Intervento preparato per il Convegno mai realizzato
TU CHIAMALE SE VUOI…..EMOZIONI, 11 Settembre 1999 / Napoli : La città delle emozioni
La storia di Martina Montorsi
(G.Contessa)
Parte 1 - Cronaca di una vita

Martina Montorsi è una donna di 36 anni, dai grandi occhi scuri e il corpo da adolescente. E’ nata nel 1963 ed aveva 14 anni nel mitico 77, l’ultimo anno nel quale ancora si credeva nella rivoluzione. Viene da una famiglia molto unita e molto cattolica, con un padre funzionario di assicurazioni, una madre casalinga, un fratello pubblicitario. Ragazza inquieta, Martina, fa volontariato in Parrocchia e manifesta in piazza contro quasi tutto. A 18 anni progetta di vivere in una Comunità di ispirazione cattolica e si diploma come assistente sociale. Inizia a lavorare a tempo pieno come educatrice e  intanto studia per laurearsi. Ha una vita sentimentale normale, con fidanzato ed amici numerosi.  A 29 anni si laurea ed inizia quasi subito a insegnare. Ha imparato a credere nell’impegno educativo, nel lavoro serio, nel cambiamento dell’istituzione. E’ sposata con un  dirigente, ma ancora senza figli.

Parte 2 - Cronaca di una giornata.

EccoVi alcuni brani dal suo diario quotidiano, del giorno 10 maggio 1999.

Ore 7,30

Sveglia. Lui dorme ancora ed io ho fretta. Di andare o di scappare? Quando gli dirò che sono stufa del grigiore, delle abitudini, del sabato sera con gli amici, della domenica alla partita ? Mi trucco e vedo i segni del tempo. Perché nessuno vuole parlare dell’invecchiare e condividere la paura, attenuandola?

Ore 8,15

Ho attraversato l’atrio e il cortile della nostra casa, e poi un pezzo di Quartiere. Nessun saluto. L’estraneità è la condizione di tutti; la distanza la regola. Ho preso il bus, in una calca di corpi sudati, silenziosi, quasi torvi, insofferenti della moltitudine cui nessuno sa rinunciare.

Ore 8,45

Sono arrivata a scuola e in sala riunioni trova la Bardazzi, il Settimini, e la Rincato. La discussione è il rinnovo del contratto, come sempre. Un po’ di pettegolezzo sulla Gusmini e il Meriggi, che sembrano fidanzati, pur essendo sposati con altri. Qualche insulto ai politici sembra fare da viatico alla giornata, ma poi l’umore si rallegra al pensiero delle vacanze imminenti.

Ore 9,00

In aula i 20 faccini sembrano già stanchi. Faccio leggere un brano dell’antologia. Rumori. Sguardi all’estate che arriva nel giardino.  Minghi è sempre irritante, col suo sguardo critico. Perotti non la smette mai di torturare Bianchini. Rispondo a una domanda con la solita formula rassicurante. Per la prossima volta studiate da pagina 106 a pagina 120. Campana.

Ore 10

Un’ora buca. Non voglio passarla nell’aula docenti per non sentire di nuovo dibattiti sul contratto, pettegolezzi sugli amori del Collegio, o magari il Preside che mi chiede per la quinta volta di firmare il Modulo 32 bis. Faccio 2 passi e non vedo che estranei, tesi e senza sorriso. In fondo alla strada due ragazzini, certo in fuga da scuola, si baciano. Tre o quattro adolescenti hanno imbastito nei giardinetti un piccolo torneo di calcio. Da una finestra aperta arriva il suono di una tv accesa. Fumo nervosamente, come se  il tabacco giungesse a  riempire una mancanza.

Ore 11

Riunione del Comitato per  non ricordo più quale obiettivo scolastico. Tutti i Comitati sono uguali, qualsiasi sia il loro nome e compito. Tutti arrivano in ritardo e nell’attesa del plenum si parla del contratto, e degli amori scolastici. Qualcuno azzarda una divagazione sulla cronaca, ma un coro si alza –non parliamo di cose noiose, brutte, tristi- parliamo di tv: cosa guardate stasera? Dal muro occhieggiano manifesti su ogni tipo di campagna, raccolta di fondi, festa di qualcosa. Si inizia. Lunga prolusione del coordinatore, mentre i più pensano al pranzo, all’auto in sosta vietata, alla visita dal dentista fissata per le 15. Attacca il De Beni, che pone squisite questioni di forma e procedura; segue a ruota la Filippi che demolisce l’impostazione del coordinatore con un raffinato distinguo ideologico. Sulla mediazione del Bitti – ripensiamoci sopra- la riunione si scioglie.

