esercitava sui luoghi di lavoro, perché cera una forte rappresentanza di classe, capace di portare su di sé i diritti di altri soggetti. Quegli operai che lavoravano nei contenitori industriali di Torino e vivevano alle Vallette avevano la forza di legare la battaglia sui tempi di lavoro, nei luoghi di lavoro, alla battaglia sul territorio per chiedere servizi per i propri figli, e contemporaneamente rappresentavano un modo di lottare contro i processi di emarginazione. Ricordo di quegli anni le battaglie per ladozione alternativa del libro di testo, con una critica alla cultura e alle forme di diffusione della cultura che non a caso nasceva alle Vallette, nel posto dove gli strumenti classici della cultura forse non erano proprietà così diffusa. E quindi necessario ricostruire anche nellimmagine esterna una percezione delle periferie come luogo delle risorse, dove per risorse si intendono fondamentalmente i residenti. Ciò ha portato a pensare ad un progetto molto difficile da descrivere. Infatti ogni volta che qualche giornalista intervista gli amministratori del Comune chiedendogli cosè il "Progetto Periferie", si aspetta che raccontiamo quanti metri quadri di verde, quante opere di urbanizzazione, quanti alloggi in costruzione verranno realizzati. Sono sempre un po in difficoltà invece a dire che forse è un processo più complicato, che ora provo a descrivere. Gli obiettivi sono sostanzialmente due:
Provare a ridare un protagonismo alle periferie significa assegnare alla competenza dellabitante il potere di determinare delle scelte rispetto, ad esempio, alla localizzazione di alcuni investimenti o alla qualità degli spazi che connotano in maniera più significativa parti del territorio. Insieme alla competenza programmatoria della politica e a quella tecnica degli urbanisti, si introduce la competenza degli abitanti. Questo dato, che sembra di assoluta banalità, in realtà rappresenta una nuova dislocazione dei poteri. Non si raccoglie solo il parere dei residenti, ma questi rappresentano uno dei soggetti che concorrono alla definizione dei progetti. Questa è una fortissima messa in discussione delle professionalità, solitamente abituate a determinare la qualità degli interventi, e questo significa anche introdurre nella progettazione degli interventi da parte della pubblica amministrazione un modo di lavorare che ha le caratteristiche dell interdisciplinarietà. Se la vocazione di un ambiente nasce dalla percezione che ne hanno i residenti, diventa immediatamente comprensibile che la rappresentanza di quei soggetti e lidentificazione di quanto quei soggetti esprimono implica il coinvolgimento, anche nelle progettazioni di tipo urbanistico, di competenze e discipline fino ad ora escluse da questo tipo di investimento. Lidea è di arrivare alla definizione di una struttura operativa che abbia al proprio interno competenze che vanno dallurbanista alleducatore di strada. La prima operazione, non semplicissima, consiste nel costruire strutture orizzontali in una pubblica amministrazione che lavora per settori verticali e non per progetti, e dove la definizione della professionalità è lo spazio in cui ci si riserva il proprio potere e il proprio ruolo. Questo significa introdurre una modalità di progettazione integrata, cioè di progettazione che fa compenetrare i diversi approcci disciplinari. La seconda parola dordine del progetto è che questa progettazione non può che essere partecipata. Quando abbiamo scritto la delibera, abbiamo sostenuto che la partecipazione è una misura dellefficacia delle politiche pubbliche, nel senso che quanto più le opzioni e le modalità dintervento sono condivise attraverso un processo partecipativo vero, tanto più è possibile che i cambiamenti introdotti da quegli investimenti siano conservati nel tempo. Se chi dovrà fruire dei beni collettivi li sente come propri, assumerà un maggiore livello di responsabilità nella loro conservazione e nella loro gestione. Si cerca di costruire un processo di trasformazione in cui ciascuno assume un ruolo e conquista un peso contrattuale nei confronti della circoscrizione, dellamministrazione pubblica e del sapere tecnico, che prima non aveva. Nel caso dellesperienza di via Arquata, zona in cui si concentrano tutti i problemi sociali ed abitativi tipici delle periferie, abbiamo provato a lavorare per un progetto che si chiama "Contratti di quartiere", e prevede una progettazione integrata e partecipata. Ciò ha voluto dire, ad esempio, che la ricerca di misure condivise dai residenti rispetto al risanamento di quel quartiere, pur avendo inevitabilmente provocato conflitti nella determinazione delle scelte duso degli spazi, ha creato relazioni tra i residenti ed i servizi sociali operanti nel quartiere. Ciò li ha rimessi in gioco, permettendo la realizzazione nel futuro prossimo di iniziative culturali collettive. La progettazione partecipata mobilita i soggetti locali con la riscoperta delle risorse degli individui e la possibilità che le mettano a disposizione, e cerca di costruire le condizioni per una cittadinanza attiva, partendo da un progetto di riqualificazione ambientale. Questa operazione ci permette la costruzione di una rete, che necessita però della creazione di nuove figure professionali che facciano da ricettori dei bisogni espressi dalla comunità e in grado di interloquire con le istituzioni, mediante il "laboratorio di quartiere". Si tratta di un termine che evoca esperienze passate e che significa provare a trasferire la struttura orizzontale di cui vi parlavo nei diversi punti del territorio, quindi con la competenza che va dal geometra al sociologo, alleducatore di strada, e che diventa il polo sensibile rispetto alla situazione locale. Si tratta così di costruire uno sviluppo di comunità, che apra anche una vertenzialità sociale nei confronti della pubblica amministrazione. Lazzardo di operazioni come queste può essere doppio: o dar adito ad aspettative che, se non soddisfatte, possono far ricadere le persone nella diffidenza, nella distanza e soprattutto nella percezione di impotenza; o creare una situazione di conflittualità sociale molto più acuta di quella che si è manifestata fino ad oggi. In ogni caso lillusione che limitando le modalità partecipative si limiti la conflittualità sociale è stata abbandonata, almeno dai politici torinesi. In realtà oggi il conflitto sociale nel territorio cè, anche se non nelle forme che ho ricordato in precedenza, ma si manifesta con la contrapposizione dinteressi diversi e a difesa di se stessi. I quartieri si muovono contro l "altro" che fa paura e che si teme possa sottrarre qualche cosa che già si possiede, si muovono per recintarsi rispetto ad un pericolo esterno. Con questo progetto noi vogliamo puntare su questa capacità di aggregazione, ma dando ad essa uno scopo in positivo, non contro qualcuno ma a favore di un cambiamento del territorio e quindi della qualità della vita. |