I disturbi del comportamento alimentare
di Manuela Grasso
1. Cosa sono i disturbi dell'alimentazione

I disturbi del comportamento alimentare sono patologie caratterizzate da un'alterazione del rapporto che una persona ha con il cibo e con il proprio corpo; insorgono prevalentemente nel corso dell'adolescenza e sono diffusi soprattutto in individui di sesso femminile.
I comportamenti tipici di tali patologie sono: il rifiuto del cibo ed il digiuno, le abbuffate (ossia l'ingestione di una gran quantità di cibo in un tempo piuttosto breve), il vomito, l'uso improprio di lassativi o diuretici, l'intensa attività fisica allo scopo di dimagrire.
Alcune persone possono presentare solo uno di questi comportamenti, mentre altre ne presentano più di uno, in momenti diversi della loro vita o anche contemporaneamente.
La presenza di tali comportamenti non è di per sé un indice di malattia: se ne trovano spesso in molte adolescenti, in persone che praticano attività sportive o nei soggetti che per motivi diversi (obesità, diabete, etc.), si mettono a dieta (Favaro, Santonastaso, 1996).
E' perciò necessario definire precisi criteri in base ai quali fare una diagnosi di disturbo alimentare: quando il peso scende sotto al 15% del peso normale e quando scompaiono le mestruazioni, viene diagnosticata una "Anoressia nervosa"; quando sono presenti almeno due episodi di abbuffata la settimana accompagnati da comportamenti che servono a controllare il peso, viene diagnosticata una "Bulimia nervosa".

2. Diffusione sociale dei disturbi dell'alimentazione

L'anoressia e la bulimia sono disturbi dello sviluppo che colpiscono la maggioranza degli individui di sesso femminile. Nei maschi tali disturbi sono piuttosto rari, ma presentano forti somiglianze con le pazienti donne per quanto riguarda la presentazione clinica (con l'ovvia eccezione dei sintomi quali l'amenorrea) (Scott, 1996).
Frequentemente però nei ragazzi sono presenti altri disturbi psichici (grave depressione, disturbi di personalità) che complicano il quadro del disturbo alimentare. L'età d'esordio dell'anoressia nervosa si può collocare fra i 12 e i 25 anni, con un picco di maggior frequenza a 14 e a 18 anni (Halmi et al.,1979).
La bulimia, invece, tende ad emergere più tardi; infatti la maggioranza dei soggetti bulimici sviluppa per la prima volta i sintomi tra i 16 e i 20 anni. Si può quindi affermare che mentre nel caso dell'anoressia le maggiori difficoltà dello sviluppo sono i problemi dell'adolescenza e quelli psicologici che accompagnano il mantenimento del peso postpuberale, nel caso della bulimia la difficoltà centrale è dovuta alla separazione dalla famiglia, all'ingresso nel mondo degli adulti e soprattutto alle minacce che queste difficoltà pongono al senso di identità personale (Sours, 1979).
Inoltre i disturbi dell'alimentazione sembrano essere molto più frequenti nelle culture occidentali più sviluppate e industrializzate poiché in tali popolazioni esiste una forte pressione sociale verso la magrezza (Favaro, Santonastaso, 1996).
Per quanto riguarda la classe sociale, l'anoressia negli anni passati ha inizialmente colpito solamente le classi agiate (fra i padri delle pazienti vi erano medici, insegnanti, avvocati e uomini d'affari) (Dally, 1969), ma oggi si distribuisce equamente tra le diverse classi sociali.
La bulimia, invece sembrerebbe più frequente nelle donne in carriera, soprattutto quelle impegnate in professioni tradizionalmente maschili, le quali sono spesso costrette a mantenere una facciata esteriore di perfezione e competenza (Favaro, Santonastaso, 1996).
La bulimia è spesso considerata un fenomeno limitato a dirigenti e professioniste, a brave studentesse di liceo e ad universitarie afflitte; tuttavia non si dovrebbe trarre una simile conclusione poiché tale sintomo più dell'anoressia, è diffuso in tutte le classi sociali, in quanto espressione di una vasta gamma di problemi psicologici.
Da questo punto di vista, la bulimia può costituire, nella stessa persona, soltanto una componente di un insieme di sintomi autodistruttivi; spesso, le donne che la "utilizzano" sono già alcoliste, con componenti sessuali coattivi, o tendenti a relazioni autolesionistiche.

