1. Cosa
sono i disturbi dell'alimentazione
I disturbi del comportamento alimentare sono patologie caratterizzate
da un'alterazione del rapporto che una persona ha con il cibo e con
il proprio corpo; insorgono prevalentemente nel corso dell'adolescenza
e sono diffusi soprattutto in individui di sesso femminile.
I comportamenti tipici di tali patologie sono: il rifiuto del cibo
ed il digiuno, le abbuffate (ossia l'ingestione di una gran quantità
di cibo in un tempo piuttosto breve), il vomito, l'uso improprio di
lassativi o diuretici, l'intensa attività fisica allo scopo
di dimagrire.
Alcune persone possono presentare solo uno di questi comportamenti,
mentre altre ne presentano più di uno, in momenti diversi della
loro vita o anche contemporaneamente.
La presenza di tali comportamenti non è di per sé un
indice di malattia: se ne trovano spesso in molte adolescenti, in
persone che praticano attività sportive o nei soggetti che
per motivi diversi (obesità, diabete, etc.), si mettono a dieta
(Favaro, Santonastaso, 1996).
E' perciò necessario definire precisi criteri in base ai quali
fare una diagnosi di disturbo alimentare: quando il peso scende sotto
al 15% del peso normale e quando scompaiono le mestruazioni, viene
diagnosticata una "Anoressia nervosa"; quando sono presenti
almeno due episodi di abbuffata la settimana accompagnati da comportamenti
che servono a controllare il peso, viene diagnosticata una "Bulimia
nervosa".
2. Diffusione sociale dei disturbi dell'alimentazione
L'anoressia e la bulimia sono disturbi dello sviluppo che colpiscono
la maggioranza degli individui di sesso femminile. Nei maschi tali
disturbi sono piuttosto rari, ma presentano forti somiglianze con
le pazienti donne per quanto riguarda la presentazione clinica (con
l'ovvia eccezione dei sintomi quali l'amenorrea) (Scott, 1996).
Frequentemente però nei ragazzi sono presenti altri disturbi
psichici (grave depressione, disturbi di personalità) che complicano
il quadro del disturbo alimentare. L'età d'esordio dell'anoressia
nervosa si può collocare fra i 12 e i 25 anni, con un picco
di maggior frequenza a 14 e a 18 anni (Halmi et al.,1979).
La bulimia, invece, tende ad emergere più tardi; infatti la
maggioranza dei soggetti bulimici sviluppa per la prima volta i sintomi
tra i 16 e i 20 anni. Si può quindi affermare che mentre nel
caso dell'anoressia le maggiori difficoltà dello sviluppo sono
i problemi dell'adolescenza e quelli psicologici che accompagnano
il mantenimento del peso postpuberale, nel caso della bulimia la difficoltà
centrale è dovuta alla separazione dalla famiglia, all'ingresso
nel mondo degli adulti e soprattutto alle minacce che queste difficoltà
pongono al senso di identità personale (Sours, 1979).
Inoltre i disturbi dell'alimentazione sembrano essere molto più
frequenti nelle culture occidentali più sviluppate e industrializzate
poiché in tali popolazioni esiste una forte pressione sociale
verso la magrezza (Favaro, Santonastaso, 1996).
Per quanto riguarda la classe sociale, l'anoressia negli anni passati
ha inizialmente colpito solamente le classi agiate (fra i padri delle
pazienti vi erano medici, insegnanti, avvocati e uomini d'affari)
(Dally, 1969), ma oggi si distribuisce equamente tra le diverse classi
sociali.
La bulimia, invece sembrerebbe più frequente nelle donne in
carriera, soprattutto quelle impegnate in professioni tradizionalmente
maschili, le quali sono spesso costrette a mantenere una facciata
esteriore di perfezione e competenza (Favaro, Santonastaso, 1996).
La bulimia è spesso considerata un fenomeno limitato a dirigenti
e professioniste, a brave studentesse di liceo e ad universitarie
afflitte; tuttavia non si dovrebbe trarre una simile conclusione poiché
tale sintomo più dell'anoressia, è diffuso in tutte
le classi sociali, in quanto espressione di una vasta gamma di problemi
psicologici.