Ore 12

Incontro coi genitori. La madre del Bitti è separata, e si sente sempre in colpa. Il padre di Forti invece è preoccupato per la carriera del figlio: non mi ascolta, mi arringa. Suo figlio non riesce quasi a parlare e lui mi domanda se anch’io lo vedo come possibile operatore di Borsa. Filippetti è una donna appariscente: in dieci minuti mi racconta tutti i problemi suoi e del vicinato, oltre che di quanto è brava la figlia maggiore che forse ha ottenuto un’audizione alla tv locale. Il figlio minore sarà bocciato e lei dice solo che se lo merita.

Ore 13

Ritorno verso casa. Scorsa al giornale. La Borsa sale, gli immigrati sono stati fermati, il Ministro propone una soluzione definitiva al problema, la nota attrice si è rifatta il seno, la squadra di calcio locale va in B. Un libro? Un disco? Meglio dare una pulitina al pollo per stasera. Telefonare? A chi? Non alla mamma, che mi chiede solo come va con lui. Non all’amica, che mi parla solo dei suoi due figli o del parrucchiere. No, nemmeno al Terzi, che potrebbe pensare che accetto il suo invito a fare sesso.

Ore 16

La casa ora è silenziosa. Affollata solo di una moltitudine di attese, rimpianti, nostalgie, silenzi. Lui arriverà alle 18 puntuale e gentile. Mi chiederà com’è andata oggi. Mi chiederà cosa si mangia stasera. Mi chiederà cosa c’è in tv. Mi racconterà del rinnovo del contratto. Degli amori aziendali di primavera………Forse…….forse….

IL DIARIO S’INTERROMPE QUI PERCHE’ MARTINA SI E’ SUICIDATA PRESUMIBILMENTE ALLE ORE 17 DEL 10 APRILE 1999. IL MARITO L’HA TROVATA SUL LETTO IN UN BAGNO DI SANGUE, MORTA, ALLE ORE 18.

Parte 3 -  I  perché

Possiamo considerare Maria una diversa o piuttosto dobbiamo vederla come una di noi, una qualunque, una anonima qualsiasi cittadina italiana giunta a metà della sua vita? Come si spiega la storia di Maria ? Vediamo qualche ipotesi.

·        Ipotesi 1 - Martina è una psicolabile, incapace di adattarsi al quotidiano

·        Ipotesi 2 - Martina non ha relazioni solidali, una famiglia castrante e un marito freddo

·        Ipotesi 3 - Martina è una vittima della condizione alienante metropolitana 

Tutte queste ipotesi, abitualmente leggibili sui quotidiani, sono verisimili, ma non superano il vaglio logico.

La prima è la più subdola, perché presenta un imperativo (adattarsi al quotidiano) come assiomatico e poi deduce la psicolabilità dal mancato adattamento all’imperativo. Resta da dimostrare che l’adattamento al quotidiano, descritto nella storia, sia prova di forza psichica. Se non si riuscisse a farlo, potremmo rovesciare l’ipotesi e affermare semmai che il suicidio è attribuibile al basso livello di labilità, plasmabilità, sudditanza di Martina verso un quotidiano che solo gli psicolabili accettano.  La seconda è insostenibile perché nega l’evidenza di milioni di soggetti con scarse o nulle relazioni solidali, famiglie castranti o assenti o fusionali, partners distanti, freddi, o anche ostili, che purtuttavia non si suicidano. La seconda ipotesi presuppone che, siccome milioni di soggetti non si suicidano, ciò significa che dispongono di reti di relazioni nutritive, famiglie supportive e partners affettivamente caldissimi: il che non appare tanto comune. La terza ipotesi è dello stesso segno della seconda. Non spiega come mai milioni di soggetti che vivono la stessa alienazione metropolitana non si suicidano, e ipotizza condizioni non metropolitane (dove?) che non sarebbero alienanti.

Parte 4 -  La quarta ipotesi: emozioni, commozione e compassione.

La quarta ipotesi che facciamo qui, attiene al senso e alle emozioni. Senso è termine polisemico. Sta per significato (che senso ha questa frase?), ma anche per valore (che senso aveva la vita per Martina?). Ma senso contiene anche elementi di futuro, come direzione, progetto, senso di marcia, senso unico (verso dove andava Martina?). E però senso indica anche i sensi fisici, le sensazioni, i sentimenti, il sentire: i serpenti mi fanno senso, sento che mi ami, ho un senso di appartenenza, provo un senso di rimorso, avere buon senso o senso comune, ecc.. Significato, valore, futuro e sentire sono le parole chiave per capire Martina. E quale elemento di questa costellazione semantica viene prima? Quale è la radice, l’origine, il causante degli altri ? Il senso come sentire, come emozione, cioè come movimento dell’anima è il motore del significato, del valore e del futuro.