3. Aspetti caratteristici dell'anoressia nervosa

L'anoressia nervosa letteralmente significa "mancanza nervosa di appetito". Si tratta di una definizione non proprio corretta perché, sebbene le persone affette da questo disturbo si rifiutino di mangiare, esse presentano sempre un intenso appetito. Il rifiuto del cibo dipende, infatti, dalla loro ricerca della magrezza e dalla necessità estrema di controllare l'alimentazione.
I comportamenti più ricorrenti tra gli individui affetti da anoressia nervosa sono seguire una dieta ferrea, fare esercizio fisico in modo eccessivo e, in alcuni casi, l'indursi il vomito ogni volta che ritengono di aver mangiato in eccesso (da pressnet.it). Questi comportamenti hanno lo scopo di mantenere un peso al di sotto di quello naturale.
I criteri più utilizzati per fare una diagnosi di Anoressia nervosa sono quelli stabiliti dall'Associazione Psichiatrica Americana (APA 2000):

  • Una perdita di peso rilevante (più del 25% del peso considerato normale per
    l'età, il peso e l'altezza);
  • Alterazione del modo di vivere il proprio corpo ed un'eccessiva importanza
    data alla propria figura ed al proprio peso nel determinare la stima di sé;
  • Nelle femmine, assenza di almeno tre cicli mestruali consecutivi, quando non vi siano altre ragioni potenzialmente responsabili (amenorrea primaria o secondaria). (Una donna è considerata amenorroica se i suoi cicli si manifestano solo a seguito di somministrazione di ormoni, per es. estrogeni);
  • Intensa paura di acquistare peso o di diventare grassi, anche quando si è
    sottopeso.

Si distinguono due forme di Anoressia:

  • L'anoressia "restrittiva", vale a dire quella forma in cui il dimagrimento è
    dovuto al digiuno ed al rifiuto del cibo e, talvolta, ad un eccessivo esercizio
    fisico;
  • L'anoressia con bulimia o con comportamenti purgativi, vale a dire quelle
    forme in cui sono presenti abbuffate e/o comportamenti che servono, assieme
    al digiuno, a diminuire il peso corporeo: vomito, abuso di lassativi e/o
    diuretici.

Queste due forme tendono a distinguersi per molte caratteristiche psicologiche: mentre le ragazze con anoressia restrittiva tendono a negare la gravità del disturbo e l'evidenza del loro comportamento di rifiuto, affermando spesso di non avere fame, di non riuscire a mangiare e negando qualsiasi problema o sofferenza psicologica, nelle ragazze anoressiche con bulimia o comportamenti purgativi la sofferenza psicologica è più evidente e si manifesta frequentemente come depressione, irritabilità e talvolta anche con la messa in atto di comportamenti impulsivi (Favaro, Santonastaso, 1996).

4. Aspetti caratteristici della bulimia nervosa

La bulimia nervosa, che letteralmente significa "fame da bue", è caratterizzata da una forte preoccupazione per il peso e le forme del corpo, dieta ferrea, abbuffate e vomito autoindotto.
Sembra che da bulimia nervosa siano colpite con più frequenza individui con determinate caratteristiche di personalità: scarso concetto di sé, elevati livelli di perfezionismo, pensiero tutto o nulla e difficoltà a controllare gli impulsi. Il disturbo inizia in genere dopo eventi stressanti minaccianti l'autostima (fallimenti scolastici, problemi sentimentali, difficoltà interpersonali, commenti negativi
sull'aspetto fisico ecc.).
Poiché gli individui a rischio di sviluppare bulimia nervosa sono molto sensibili alla pressione culturale che influisce sul concetto di magrezza, è lecito ipotizzare che cerchino di far fronte a tali difficoltà concentrandosi sul corpo e perseguendo la magrezza stessa.
La conseguenza dell'estrema preoccupazione per il peso e la forma del corpo si traduce nella ricerca del dimagrimento attraverso una dieta "ferrea"; quest'ultima è la maggior responsabile della comparsa delle abbuffate. Dopo l'abbuffata insorge rapidamente la paura di aumentare di peso, che può essere
così forte da portare a mettere in atto dei comportamenti di compenso (vomito autoindotto, uso improprio di lassativi, digiuno, esercizio fisico eccessivo) (da pressnet.it). Secondo l'Associazione Psichiatrica Americana, i criteri per fare una diagnosi di bulimia nervosa sono (APA, 2000):