Da questo punto di vista, la bulimia può costituire, nella
stessa persona, soltanto una componente di un insieme di sintomi autodistruttivi;
spesso, le donne che la "utilizzano" sono già alcoliste,
con componenti sessuali coattivi, o tendenti a relazioni autolesionistiche.
3. Aspetti caratteristici dell'anoressia nervosa
L'anoressia nervosa letteralmente significa "mancanza nervosa
di appetito". Si tratta di una definizione non proprio corretta
perché, sebbene le persone affette da questo disturbo si rifiutino
di mangiare, esse presentano sempre un intenso appetito. Il rifiuto
del cibo dipende, infatti, dalla loro ricerca della magrezza e dalla
necessità estrema di controllare l'alimentazione.
I comportamenti più ricorrenti tra gli individui affetti da
anoressia nervosa sono seguire una dieta ferrea, fare esercizio fisico
in modo eccessivo e, in alcuni casi, l'indursi il vomito ogni volta
che ritengono di aver mangiato in eccesso (da pressnet.it). Questi
comportamenti hanno lo scopo di mantenere un peso al di sotto di quello
naturale.
I criteri più utilizzati per fare una diagnosi di Anoressia
nervosa sono quelli stabiliti dall'Associazione Psichiatrica Americana
(APA 2000):
- Una perdita di peso rilevante (più del 25% del peso considerato
normale per
l'età, il peso e l'altezza);
- Alterazione del modo di vivere il proprio corpo ed un'eccessiva
importanza
data alla propria figura ed al proprio peso nel determinare la stima
di sé;
- Nelle femmine, assenza di almeno tre cicli mestruali consecutivi,
quando non vi siano altre ragioni potenzialmente responsabili (amenorrea
primaria o secondaria). (Una donna è considerata amenorroica
se i suoi cicli si manifestano solo a seguito di somministrazione
di ormoni, per es. estrogeni);
- Intensa paura di acquistare peso o di diventare grassi, anche
quando si è
sottopeso.
Si distinguono due forme di Anoressia:
- L'anoressia "restrittiva", vale a dire quella forma
in cui il dimagrimento è
dovuto al digiuno ed al rifiuto del cibo e, talvolta, ad un eccessivo
esercizio
fisico;
- L'anoressia con bulimia o con comportamenti purgativi, vale a
dire quelle
forme in cui sono presenti abbuffate e/o comportamenti che servono,
assieme
al digiuno, a diminuire il peso corporeo: vomito, abuso di lassativi
e/o
diuretici.
Queste due forme tendono a distinguersi per molte caratteristiche
psicologiche: mentre le ragazze con anoressia restrittiva tendono
a negare la gravità del disturbo e l'evidenza del loro comportamento
di rifiuto, affermando spesso di non avere fame, di non riuscire a
mangiare e negando qualsiasi problema o sofferenza psicologica, nelle
ragazze anoressiche con bulimia o comportamenti purgativi la sofferenza
psicologica è più evidente e si manifesta frequentemente
come depressione, irritabilità e talvolta anche con la messa
in atto di comportamenti impulsivi (Favaro, Santonastaso, 1996).
4. Aspetti caratteristici della bulimia nervosa
La bulimia nervosa, che letteralmente significa "fame da bue",
è caratterizzata da una forte preoccupazione per il peso e
le forme del corpo, dieta ferrea, abbuffate e vomito autoindotto.
Sembra che da bulimia nervosa siano colpite con più frequenza
individui con determinate caratteristiche di personalità: scarso
concetto di sé, elevati livelli di perfezionismo, pensiero
tutto o nulla e difficoltà a controllare gli impulsi. Il disturbo
inizia in genere dopo eventi stressanti minaccianti l'autostima (fallimenti
scolastici, problemi sentimentali, difficoltà interpersonali,
commenti negativi
sull'aspetto fisico ecc.).
Poiché gli individui a rischio di sviluppare bulimia nervosa
sono molto sensibili alla pressione culturale che influisce sul concetto
di magrezza, è lecito ipotizzare che cerchino di far fronte
a tali difficoltà concentrandosi sul corpo e perseguendo la
magrezza stessa.