Noi attribuiamo significato alle cose, decodifichiamo i segni, attraverso il filtro della nostra soggettività: per cui nulla significa qualcosa se non per noi, dal nostro punto di vista, come eco del nostro groviglio intimo, o come risultante dal tumulto della nostra assemblea interna. Noi assegniamo valore, in conseguenza degli effetti che le cose hanno sulla nostra soggettività: valutiamo molto ciò che soddisfa i nostri bisogni e poco ciò che è estraneo ad essi. Noi pensiamo al futuro, accogliamo i sogni, facciamo progetti quando la nostra soggettività è libera, plurale, aperta e desiderante: il futuro è ciò che sentiamo di volere per il nostro domani. La radice del senso è l’emozione. E l’emozione è rivoluzionaria perché presiede appunto alla costruzione indivuale, autonoma, soggettiva del significato, del valore e del futuro.

Una cultura reazionaria come quella che oggi pervade l’Occidente ha nelle emozioni il primo nemico. Per cui la repressione delle emozioni, la loro espulsione dal Soggetto, la loro inibizione sociale, la loro ritualizzazione in forme sublimate è il lavoro centrale della modernità declinante. E non parliamo qui delle sole “buone” emozioni: amore, dolcezza, nostalgia. Entrano nel discorso anche le emozioni del negativo: l’odio, l’invidia, la gelosia, il bisogno di vendetta. Il mondo emozionale è uno solo, e la repressione di alcune emozioni genera lo svuotamento sostanziale anche delle altre. I “buoni” sentimenti di cui si chiacchiera a gran voce ogni giorno sulle gazzette e nei comizi, non sono che stereotipiche ipocrisie, galateo sociale, ideologia farisaica.

Martina è morta perché ha accettato di essere privata delle emozioni e quindi ha perso il significato, il valore ed il futuro della sua vita.  Forse è anche stata incapace o non ha voluto fare come molti di noi, che per emozionarci ci buttiamo dai ponti con gli elastici, ci riempiamo di ecstasy, ci arrampichiamo in montagna senza corde, ci identifichiamo con le emozioni di Schumaker e di Ronaldo, di Beautiful e di Novella 4000.

Martina è morta perché ha rinunciato senza alternative alla politica ed  alla comunità cattolica che pure a 20 anni la riempivano di emozioni.

E’ morta perché dava senso all’educazione ed ha scoperto che non poteva condividere questo sentimento né coi suoi allievi, né coi colleghi, né coi genitori.

E’ morta perché ha avuto il pudore di chiedere al marito un “Ti amo” sussurrato con passione, e forse perché, verso di lui,  non ha avuto lei stessa capacità di com-passione e di com-mozione, cioè di condividere emozioni.

E’ morta perché non ha saputo esprimere il rancore per una Scuola che tradiva il suo bisogno di emozioni; perché non ha voluto urlare ai cento Comitati scolastici cui presenziava, che o la scuola è un’avventura emozionante o non è scuola. E’ morta perché sentiva che l’Istituzione era la solidificazione di un desiderio, e non urlava quando la vedeva ridursi ad una fabbrica di moduli e regolamenti.

E’ morta non sapendo parlare in famiglia della invidia provata per il fratello e della gelosia repressa per il padre.

E’ morta per paura della solitudine, che ha inibito le sue emozioni aggressive verso amiche già passate senza dubbi nel regno dell’anestesia.

E’ morta per non sapersi vedere come una statua bellissima da levigare, rifinire, lucidare fino a farla diventare un motore di emozioni allo sguardo, al tatto, al gusto.

E’ morta per avere accettato il tabù della modernità: mai parlare del senso, mai esprimere le emozioni, mai commuoversi, se non per interposta immagine massmediologica.

E’ morta perché la sua aridità emozionale le ha messo un muro davanti agli occhi, al posto di un lungo viaggio solare nel cosmo, o di un’ impresa epica come la costruzione di una cattedrale, o di un impegno testardo nel rendere la città un luogo di emozioni, compassione e commozione.

TU CHIAMALE, SE VUOI……EMOZIONI! IO LA CHIAMO VITA.