  • presenza di abbuffate almeno due volte la settimana;
  • presenza di comportamenti finalizzati al controllo del peso: digiuno, vomito autoindotto, uso improprio di lassativi e/o diuretici, intensa attività fisica;
  • alterazione del modo di vivere il proprio corpo (insoddisfazione per il proprio aspetto, vergogna nel confrontarsi con gli altri, scarsa familiarità con il proprio corpo) ed un'eccessiva importanza data alla propria figura ed al proprio peso nel determinare la stima di sé.

Si distinguono due forme di bulimia:

  • bulimia nervosa con comportamento purgativo, vale a dire quella forma in cui
    il controllo del peso viene ottenuto mediante il vomito autoindotto e l'abuso di
    lassativi e/o diuretici;
  • bulimia non purgativa, vale a dire quella forma in cui il controllo del peso si
    ottiene solo con il digiuno e l'attività fisica.

Esistono alcune differenze fra le due forme descritte, poiché alla bulimia con comportamento purgativo, sono fortemente associati sintomi quali la depressione, l'ansia e l'impulsività (Favaro, Santonastaso, 1996).

5. Cause dei disturbi del comportamento alimentare

Tutti gli studiosi sono concordi nell'affermare che per spiegare le origini dei disturbi dell'alimentazione sia necessario ricorrere ad un'ottica "multifattoriale". Si distinguono tre tipi di fattori: i fattori "predisponenti", cioè quei fattori che, quando presenti, favoriscono l'influenza delle altre cause; i fattori "scatenanti", ossia quegli eventi che possono provocare l'insorgenza del disturbo in persone predisposte; i fattori "perpetuanti" o di mantenimento, che permettono al disturbo di continuare ed
automantenersi nel tempo e, talvolta, diventare cronico (Favaro, Santonastaso, 1996).

I disturbi alimentari si sviluppano seguendo tre fasi principali:

  • nella prima fase, il soggetto sviluppa una "vulnerabilità", ovvero una predisposizione allo sviluppo di un disturbo alimentare, il più delle volte attraverso l'attuazione di comportamenti "precursori" dei disturbi alimentari, come il mettersi a dieta o l'iperattività;
    I fattori che influenzano questa prima fase possono essere la presenza di alcune caratteristiche di personalità (perfezionismo, scarsa autostima), la presenza di disturbi psicologici (depressione, abuso di sostanze), la presenza di soprappeso e quindi il ricorso frequente alla dieta, l'isolamento sociale, una predisposizione familiare allo sviluppo di depressione o disturbi alimentari;
  • nella seconda fase, insorge il disturbo alimentare, in seguito ad uno o più fattori precipitanti, che possono essere una malattia o la perdita di un genitore o di una persona cara, una separazione, un'esperienza traumatica (aborto, abusi fisici e sessuali), ecc.;
  • nella terza fase, il disturbo può mantenersi e stabilizzarsi oppure risolversi. Alcuni fattori possono influenzare il suo mantenimento e tra questi sono importanti i fattori biologici, la reazione della famiglia e dell'ambiente sociale all'insorgenza della malattia, l'isolamento sociale, le caratteristiche
    psicologiche del soggetto (incapacità a gestire i conflitti, eccessiva dipendenza dai genitori).