La conseguenza dell'estrema preoccupazione per il peso e la forma
del corpo si traduce nella ricerca del dimagrimento attraverso una
dieta "ferrea"; quest'ultima è la maggior responsabile
della comparsa delle abbuffate. Dopo l'abbuffata insorge rapidamente
la paura di aumentare di peso, che può essere
così forte da portare a mettere in atto dei comportamenti di
compenso (vomito autoindotto, uso improprio di lassativi, digiuno,
esercizio fisico eccessivo) (da pressnet.it). Secondo l'Associazione
Psichiatrica Americana, i criteri per fare una diagnosi di bulimia
nervosa sono (APA, 2000):
- presenza di abbuffate almeno due volte la settimana;
- presenza di comportamenti finalizzati al controllo del peso: digiuno,
vomito autoindotto, uso improprio di lassativi e/o diuretici, intensa
attività fisica;
- alterazione del modo di vivere il proprio corpo (insoddisfazione
per il proprio aspetto, vergogna nel confrontarsi con gli altri,
scarsa familiarità con il proprio corpo) ed un'eccessiva
importanza data alla propria figura ed al proprio peso nel determinare
la stima di sé.
Si distinguono due forme di bulimia:
- bulimia nervosa con comportamento purgativo, vale a dire quella
forma in cui
il controllo del peso viene ottenuto mediante il vomito autoindotto
e l'abuso di
lassativi e/o diuretici;
- bulimia non purgativa, vale a dire quella forma in cui il controllo
del peso si
ottiene solo con il digiuno e l'attività fisica.
Esistono alcune differenze fra le due forme descritte, poiché
alla bulimia con comportamento purgativo, sono fortemente associati
sintomi quali la depressione, l'ansia e l'impulsività (Favaro,
Santonastaso, 1996).
5. Cause dei disturbi del comportamento alimentare
Tutti gli studiosi sono concordi nell'affermare che per spiegare le
origini dei disturbi dell'alimentazione sia necessario ricorrere ad
un'ottica "multifattoriale". Si distinguono tre tipi di
fattori: i fattori "predisponenti", cioè quei fattori
che, quando presenti, favoriscono l'influenza delle altre cause; i
fattori "scatenanti", ossia quegli eventi che possono provocare
l'insorgenza del disturbo in persone predisposte; i fattori "perpetuanti"
o di mantenimento, che permettono al disturbo di continuare ed
automantenersi nel tempo e, talvolta, diventare cronico (Favaro, Santonastaso,
1996).
I disturbi alimentari si sviluppano seguendo tre fasi principali:
- nella prima fase, il soggetto sviluppa una "vulnerabilità",
ovvero una predisposizione allo sviluppo di un disturbo alimentare,
il più delle volte attraverso l'attuazione di comportamenti
"precursori" dei disturbi alimentari, come il mettersi
a dieta o l'iperattività;
I fattori che influenzano questa prima fase possono essere la presenza
di alcune caratteristiche di personalità (perfezionismo,
scarsa autostima), la presenza di disturbi psicologici (depressione,
abuso di sostanze), la presenza di soprappeso e quindi il ricorso
frequente alla dieta, l'isolamento sociale, una predisposizione
familiare allo sviluppo di depressione o disturbi alimentari;
- nella seconda fase, insorge il disturbo alimentare, in seguito
ad uno o più fattori precipitanti, che possono essere una
malattia o la perdita di un genitore o di una persona cara, una
separazione, un'esperienza traumatica (aborto, abusi fisici e sessuali),
ecc.;
- nella terza fase, il disturbo può mantenersi e stabilizzarsi
oppure risolversi. Alcuni fattori possono influenzare il suo mantenimento
e tra questi sono importanti i fattori biologici, la reazione della
famiglia e dell'ambiente sociale all'insorgenza della malattia,
l'isolamento sociale, le caratteristiche
psicologiche del soggetto (incapacità a gestire i conflitti,
eccessiva dipendenza dai genitori).
6. La terapia dei disturbi dell'alimentazione
Sono vari gli approcci terapeutici disponibili nel trattamento dei
disturbi dell'alimentazione e i più efficaci sono: la terapia
familiare, la terapia cognitivo-comportamentale e la terapia interpersonale.
Il lavoro da parte del Mandsley Hospital ha documentato il valore
della terapia familiare soprattutto per le giovani pazienti affette
da anoressia nervosa (Russell et al., 1992).