6. La terapia dei disturbi dell'alimentazione

Sono vari gli approcci terapeutici disponibili nel trattamento dei disturbi dell'alimentazione e i più efficaci sono: la terapia familiare, la terapia cognitivo-comportamentale e la terapia interpersonale.
Il lavoro da parte del Mandsley Hospital ha documentato il valore della terapia familiare soprattutto per le giovani pazienti affette da anoressia nervosa (Russell et al., 1992).
Il merito principale della terapia familiare è quello di aver allargato il campo d'interesse dall'individuo al contesto familiare e, quindi, di aver coinvolto i genitori nel trattamento.
Questo modello presuppone che i disturbi psichici siano l'espressione di un disturbo della comunicazione all'interno della famiglia.
La terapia quindi richiede la partecipazione di tutto il nucleo familiare e consiste nel cercare di modificare i modelli di comunicazione che non funzionano. La terapia familiare sembra essere più indicata nelle persone giovani per le quali i rapporti con la famiglia sono particolarmente importanti; si ritiene invece che siano controindicazioni a questo tipo di trattamento la separazione dei genitori, la presenza di una malattia grave nei genitori (fisica o psichiatrica), la presenza di rapporti molto
negativi tra i componenti della famiglia (Favaro, Santonastaso, 1996).
Per le pazienti anoressiche più anziane e per quelle affette da bulimia nervosa sembra essere più indicata la terapia cognitivo-comportamentale. Obiettivo della terapia cognitivo-comportamentale è quello di modificare i comportamenti patologici e di riorganizzare i processi cognitivi e le convinzioni
distorte che influenzano tali comportamenti.
La convinzione fondamentale delle ragazze anoressiche e bulimiche è la "paura di ingrassare", la quale determina comportamenti quali il digiuno, il vomito e l'abuso di lassativi (Favaro, Santonastaso, 1996).
Inoltre, nella cura dei disturbi alimentari sembra essere molto efficace anche la terapia interpersonale che è strettamente connessa a quella familiare. Anche in questo caso, il principio fondamentale è che il disturbo dell'alimentazione sia associato a disturbate relazioni interpersonali. La differenza sta nel fatto che, con questo approccio si lavora prima a livello individuale. L'obiettivo è quello di sviluppare rapporti più soddisfacenti all'interno della famiglia così come con l'ambiente esterno (Favaro, Santonastaso, 1996).
Recentemente, la maggior parte degli studiosi in Italia e all'estero ha affermato che l'approccio più completo e più efficace nel trattamento dei disturbi dell'alimentazione è quello multidisciplinare (psichiatria, psicologia, riabilitazione nutrizionale, mediazione interna etc.) ed integrato (un trattamento in cui le diverse discipline coinvolte si integrino in un unico progetto terapeutico che tenga conto delle
differenze individuali e delle varie fasi della malattia).
La "cura migliore" dei disturbi alimentari è rappresentata quindi da un approccio multidisciplinare ed integrato, con il quale si vuole arrivare a comprendere i diversi bisogni (biologici e psicologici) della paziente e fornire una risposta adeguata (Favaro, Santonastaso, 1996).
Il trattamento della bulimia e dell'anoressia, non può essere stereotipato poiché ogni paziente è un caso unico per questo motivo si rende necessario l'intervento di consulenza psicologica.
Lo psicologo dopo un'attenta valutazione diagnostica sarà in grado di proporre l'iter terapeutico o di sostegno più adatto alle esigenze di ogni singolo e specifico caso.

Riferimenti Bibliografici
APA (2000) Practice Guideline for the treatment of patients with eating disorders (revision). In American Journal of Psychiatry, 157, suppl. 1, 1-39.
DALLY, P. (1969) Anorexia nervosa. William Heinemann Books, London.
FAVARO, A., SANTONASTASO, P. (1996) Anoressia e bulimia, Positive Press, Verona.
HALMI, K.A., CASPER, R.C., ECKERT, E.D., et al. (1979) Inique features associated with the age of onset of anorexia nervosa. Psychiatric Research,I, 209- 215.
RUSSELL, G.F.M., DARE, C., EISLER, I., LEGRANDE, D.(1992) Controlled trials of family treatments in anorexia nervosa and bulimia nervosa. American Psychiatric Press. Washington (USA), 329-340.
SCOTT, D.W. (1986) Anorexia nervosa in the male: a review of clinical epidemiological and biological findings. International Journal of Eating Disorders, 5, 799-820.
SOURS, J.A. (1979) Starving to Death in a Sea of objects. Jason Aronson, New York.

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