Il merito principale della terapia familiare è quello di aver
allargato il campo d'interesse dall'individuo al contesto familiare
e, quindi, di aver coinvolto i genitori nel trattamento.
Questo modello presuppone che i disturbi psichici siano l'espressione
di un disturbo della comunicazione all'interno della famiglia.
La terapia quindi richiede la partecipazione di tutto il nucleo familiare
e consiste nel cercare di modificare i modelli di comunicazione che
non funzionano. La terapia familiare sembra essere più indicata
nelle persone giovani per le quali i rapporti con la famiglia sono
particolarmente importanti; si ritiene invece che siano controindicazioni
a questo tipo di trattamento la separazione dei genitori, la presenza
di una malattia grave nei genitori (fisica o psichiatrica), la presenza
di rapporti molto
negativi tra i componenti della famiglia (Favaro, Santonastaso, 1996).
Per le pazienti anoressiche più anziane e per quelle affette
da bulimia nervosa sembra essere più indicata la terapia cognitivo-comportamentale.
Obiettivo della terapia cognitivo-comportamentale è quello
di modificare i comportamenti patologici e di riorganizzare i processi
cognitivi e le convinzioni
distorte che influenzano tali comportamenti.
La convinzione fondamentale delle ragazze anoressiche e bulimiche
è la "paura di ingrassare", la quale determina comportamenti
quali il digiuno, il vomito e l'abuso di lassativi (Favaro, Santonastaso,
1996).
Inoltre, nella cura dei disturbi alimentari sembra essere molto efficace
anche la terapia interpersonale che è strettamente connessa
a quella familiare. Anche in questo caso, il principio fondamentale
è che il disturbo dell'alimentazione sia associato a disturbate
relazioni interpersonali. La differenza sta nel fatto che, con questo
approccio si lavora prima a livello individuale. L'obiettivo è
quello di sviluppare rapporti più soddisfacenti all'interno
della famiglia così come con l'ambiente esterno (Favaro, Santonastaso,
1996).
Recentemente, la maggior parte degli studiosi in Italia e all'estero
ha affermato che l'approccio più completo e più efficace
nel trattamento dei disturbi dell'alimentazione è quello multidisciplinare
(psichiatria, psicologia, riabilitazione nutrizionale, mediazione
interna etc.) ed integrato (un trattamento in cui le diverse discipline
coinvolte si integrino in un unico progetto terapeutico che tenga
conto delle
differenze individuali e delle varie fasi della malattia).
La "cura migliore" dei disturbi alimentari è rappresentata
quindi da un approccio multidisciplinare ed integrato, con il quale
si vuole arrivare a comprendere i diversi bisogni (biologici e psicologici)
della paziente e fornire una risposta adeguata (Favaro, Santonastaso,
1996).
Il trattamento della bulimia e dell'anoressia, non può essere
stereotipato poiché ogni paziente è un caso unico per
questo motivo si rende necessario l'intervento di consulenza psicologica.
Lo psicologo dopo un'attenta valutazione diagnostica sarà in
grado di proporre l'iter terapeutico o di sostegno più adatto
alle esigenze di ogni singolo e specifico caso.
Riferimenti Bibliografici
APA (2000) Practice
Guideline for the treatment of patients with eating disorders (revision).
In American Journal of Psychiatry, 157, suppl. 1, 1-39.
DALLY, P. (1969) Anorexia nervosa. William Heinemann Books, London.
FAVARO, A., SANTONASTASO, P. (1996) Anoressia e bulimia, Positive
Press, Verona.
HALMI, K.A., CASPER, R.C., ECKERT, E.D., et al. (1979) Inique features
associated with the age of onset of anorexia nervosa. Psychiatric
Research,I, 209- 215.
RUSSELL, G.F.M., DARE, C., EISLER, I., LEGRANDE, D.(1992) Controlled
trials of family treatments in anorexia nervosa and bulimia nervosa.
American Psychiatric Press. Washington (USA), 329-340.
SCOTT, D.W. (1986) Anorexia nervosa in the male: a review of clinical
epidemiological and biological findings. International Journal of
Eating Disorders, 5, 799-820.
SOURS, J.A. (1979) Starving to Death in a Sea of objects. Jason Aronson,
New York.
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